Musetti, il 2025 della maturità: risultati, futuro e consapevolezza
Per ripercorrere il 2025 di Lorenzo Musetti bisogna partire dalla fine, da quella serata di Torino che ha chiuso la stagione, una di quelle sere che non lasciano spazio a interpretazioni. In campo con Carlos Alcaraz, numero 1 al mondo, ultimo match del girone delle ATP Finals: vince lo spagnolo 6-4, 6-1, la distanza resta ancora evidente, ma per una volta non è quello il punto.
Il 2025 del carrarino (o carrarese: il siparietto andato in scena a Torino in conferenza stampa ha deliberato che in italiano sarebbe meglio carrarese, ma “loro” preferiscono esser chiamati carrarini; opteremo per questa opzione) è stato un anno di passaggio, o meglio un anno di transizione verso un livello più alto.
La sensazione, a seguirne da vicino i mesi e i match dal vivo, è quella di un giocatore che ha finalmente trovato un equilibrio tra ambizione e talento, tra campo e vita privata, tra ciò che gli altri pretendono da lui e ciò che lui pretende da sé stesso. Due picchi, uno professionale e uno personale, raccontano al meglio la cornice: l’ingresso in top 10, consolidato nel tempo, e la qualificazione alle ATP Finals. E poi la nascita del suo secondogenito, Leandro, un evento che Musetti stesso ha definito come un nuovo capitolo della sua crescita come uomo.
Resta una pecca tennistica, quella di non aver vinto un titolo in stagione, ma se è vero che questo non accade dal 2022 a Napoli, è altrettanto vero che il 2025 ha segnato una maturazione tecnica e mentale più significativa di qualsiasi trofeo.
Un anno da protagonista: il 2025 dei numeri e delle sensazioni
Il 2025 del toscano inizia in sordina e si accende subito dopo, diventando rapidamente una delle stagioni migliori mai vissute dal tennis italiano fuori dal “dominio Sinner”.
Il bilancio dice 45 vittorie e 23 sconfitte, un rendimento del 66% che migliora nettamente il 60% della stagione precedente, ma i numeri non raccontano tutto: la vera differenza è l’autostima con cui Musetti ha affrontato ogni torneo, soprattutto sulla terra.
La terra rossa: il regno di Lorenzo
Sulla superficie che gli appartiene di più, quella che valorizza un rovescio a una mano fra i più eleganti del circuito e un tennis di variazioni, Musetti è stato un top 3 assoluto per rendimento.
Il suo cammino stagionale parla chiaro, diventando il primo italiano a raggiungere almeno le semifinali in tutti i principali tornei su questa superfice nello stesso anno:
- Finale al Masters 1000 di Monte Carlo, recuperando partite già perse, crescendo giorno dopo giorno e giocando, per la prima volta, il miglior tennis della carriera fino al duello con Alcaraz. Primo set vinto, poi il dolore alla coscia sinistra e fine dei giochi.
- Semifinalista a Madrid, torneo spesso poco congeniale agli italiani.
- Semifinale agli Internazionali d’Italia, accolto da un Centrale di Roma che per la prima volta lo ha incitato come un top player e sconfitto ancora una volta da Carlos Alcaraz in un match condizionato dal forte vento.
- Semifinale al Roland Garros, conferma definitiva che il suo stile può fare strada anche negli Slam. A fermarlo, anche qui la combo tanto amata (?!) a Monte Carlo sempre lo spagnolo e un problema muscolare (ancora una volta) che lo costringe al ritiro all’inizio del quarto set.
Quattro tornei, quattro acuti, quattro segnali inequivocabili: Musetti sa giocare per vincere ad altissimo livello. Gli manca solo una cosa: farlo fino in fondo.
L’erba: un’occasione mancata e da cerchiare per il 2026
Lo stop fisico tra maggio e giugno lo ha privato di tutta la preparazione sull’erba. A Wimbledon è arrivato fuori forma e fuori ritmo: sconfitta immediata con Niko Basilashvili, in un match praticamente senza storia e con tanti rimpianti, perché la semifinale del 2024 aveva lasciato aperte porte che quest’anno non si sono potute riaprire. Ed è proprio qui che Lorenzo potrà guadagnare punti pesantissimi nel 2026; ma ne riparleremo.
Il cemento: una crescita lenta, costante, ormai inevitabile
Il 2025 ha detto anche un’altra verità: Lorenzo non è più un giocatore da “terra rossa e poco più”.
Sul cemento all’aperto ha chiuso con 18 vittorie e 11 sconfitte, migliorando drasticamente un rendimento storicamente non al top. E soprattutto ha raggiunto i quarti di finale agli US Open, diventando pericoloso anche in contesti in cui in passato faticava a entrare in partita. In tal senso due momenti chiave, entrambi a New York: la vittoria nel derby con Cobolli (anche se per ritiro) e i quarti di finale con Jannik Sinner giocati sull’Arthur Ashe in quella che per Lorenzo è stata una prima volta. “Non riuscivo a sentire il mio angolo” dichiarerà a fine partita. New York’s beautiful chaos.
La rincorsa alle Finals: testa a testa con Auger-Aliassime e il crocevia di Atene
La qualificazione alle ATP Finals è arrivata quasi all’ultimo respiro, dopo un lungo testa a testa con Felix Auger-Aliassime. Una lunga rincorsa passata dai tornei asiatici, con la finale persa con Tabilo a Chengdu, il ritiro al terzo turno a Pechino, nel match con Tien, e il turning point di Shanghai con la sconfitta subita da Auger-Aliassime che ha sancito lo slancio finale del canadese in ottica Finals. Poi un girovagare per l’Europa alla ricerca di punti, tra Bruxelles e Vienna, fino ad arrivare ad Atene.
Il torneo di Atene è stato il crocevia: Lorenzo per superare il canadese deve solo vincere il torneo. Musetti arriva in finale dopo una rincorsa splendida, ma a sbarrargli la strada trova Novak Djokovic, più motivato che mai a giocare la finale del torneo organizzato dalla sua famiglia proprio ad Atene. Il classe 2002 perde, con onore, in tre set, giocando una delle sue più belle partite dell’anno. Sembra finita ma è Djokovic, nel saluto a rete a confermargli la sua la rinuncia alle Finals. E il posto l’ultimo rimastosi è aperto proprio per il carrarino, che può salire sull’aereo per Torino. Non il modo più poetico, forse, ma perfettamente coerente con la sua stagione. Un traguardo meritato, arrivato attraverso settimane di tennis profondo, continuo, maturo. Il resto ve lo abbiamo già raccontato all’inizio di questa storia.
Vita privata: papà bis, Lorenzo che cresce e si trasforma
Fuori dal campo, il 2025 ha portato la gioia più grande: la nascita di Leandro, il secondo figlio dopo Ludovico, nato nel 2024.
Musetti lo ha detto più volte: la paternità lo ha cambiato, aiutato a crescere come uomo e come tennista. Veronica Confalonieri, classe 2002, designer e compagna discreta e presente, rappresenta per Lorenzo un ancoraggio solido. Una famiglia giovane, molto esposta eppure sorprendentemente equilibrata, costruita passo dopo passo. Non stupisce che Musetti risulti fra i nomi più cercati su Google in Italia nel 2025. I suoi successi in campo e la sua storia fuori hanno raggiunto un pubblico ben più ampio dei soli appassionati.
Il grande tema: un talento che merita la top 5
Al di là dei numeri e delle classifiche, la stagione 2025 ha consegnato un’idea ormai chiara: Lorenzo Musetti ha gioco, repertorio tecnico e sensibilità tennistica per diventare un top 5. I colpi ci sono, il talento pure. Manca ancora qualche elemento che separa i giocatori molto forti dai giocatori che vincono davvero tanto. Gli serve più continuità nei momenti che contano, un servizio più solido nei passaggi delicati, qualche certezza ulteriore quando si tratta di alzare la frequenza dei vincenti e la capacità, quella che fa la differenza nei tornei di due settimane, di trasformare una semifinale in una finale, e una finale in un titolo.
Sono sfumature, certo, ma nel tennis di oggi le sfumature diventano punti, e i punti diventano ranking. È tutta lì la linea sottile che separa un ottimo giocatore da un fuoriclasse stabilizzato nella parte altissima della classifica. Poi c’è anche il tema fisico, che lo ha toccato in due momenti della stagione. Nella massima esplosione del suo talento, sulla terra e nella lunga ricorsa alle Finals. È stato un anno difficilissimo, bisognerà ripartire anche da qui.
Sguardo al 2026: parte l’era José Perlas
La vera novità del 2026 ha un nome e un cognome pesantissimi nella storia recente del tennis: José Perlas. L’annuncio, affidato a una foto su IG dal Monte-Carlo Country Club, lo ritrae accanto a Musetti, al coach storico Simone Tartarini e al preparatore atletico Damiano Fiorucci. Un’immagine che racconta un cambio di passo, quasi una nuova costruzione tecnica.
Perlas non è un allenatore qualunque. È l’uomo che ha guidato Carlos Moyá al Roland Garros del 1998 e al numero 1 del mondo, che ha portato Albert Costa al trionfo parigino del 2002, che ha accompagnato Guillermo Coria fino al numero 5, che ha plasmato le stagioni migliori di Nicolás Almagro. È, soprattutto, un maestro della pazienza tecnica. Costruisce i giocatori lentamente, martellando sulle identità tattiche, limando ogni dettaglio, lavorando sulla capacità di leggere un punto e non solo di giocarlo.
Nel team di Musetti mancava questo profilo. Tartarini ha avuto l’intelligenza e l’umiltà di capire che per fare un ulteriore salto serviva una figura come Perlas, uno specialista delle fasi di maturazione. L’impressione è che questa coppia tecnica possa diventare uno dei temi più interessanti della prossima stagione.
Il contributo di Perlas potrebbe emergere su più livelli. Anzitutto, nella gestione dei momenti chiave, sia dal punto di vista tecnico che emotivo: saper leggere un punto importante, saper decidere una soluzione, saper reggere una pressione. A questo si aggiunge una verticalizzazione più convinta del gioco, indispensabile nel tennis contemporaneo dove restare troppo dietro la riga di fondo diventa un limite, e un’identità tattica più definita nelle partite sul cemento, superficie su cui Musetti ha ancora margine. E poi c’è il servizio, colpo che, per stessa ammissione di Musetti, deve e può migliorare più di tutti.
Non possiamo dimenticare i dettagli, quelli che spesso non fanno clamore ma vincono le partite: una risposta più aggressiva, una transizione verso la rete meno incerta, una copertura più pulita, un rendimento più feroce nei turni di servizio delicati. È un pacchetto completo, calibrato su un giocatore che ha tutto. Ora serve solo la strada più diretta per trasformare quel “tutto” in vittorie pesanti. Il 2026 sarà un anno particolare: Musetti dovrà difendere tanto, e questo potrebbe trasformarsi più in uno stimolo che in un peso. Perché ogni torneo offrirà l’occasione per dimostrare che il 2025 non è stato un’eccezione, ma l’inizio di una nuova fase.
Un occhio al 2026, tra Slam e finale di stagione
Il primo segmento della stagione offre un potenziale di miglioramento evidente. Nel 2025 Musetti aveva raccolto relativamente poco: terzo turno agli Australian Open, qualche buon segnale ma poca continuità nei tornei di avvicinamento, e i quarti tra Hong Kong e Buenos Aires. Basterebbe un passo avanti, anche minimo, per trasformare gennaio e febbraio in un tesoretto di punti utili a blindare la posizione in classifica.
Sulla terra rossa, al contrario, c’è quasi da arrampicarsi sulle rocce. Difendere la finale di Montecarlo e le semifinali di Madrid, Roma e Parigi è un compito vicino all’impossibile. Ma è anche la superficie su cui Musetti ha il potenziale per compiere il salto definitivo. La terra è casa sua, ed è il palcoscenico più probabile per un primo trionfo davvero pesante. Che sia un Masters 1000 o, sussurrandolo appena, un titolo Slam, il 2026 offrirà occasioni enormi ma anche rischi corrispondenti.
L’erba, invece, è la pagina bianca più intrigante. L’assenza del 2025 si trasforma automaticamente in una valanga di punti potenziali. Wimbledon, per stile di gioco e varietà di soluzioni, può diventare uno snodo cruciale della sua carriera. Il gioco di tocco, le smorzate, le variazioni, la capacità di anticipare: tutto dice che quell’erba può parlargli.
Anche il cemento nordamericano lascia intravedere margini enormi. Il 2025, tra Toronto, Cincinnati e gli ATP 500 pre-US Open, è stato un segmento avaro di soddisfazioni. Raddrizzarlo significa mettere fieno prezioso in cascina, soprattutto se Musetti riuscirà a consolidare una struttura tattica più aggressiva.
Gli ultimi due appuntamenti dell’anno, Parigi-Bercy e le Finals, potrebbero diventare il punto esclamativo sulla sua crescita. Non si tratta solo di centrare un risultato, ma di dimostrare che Musetti è pronto a giocare al livello dove le partite pesano davvero. E se il 2025 ha insegnato qualcosa, è che Lorenzo è più vicino a quel livello di quanto forse anche lui stesso pensasse, perché l’insegnamento più grande di questo 2025 si chiama consapevolezza, dei propri mezzi, delle proprie capacità, del proprio valore. Queste le basi di partenza su cui costruire la stagione delle conferme, quella più difficile, ma anche quella più affascinante.
