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Londra val bene Parigi: Sinner stoppa la rivalità a senso unico con Alcaraz. Appuntamento a Flushing Meadows

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Parigi val bene una messa. Siamo nel 500′, Enrico di Navarra decide di abbandonare la sua fede ugonotta per convertirsi al cattolicesimo nell’intento di salire al trono di Francia e porre fine alle tumultuose guerre nel Paese. E così fu, rinunciò a qualcosa di importante per portare a compimento un fine maggiore. La messa, il sacrificio necessario. Inghilterra, 2025. La liturgia, più di mezzo secolo dopo, a un passo dal divenire un monocorde cerimoniale: chi suona il requiem, e chi è costretto ad ascoltarlo. Non stavolta, perché sul diario dei sogni di Jannik Sinner è appuntata la volontà di detronizzare Carlos Alcaraz e farsi re, sportivamente parlando. La successione avviene, dopo la campagna sanguinosa del Roland Garros nelle orecchie dell’azzurro risuona un Alleluia insperato nei cieli di Wimbledon.

Quasi due settimane dopo è ancora più affascinante per noi, figuriamoci per il protagonista di una delle più grandi imprese sportive a tinte azzurre. I residuali timore di poterlo dire ad alta voce sono svaniti: Jannik Sinner è il campione di Wimbledon, primo italiano nella storia a fregiarsi di tale onore. Scodellarlo così, l’avvenimento già avrebbe un considerevole tasso di epicità, ma per godersi a pieno il film del traguardo bisogna riavvolgere il nastro al 16 febbraio 2025. L’azzurro, esasperato, decide di mettere la parola fine allo spinoso caso doping che incombeva sulla sua testa e accetta la sospensione della WADA per tre mesi. Il numero uno fuori dai giochi e gli avversari pronti a sfregarsi le mani sperando che la spada di Damocle, trapassandolo, abbia toccato punti vitali.

I dubbi erano più che leciti, l’onta del popolino non viene via così facilmente. Ma Jannik torna, lo fa a casa sua, agli Internazionali d’Italia. Il tempo pare essersi fermato, l’altoatesino sembra Doc Brown intento a guidare la sua DeLorean. A stoppare la favola del profeta in patria ci pensa lui, l’altro re della storia: Carlos Alcaraz. Eccezion fatta per l’esibizione, con cui già si sfiora l’eufemismo, del Six Kings Slam in Arabia lo spagnolo è in striscia positiva da tre incontri con Sinner. Dopo la semifinale di Indian Wells, quella del Roland Garros e la finale di Pechino, è la volta della città eterna. 7-6 6-1 in finale e il murciano si prende il Foro Italico.

Quando torni dall’inferno della gogna, per quanto possa bruciare una sconfitta con l’acerrimo rivale, non è altro che un’abrasione destinata a sanarsi presto. Una settimana per continuare il trattamento con l’acquaragia, la ruggine completamente scrostata e gli artigli più affilati che mai. Il cammino di Sinner è mortificante per gli avversari, solo Rublev e Djokovic evitano il bagel prima della finale.

Lo spettacolo datato 8 giugno 2025 è da narrare ai nipotini, stuzzicando la loro curiosità e, perchè no, fargli pesare la loro assenza con un malcelato nonnismo. Jannik Sinner e Carlos Alcaraz si rendono artefici di una delle più grandi finali Slam della storia del tennis. In uno sport già volubile di natura, sono tante le sliding doors di questo incontro leggendario, ma frastagliando la psiche dello sconfitto il rimando è a quel maledetto nono game del quarto set. L’azzurro è sopra 5-3 e il murciano serve per rimanere abbarbicato al match. 0-40. Tutto il resto ormai fa parte di una delle pagine più luminose di questo sport. Per gli altri, non per chi ha accarezzato il trono di Parigi, ma ha visto sfilarselo dallo stesso usurpatore incontrato l’anno prima. Ancora la solita litania. Il mondo grida al “pareggio”, si stropiccia gli occhi, ma tu sei costretto ad asciugarteli.

Alcaraz vince il suo secondo Roland Garros e le cinque ore e mezza di sangue e sudore rimangono inappagate. Un colpo da knockout, non potrebbe essere altrimenti. L’uomo delle Dolomiti sembra sciogliersi, e non tardano ad arrivare le sentenze che seppur assolutamente rispettose, rimangono sentenze. Tra i tanti ruba la scena Boris Becker, con l’ex campione tedesco che profetizza degli enormi strascichi per la delusione maturata: un anno per riprendersi.

Con Jannik e Carlos i media ci vanno a nozze, come ai tempi di Roger e Rafa. Anche se non apertamente, l’idea che inizia a serpeggiare tra gli addetti ai lavori è che gli ultimi trascorsi parlino chiaro: i due domineranno la scena tennistica, ma Sinner soffre Alcaraz e, tutto sommato, all’unanimità lo spagnolo è più forte. 5-0 negli ultimi cinque incontri, bisogna tornare indietro di quasi due anni per l’ultimo successo azzurro: finale di Pechino 2023. Insomma, si può non essere d’accordo, ma la rudimentale disamina non sembra campata in aria.

Lo spettro che aleggia è che la rivalità ci sia, è sacrosanta, ma sembra stia iniziando ad intraprendere un percorso a senso unico, con Carlos a gioire e Jannik a leccarsi le ferite. Il destino, il fato, Dio sembra volere farsi beffe delle umane convinzioni. Arriva la stagione sull’erba. Sinner sbatte su Bublik al secondo turno dell’ATP di Halle, qualcuno storce il naso mentre Bum Bum Becker avrà pensato: “ve lo avevo detto”. D’altro canto, l’altro festeggia il secondo successo al Queen’s. Stati d’animo contrapposti ai nastri di partenza dei Championship.

Gli ottavi di finale cambiano volto al percorso di Sinner, il ritiro di Dimitrov gli conferisce quel tocco di fatalismo che non guasta mai. L’azzurro fa pace con il gomito dolente e neutralizza letteralmente Shelton e Djokovic, per approdare, ancora una volta al cospetto del mostro finale. Il nativo di San Candido si presenta al match con in mano il copione di “Prova a Prendermi” e, come quel pomeriggio parigino, scappa avanti: 4-2 nel primo parziale. I quattro game di fila di Alcaraz, con capolavoro annesso sul set point, sembrano suggerire che alla fine della fiera Tom Hanks, poi, Leonardo Di Caprio lo becchi sempre. Poi avviene l’imponderato. Succede che Sinner punta i piedi, lavora a testa bassa, fregandosene del risultato, consapevole che la partita è lunga e le opportunità premiano chi sa aspettarle.

Il ventiduenne murciano si rilassa, e punto dopo punto capisce che deve riaccendersi se vuole tenere alla larga le brutte sorprese, ma la sua partita sembra finita nelle sabbie mobili. Più si dimena, più affonda nel vorticoso gioco di Jannik che non fa più sconti. Carlos va sotto 2-1, e in un cambio campo il suo virgolettato, ripetuto più volte, ha il sapore di un epitaffio sportivo: “Da fondo campo è molto meglio di me, è molto meglio di me”. Un misto tra incredulità e impotenza, un timido segnale che questa volta possa essere diverso.

Si giunge dove la storia ha fatto click, con l’Italia tutta che si prende Wimbledon. Sinner strappa la battuta anche nel quarto set e si ritrova 4-3 e servizio. Alcaraz a parole si dà per morto, ma la sua resilienza dice altro: due palle break. Jannik vede avvicinarsi i fantasmi dei tre match point sul Philippe Chatrier. Le immagini sono flash che si soprappongono a un ritmo psichedelico, fanno avanti e indietro con il nastro volto a produrre un rumore urticante. Il Dolomiti Kid preme il tasto stop, si affida al silenzio e riporta la segnaletica della rivalità con lo spagnolo sul doppio senso di circolazione: 3-1 e primo sussulto italiano ai Championship.

Si ferma a cinque la striscia positiva di Carlos nei confronti diretti, e l’attuale 8-5 che campeggia in suo favore, deve essere da monito perenne per l’iberico: in ogni sfida con l’azzurro deve dimostrare di essere il migliore, ammesso che lo sia. Sembra essere mancato proprio questo aspetto nella sua partita, l’ossessione per la vittoria. Eccoci giunti al volto dello sconfitto, anzi allo stomaco. Più deterrente che attenuante, e forse può essere solo un retropensiero, ma Alcaraz è sembrato appagato e con la pancia leggermente piena.

Il body language a fine partita non sarà la Bibbia, ma qualche indicazione la concede in tal senso. Senza considerare le parole di rito per la cerimonia in campo, immancabilmente presenti in qualsiasi stato d’animo vessi il perdente, sul volto di Alcaraz c’è totale distensione che gli permette anche di dispensare grandi sorrisi alla premiazione del compagno di sfide epiche. Retorica della sportività a parte, mancare una tripletta a Wimbledon dovrebbe generare qualche rughetta sulla fronte e qualche broncio qui e là. Invece il murciano non batte ciglio, staziona lì e appare quasi sollevato dalla sveglia recapitatagli.

Nulla a che vedere con le reazioni, comprensibili, ai limiti del nevrotico quando uscì sconfitto in entrambe le occasioni per mano di Novak Djokovic. Sia nell’epilogo di Cincinnati nel 2023 che in quello dei Giochi Olimpici di Parigi l’anno seguente, Carlos è inconsolabile in preda a delle irrefrenabili crisi di pianto. Delle batoste inattese quando sembra essere venuto a capo del totem serbo, mostratosi invece restio alla pensione. A Wimbledon, contro Jannik, è stato diverso. Il murciano aveva bisogno di sentire il fiato sul collo di Sinner.

Per intenderci, il terreno è scivoloso e presta molto il fianco a fraintendimenti, chiunque vada in campo lo fa nella speranza di prevalere sull’altro. Ovvietà a parte, già abbiamo avuto modo di constatare come Alcaraz abbia patito la forzata assenza di Sinner dal circuito decurtando di parecchio il serbatoio delle motivazioni. Figuriamoci, considerando l’estremo opposto, il senso di sazietà generato da un 5-0 culminato con quel tipo di Roland Garros portato a casa. La percezione di invincibilità, reale o meno essa sia, è puro bromuro per lo spagnolo attualmente lontano da saper gestire questo rovescio della medaglia.

La differenza sostanziale tra l’aspetto mentale, quello tecnico meriterebbe capitolo a parte, di Alcaraz e Sinner pare essere proprio questa. Carlos è abulico nel gestire i picchi vincenti della sua ancora giovane carriera, con la necessità di costruirla e decostruirla rincorrendo sistematicamente degli stimoli senza i quali farebbe fatica a carburare con continuità, onere e conditio sine qua non per dominare il mondo. Dinamica non così determinante nella forma mentis dell’italiano. Certo, il dualismo stuzzica anche il palato di Jannik, ma l’attuale numero uno al mondo non ha bisogno di nessuno per sentircisi. L’altoatesino riesce a bastarsi, trae linfa e motivazioni dal proprio percorso, convincendosi che la sfida quotidiana è verso sé stessi.

E ora che si fa? Cinque Slam per uno, quattro Slam per l’altro. Jannik si è preso l’Australian Open e Wimbledon, Carlos nel mezzo conquista il Roland Garros. Tutti e due sono a quota 3/4 per completare il Grande Slam, entrambi dovranno aspettare il prossimo anno per sferrare l’assalto decisivo. Ci proverà Alcaraz per primo, con Melbourne 2026 ultimo tassello da incastrare al mosaico della carriera. Poi sarà la volta di Sinner sotto il sole di Parigi, assetato di vendetta per il Roland Garros della discordia. Tornando alla stagione corrente, il palinsesto Major chiuderà i battenti con lo US Open, in quella New York che ha premiato il murciano nel 2022 e dove l’altoatesino è campione in carica.

Il primo trionfo a Church Road del bolzanino ha rimescolato le carte, ha sparigliato il tentativo di dittatura spagnola e apre delle interessanti prospettive sulla kermesse americana. Sinner e Alcaraz, manco a dirlo, potrebbero affrontarsi solo in finale. Non ce ne vogliano gli altri, ma il mondo non aspetta altro: rivederli al centro del ring, e vedere chi sarà il primo a cadere. Gli strascichi di Wimbledon vanno al di là di quello che sono numeri e statistiche: 5-2 di Alcaraz sul cemento, 3-1 su quello statunitense, vittoria Carlos in cinque set nell’unico precedente targato Big Apple. Manca più di un mese: l’azzurro è in rampa di lancio, ma occhio perchè lo scenario delineato è oro colato per il picaro di Murcia.

La sconfitta, le critiche, il rivale tornato a essere minaccioso, l’ammissione di difficoltà in un momento delicato, i dubbi sul cemento. Aggiungeteci che quasi un anno fa l’attuale numero due del ranking stava per incappare nel più grande scivolone della sua carriera, o per lo meno da quando Carlitos si è fatto Alcaraz: Il 3-0 subito da Botic Van de Zandschulp. Tutto contro, tutto da riscattare e da dimostrare nuovamente, così come piace a lui. Jannik, invece, dopo Wimbledon ha aggiornato l’album delle ex bestie nere, dove prima del quasi coetaneo il parterre de roi era occupato da Daniil Medvedev e Novak Djokovic: rebus risolti da Sinner.

Con Carlos la storia è diversa. Il nativo di San Candido ha trovato la soluzione di una faccia, non di tutto il cubo. Si dice che la vittoria abbia centinaia di padri, ma da qui in avanti sarà figlia di solo due genitori, con affidamento congiunto emanato dal Tribunale del tennis: una volta da uno, una volta dall’altro. Prossimo appuntamento tra il fiume Flushing e il lago Meadows, con una bella rinfrescata alla dicotomia italo-spagnola. L’azzurro ha riportato l’equilibrio nel nome del sacrificio. Sorridi Jannik: Londra val bene Parigi.