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Massimo Calandri, Repubblica: “Nessuno sport tratta i giornalisti come il tennis. L’unico problema? Gli orari…”

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Massimo Calandri è un grande giornalista italiano. Cronista di nera prestato per passione allo sport, ha coperto vari Motomondiali, Mondiali di rugby (ha scritto anche un toccante libro sulla storia della nazionale italiana che sfidò l’apartheid, dal titolo “Non puoi fidarti di gente così. Storia della squadra di rugby che sfidò l’apartheid“) e tanto calcio per “La Repubblica”. Poi, d’improvviso, il tennis. Reinventarsi in un nuovo campo dopo una carriera trascorsa a fare altro. Al Roland Garros, qualche ora prima della storica finale Sinner-Alcaraz, abbiamo avuto l’occasione di fare una chiacchierata, cercando di afferrare le differenze principali tra il tennis e gli altri sport. Da un punto di vista spiccatamente giornalistico. Ne sono venuti fuori tanti spunti interessanti e meritevoli, toccando temi non circoscritti al nostro amato sport.

Ho 62 anni, ho iniziato a scrivere sui quotidiani a 18”, spiega Massimo, “a Repubblica sono arrivato nel 1992, e sono inviato dal 2010. Ho passato la maggior parte della vita giornalistica a fare il cronista di giudiziaria, di nera. Però da 15 anni mi occupo di sport, e ho fatto un po’ di tutto: calcio, rugby che è la mia passione, diversi Mondiali. Tanto i motori, 15 anni che seguo motomondiale, superbike, formula 1. Ho iniziato a fare il tennis quest’anno, ho esordito all’Australian Open, bellissimo esordio (ride)”.

E subito è emersa la grande differenza tra il tennis e gli altri sport: “Nel tennis c’è una grandissima organizzazione dal punto di vista della struttura. I gestori dei tornei danno ai giornalisti una quantità di materiale che è impressionante. Per me arrivare in Australia e trovarmi di fronte uno schermo e poter andare su tutti i campi, avere in tempo reale tutti i numeri possibili e immaginabili, e la possibilità di accedere alla trascrizione delle interviste…non esiste in nessun altro mondo. È il Paradiso. Chiaro che poi ti spinge a voler fare di più e meglio, a muoverti con le tue gambe e cercare qualcosa di più. C’è quindi anche la possibilità per i giornalisti di lavorare molto bene. Ma, naturalmente, come in tutta la vita e in tutti gli altri sport ci sono sempre più filtri, ma è quasi banale dirlo. Quando facevi il calcio andavi negli spogliatoi e intervistavi Vialli e Mancini, nel rugby facevi quello che volevi. Nella Moto GP questo ancora in parte c’è: magari il giorno prima della gara ti ritrovi a bere un bicchiere di vino o una birra con un pilota importante che poi vince. Poi c’è stato il COVID, che ha dato il modo di tirare giù la serranda e in qualche modo pilotare”.

Anche se non è detto che tutti questi filtri debbano per forza essere un male: “Vado controcorrente: i social sono un volano. I campioni spesso passano attraverso i social, ma devono farlo. Se però dovessero rispondere a tutte le istanze, a tutto quello che vogliamo noi, diventerebbero pazzi. Dico che questo filtro è abbastanza comprensibile, e poi comunque grazie anche a questa organizzazione quasi scientifica, chiedi le tue interviste e riesci ad averle”.

Altra cosa del tutto diversa è il grande coinvolgimento delle donne”, continua Calandri, sottolineando un aspetto spesso sottovalutato dagli adepti, “che c’è in questo sport e non lo trovi da nessun’altra parte. Non c’è nessun altro sport dove le donne atlete sono così protagoniste. Certo il singolare maschile ha più interesse in termini di audience, ma il femminile è importante, e cambia tutte le prospettive. Qui vedo che ci sono tantissime giornaliste, ed è una cosa che negli altri settori vedi molto meno. La presenza femminile è molto forte, e influisce sul modo di dare le notizie. I giornalisti italiani che ho trovato qui sono tutti molto preparati, scrivono bene quasi tutti, e ci sono un sacco di notizie”.

Notizie che, aprendo un tema spesso discusso ma decisamente mai abbastanza adeguato, potrebbero avere una ventata di freschezza: “Io sono per il ricambio generazionale, se ci fossero più giovani lo vedrei molto meglio. Poi di solito queste cose le dicono i vecchi giornalisti che dicono ‘voglio i giovani’, ma al contempo vogliono restare al loro posto. Secondo me, essendo uno sport che sta prendendo e coinvolgendo tantissimo, ci vorrebbero più giovani giornalisti. Sento che è il momento di far lavorare di più e dare più spazio, anche sulla carta, ai giornalisti giovani. Io che devo imparare, e che leggo ogni giorno gli articoli di tutti, quando leggo sento che ci vorrebbe qualche passaggio in più, altrimenti c’è il rischio di diventare autoreferenziali”.

Ovviamente non è tutto rose e fiori, come in tutte le cose. Però i lati oscuri nel tennis sono spesso controbilanciati dalla bellezza che c’è anche intorno al gioco in sé per sé: “Con il tennis gestisco anche i social, e ho notato una certa ferocia nei commenti, che non trovi in altri sport individuali. Nel Motomondiale, per dire, certi commenti sul pilota o sulla vicenda x o y, così feroci non li vedo. Forse perché è uno sport un po’ vecchio, qui a volte leggi cose che quasi ti spaventano, e molti commenti sono anche presuntuosi. Nel tennis lo vedo molto forte. Però è uno sport bellissimo, gli ambienti sono straordinari. Australian Open straordinario, Roland Garros bellissimo, Montecarlo è suggestivo, ma la bellezza del Foro Italico supera tutto. L’ho frequentato per il calcio, lo frequento sempre per il rugby, ma quando c’è il tennis è secondo me il posto più bello del mondo. Roma e quell’ambiente lì sono unici, quella foto con Foro e finale di Coppa Italia può essere scattata solo lì, e se si mettessero al passo dal punto di vista dell’organizzazione sarebbe perfetto”.

Ma, a conti fatti, qual è il vero punto debole del tennis. Specie per un giornalista? “Il problema del tennis sono gli orari, anche per uno come me, che non si tira indietro.Tra parentesi Ubitennis fin dall’inizio è stato un punto di riferimento. C’è tutto, a tratti pure troppo: a volte mi vengono delle idee e già sono state fatte. Sugli orari…sono infernali, prendo come punto di riferimento il paddock, per chiarire che non è che negli altri sport non lavori: io sono uno che va prestissimo, che lo apre il paddock, alle 8 del mattino sono lì, perché incontri meccanici, ingegneri, quelli che ti danno le notizie. E poi vedi tutte le gare, anche di moto 3 e moto 2, però sai che poi nella peggiore delle ipotesi alle 20 hai finito, vai a mangiare qualcosa con i colleghi e ti rilassi. Qui non hai mai orari, e forse è anche quello a dare fascino. Faticoso ma comunque bellissimo”.