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“Il tennis? Lo trovavo noioso”: Ben Shelton confessa i suoi inizi difficili

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Di Quentin Moynet, pubblicato da L’Équipe il 22 gennaio 2025
Traduzione di Jenny Rosmini

“Un fuoco interiore straordinario”

Non ha certamente il curriculum stellare dello spagnolo Carlos Alcaraz, numero 1 al mondo a 19 anni e quattro titoli del Grande Slam in tasca a soli 21, ma condivide con lui la spensieratezza e l’allegria della giovinezza, la capacità di giocare sempre con il sorriso stampato sul volto. È la sua personalità. “Ama sorridere, divertirsi, condividere con il pubblico”, racconta suo padre, Bryan Shelton, 59 anni, ex professionista, 55° nell’ATP nel 1992, e ora allenatore del figlio.

Quello che vedete è il suo amore per il gioco”, spiega l’allenatore Scott Perelman, che conosce il ragazzo di Atlanta da una dozzina d’anni e lo ha guidato quando era assistente del padre all’Università della Florida, a Gainesville. Un fuoco interiore straordinario… persino al primo turno delle qualificazioni! Adora trovarsi di fronte a un problema in campo e spremersi le meningi per trovare una soluzione, racconta l’americano di 28 anni Chris Eubanks, numero 103 al mondo e amico del connazionale. È per questo che lo vedete sorridere nei momenti di tensione: per lui è un gioco. La sua teoria? Credo che il primo amore di Ben sia la competizione. L’odore di zolfo che precede il duello, quei secondi condivisi con il suo avversario nelle viscere dello stadio, a pochi passi l’uno dall’altro, senza che i loro occhi si incontrino.

“Adoro il faccia a faccia, due uomini uno contro l’altro nell’arena

Poi l’ingresso in campo, nascosto sotto una felpa con cappuccio, afrobeat nigeriani o rap americano che rimbombano nelle cuffie. Un pugile pronto a salire sul ring e a colpire forte. “Sarebbe fantastico se ci fosse una competizione di boxe nel circuito”, scherza. Adoro il faccia a faccia, due uomini uno contro l’altro nell’arena. Sotto il mento si intravede una piccola cicatrice. Se la sua vita fosse un romanzo, racconterebbe di quella volta in cui si è rialzato dopo aver subito un montante, ma la cicatrice che porta è solo il ricordo di una caduta in bicicletta da bambino.

“I colpi, però, di solito li sferra lui. Quando vede l’avversario battersi dall’altro lato della rete, si impegna ancora di più”, conferma suo padre. “Puoi giocare a dama, a scacchi, a basket… Non cambia nulla: Ben è lì per vincere”, afferma Perelman. “Tutti i santi giorni”. Ma, contrariamente alle apparenze e a una tradizione familiare evidente, Ben non è sempre stato coinvolto dall’ebbrezza del gioco. “Non era per niente scontato che sarebbe diventato un tennista, ammette Perelman.

“Animale selvatico e uccello libero”

Con un padre ex tennista, una madre, Lisa, e una sorella maggiore, Emma, giocatrici, e uno zio, Todd Witsken, ex professionista e numero 43 al mondo nel 1989 (prima di morire di cancro al cervello a 34 anni) Shelton aveva il tennis nel sangue. Ma non il desiderio di praticarlo. “Mi aveva detto che voleva seguire la sua strada”, racconta Shelton senior. “Che lo sport sarebbe stato parte della sua vita, ma a modo suo”.

Era un bambino che, non appena smesso di gattonare, mostrava capacità atletiche straordinarie. “A 2 anni, 2 anni e mezzo, sapeva già andare in bicicletta senza rotelle”, racconta il padre. “A 3 anni, quando andavamo da mia sorella, si tuffava nel lago vicino facendo un salto mortale! Mi chiedevo, ‘che bambino è questo? Chi fa queste cose?'”. Ma mentre i suoi futuri rivali impugnavano la prima racchetta a 4 o 5 anni, Ben snobbava la pallina gialla.

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