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Wimbledon, la discussione selvaggia per le wild card: ma quali sono i criteri giusti?

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Se esistesse il girone dei discorsi da bar “del tennis” vorrei iscrivermi a quel girone: sceglierei in particolare le mattinate che precedono l’inizio di un torneo del Grande Slam, con l’attesa tipica dell’aperitivo, con la quiete prima della tempesta e con i pronostici sul sorteggio dei tabelloni. Nemmeno sul tabellone compilato: sul sorteggio. E poi il computer fa il suo dovere, e allora “il percorso di Sinner: Q oppure LL, e poi il solito Griekspoor, e poi forse Berrettini, ma Berrettini deve arrivarci, e ancora Rune, proprio come in Australia, che ansia, nei quarti è andata bene, c’è Fritz, ma Fritz forse non sta bene, e allora concentriamoci sulla semi con Djokovic, e alla fine Alcaraz, e poi magari un paio di extraterrestri, poteva andare meglio, poteva andare peggio”. Che poi chissà chi è questo “LL”.

Avete presente la bellezza e l’inutilità dei “discorsi che lasciano il tempo che trovano”? Se ce l’avete presente, siete dei nostri. La settimana che precede un torneo dello Slam è la settimana delle qualificazioni ed è la settimana “cult” dell’appassionato vero, quello che, per capirci, non corre il rischio di confondere i due Arnaboldi: una specie di purgatorio caratterizzato da nomi esotici, veterani in crisi, outfit improbabili e dai nostri disgraziati preferiti (un saluto a Maxime Cressy) che vanno a caccia dei punti della svolta o, molto più concretamente, dell’assegno più ghiotto, quello che può salvare la stagione.

La settimana che precede un torneo dello Slam è – aggiungiamo – la settimana delle polemiche sulle wild card: Matthew Futterman per “The Athletic” ha provato a raccontarci la giungla selvaggia – perdonatemi – del posto al sole e gratuito del regalo settimanale più ambito del circuito. Le wild card nei tornei Major sono, ovviamente, quelle più preziose: un primo turno allo US Open vale addirittura 100mila dollari, e ci siamo capiti. La USTA (United States Tennis Association) nel corso degli ultimi anni ha deciso di premiare i successi dei giovani del college, organizzando addirittura due tornei di pre-qualificazione. I vincitori americani delle competizioni di singolare del campionato NCAA, infatti, ricevono da tempo una wild card (invito speciale) per lo US Open. Ma la finale del 2024 si è svolta lo scorso novembre, troppi mesi prima dell’edizione 2025 di Flushing Meadows. Così Michael Zheng, campione di singolare maschile per la Columbia University, questa settimana si è ritrovato a giocarsi un’altra eliminatoria diretta per una wild card che, in teoria, si era già guadagnato sul campo. E non è andata bene: è infatti arrivato a una sola partita dal traguardo, perdendo 6-3, 6-4 contro Stefan Dostanic di Wake Forest — che non aveva partecipato al torneo NCAA del 2024, completando il cortocircuito.

Ma come si assegna una wild card? La pozione magica è una pozione per forza di cose ingiusta: si va dai giovani in ascesa ai veterani all’ultimo ballo, dagli ex campioni reduci da un infortunio al potere dell’agenzia giusta (ricordiamo, da questo punto di vista, le presenze di Cinà a Miami e Madrid, due tornei di proprietà di IMG), senza dimenticare, ovviamente, il criterio più robusto, quello della nazionalità. Alla base delle scelte c’è, da un lato, la volontà di rendere il torneo più competitivo, e, dall’altro, l’esigenza (e questo discorso vale principalmente per gli eventi minori) di puntare su una faccia appetibile per il pubblico, in modo tale da dare una spinta al botteghino e alla fase di vendita dei biglietti. In questo contesto tre delle quattro federazioni che organizzano i quattro tornei dello Slam (Australia, Francia a Stati Uniti) hanno siglato un accordo, scambiandosi il favore della wild card in uno dei tornei “stranieri”: gli australiani, oltretutto, riservano un posto nel tabellone maschile e uno in quello femminile a un giocatore della regione Asia-Pacifico, in modo tale da incentivare lo sviluppo nei paesi dove il tennis è meno diffuso.

Gli inglesi, in vista di Wimbledon, hanno fatto delle scelte abbastanza nazionalistiche, se è vero che 15 delle 16 wild card assegnate dall’All England Lawn Tennis Club (AELTC) per il singolare di Wimbledon 2025, solo una, la due volte campionessa Petra Kvitova della Repubblica Ceca, non è britannica. Un portavoce dell’AELTC ha dichiarato che il comitato del torneo considera “classifica, risultati e forma attuale; successo nei tornei sull’erba precedenti e negli anni passati a Wimbledon; sostegno ai giocatori britannici; e qualsiasi altra circostanza speciale meritevole di attenzione”. Il tennis britannico, dopo anni piuttosto poveri, è riuscito più o meno a risollevarsi, ma, onestamente, quel “15 su 16” disegna una percentuale abbastanza impressionante: nel 2001, a dire il vero, i dirigenti dei Championships invitarono il futuro campione Goran Ivanisevic mentre, a livello femminile, si può citare la cavalcata trionfale di Kim Clijsters allo US Open del 2009.

Poche settimana fa, al Roland Garros, ha raggiunto la semifinale la wild card di casa Lois Boisson, reduce da un brutto infortunio al ginocchio. Solo due delle altre cinque giocatrici francesi che hanno ricevuto una wild card hanno vinto almeno un match. Una di queste, Elsa Jacquemot, ha affrontato proprio Boisson al terzo turno. Dei sei uomini francesi che hanno ricevuto wild card, solo in due sono riuscita a vincere una partita, ma, a onor del vero, due di queste wild card si sono affrontate al primo turno.

Due dei tre tennisti australiani in tabellone grazie a un invito hanno vinto un match a Melbourne, lo scorso gennaio, così come due delle cinque donne. Uno di questi successi è arrivato da Ajla Tomljanović, la classica veterana rientrata da un infortunio.

Nei Major, dicevamo, si pone un tema economico piuttosto ingombrante, a causa del valore dell’assegno di una sconfitta all’esordio ma, allo stesso tempo, da un punto di vista squisitamente tecnico, le eventuali esclusioni risultano meno dolorose, perchè – al netto di casi più unici che rari – nel main draw di uno Slam c’è spazio per tutti, perché la classifica del computer, di base, non racconta troppe bugie. E, con l’ampliamento a 96 della maggior parte dei Masters 1000, anche in quella tipologia di eventi sono sempre più sporadiche le esclusioni eccellenti (che invece, con il vecchio formato, scatenavano molte polemiche): la quantità ha sostituito la qualità e, allo stesso tempo, è diminuito il pregio tecnico (per noi che guardiamo) di un posto prenotato. Il torneo – parliamoci chiaro – tutto sommato cammina con le gambe dello spettacolo anche senza il numero 110 del ranking mondiale. Negli Slam sarebbe forse corretto, ad esempio, concedere una wild card di “compassione” al tennista che ha subito la beffa di “rimanere fuori di uno”, per utilizzare un classico gergo del circuito, ma anche questo criterio, probabilmente, non metterebbe a tacere eventuali dubbi o critiche. Ci sarebbe sempre qualcuno che rimarrebbe “fuori di uno”, e così via, in effetti.

La verità è che l’invito, in quanto tale, si presta a prescindere alle invidie e alle discussioni: il bar sta chiudendo, forse c’è giusto il tempo per l’ultimo giro, ma bisogna fare in fretta. Perché tra poco si ricomincia a giocare a tennis, e menomale.