Nino Benvenuti, ci ha lasciato una leggenda della Boxe. Il ricordo di Ubaldo Scanagatta
Un mito, una leggenda dello sport italiano ben oltre i nostri confini, un simbolo della nostra boxe anche in America in tempi in cui le comunicazioni non erano davvero quelle di oggi se è vero che la prima delle sue tre famosissime sfide nuovayorkesi al nero americano Emile Griffith per il titolo mondiale dei pesi medi il 17 aprile 1967 non fu trasmessa dalla Rai “per non disturbare il sogno degli italiani che all’indomani dovevano lavorare”.
Il risultato fu che 18 milioni di quegli italiani si incollarono alla radio, alle 4 di notte, per seguire la vibrante radiocronaca di Paolo Valenti dal vecchio Madison Square Garden e vivere così il primo trionfo del già popolarissimo Giovanni “Nino” Benvenuti dopo 15 riprese tiratissime e un knock-down per parte. A spese di quel nero, ex poveraccio delle Isole Vergini, padre fuggito di casa e fratelli in adozione, Nino Benvenuti era diventato campione mondiale dei pesi medi, la categoria più prestigiosa del pugilato, insieme a quella dei massimi. Più importante, al di là delle implicazioni nazionali e della sua famosa rivalità con Sandro Mazzinghi così simile a quella fra Bartali e Coppi, del titolo di campione del mondo dei superwelter conquistato il 18 giugno 1965 contro il pugile di Pontedera che era in tutto e per tutto, sul ring e fuori dal ring, diverso da lui per stile, mentalità e modo di vivere.
L’impatto con il tempio della boxe americana è ancora bene impresso nella memoria di Benvenuti. “In quello stanzino (lo spogliatoio) c’era tutto il Madison _ ricorda Nino _ Niente era stato toccato, niente era stato restaurato o anche solo semplicemente ammodernato dai giorni in cui vi erano passati Jack La Motta e Rocky Marciano e tutti gli altri campioni leggendari della boxe”.
Fu il primo contro Emile Griffith il “match dell’anno” anche per la rivista americana “Ring Magazine”, così come lo sarebbe poi stato anche quello del 7 novembre del 1970, il primo dei due persi da Nino con la furia argentina Carlos Monzon.
Nessun altro match combattuto da un pugile italiano ha ricevuto lo stesso onore da quella rivista. A quel primo duello del 17 aprile con Griffith sarebbe seguito una rivincita quello stesso anno, il 29 settembre in uno stadio aperto del baseball, lo Shea Stadium (vicino al quale dal 1978 sorge il National Tennis Center Billie Jean King di Flushing Meadows).
Il fatto che la rivincita in terra americana fosse pretesa dal contratto, una normale cautela dell’organizzatore nel caso il pugile di casa avesse perso, fece a suo tempo sospettare una combine che invece non ci fu, sebbene Mazzinghi abbia sempre sostenuto il contrario. Ma, a detta di Rino Tommasi, ex organizzatore dei match di Benvenuti e grande esperto, la rivincita persa ai punti dal pugile triestino fu troppo dura perché Mazzinghi potesse aver ragione: “Avendo vissuto da vicino tutti e tre i match credo di poterlo escludere. Proprio la rivincita, in particolare, fu un incontro molto teso, non certo bello. Il contrario di ciò che normalmente accade in un match combinato, dove i pugili sanno già come va a finire. Benvenuti si fece trascinare in un incontro molto disordinato per il quale non aveva né il fisico né la mentalità.”.
“Ne venne fuori una sconfitta, ma anche il mio match più intenso_ racconterà Benvenuti in una sua biografia _ Avevo una costola rotta e la bocca piena di sangue che mi impediva il respiro. Non sapevo più se preferivo prendere i colpi al corpo o in faccia. Ma fui proprio stoico e non andai k.o”.
Pur sconfitto Benvenuti era diventato così popolare oltre Oceano che l’allestimento della “bella” per il 4 marzo 1968 fu inevitabile, anche perché era stato appena costruito il nuovo Madison Square Garden sopra la Penn Station, la stazione ferroviaria sulla Madison Avenue fra la 32ma e la 33 strada, e gli americani avevano bisogno di un grande match per inaugurarlo.
“Fu quello il suo più grande capolavoro tattico perché non era preparato al meglio e Benvenuti fu bravissimo a centellinare le forze. Mise giù Griffith alla nona e si meritò il verdetto” testimonia ancora Tommasi. Stavolta il match fu naturalmente ripreso dalla tv. Scene di pugilato sugli schermi in bianco e nero con il bianco, italiano, che battè il nero americano. Perfino la parte più conservatrice dell’America festeggiava. Barak Obama in quei giorni aveva solo sette anni.
E’ che Griffith aveva anche ucciso un uomo sul ring, all’inizio degli anni 60, Benny Kid Paret, un cubano che alle operazioni di peso aveva pizzicato il sedere a Griffith sussurrandogli con un ghigno “maricon!”, finocchio. Al dodicesimo round del loro secondo incontro Griffith centrò Paret con diciotto colpi al volto. Paret morì dieci giorni dopo, in ospedale. Ma Benvenuti, che di Griffith sarebbe diventato amico così fraterno da chiedergli di diventare padrino di uno dei suoi figli (“Non puoi non diventare amico di un pugile con cui hai diviso la bellezza di 45 round!”) ha sempre difeso Emile: “La colpa fu dell’arbitro che avrebbe dovuto fermare prima l’incontro. Paret non ebbe rispetto, ma Emile non lo uccise con l’intenzione, lo difenderò sempre, l’impeto gli prese la mano”. Molto tempo dopo Griffith, sposato e divorziato, padre di un bambino adottato, avrebbe ammesso in un’intervista al New York Times quel che tutti avevano saputo, pensato e scritto: “Frequentavo bar gay, ero gay…” e Nino: “Io sapevo ma non gliene avevo mai parlato, ora si sarà liberato di un peso”.
Più di vent’anni sul ring da professionista, insomma, per Benvenuti, con l’oro di Roma e tre notti di New York a rilucere più ancora che le due serate dei match vinti contro il “nemico” di sempre Sandro Mazzinghi. Per uno che avrebbe poi raccontato di sé e degli altri ragazzini che frequentavano la gloriosa palestra dell’Accademia Pugilistica Triestina dove anni prima si erano allenati Tiberio Mitri e Duilio Loi “Facevamo pugilato perché poi c’era una doccia gratis” non sono pochi. Così come non sono davvero pochi per il pugile italiano più celebre della nostra storia (perfino più degli altri grandi della storia della nostra boxe, Primo Carnera, Duilio Loi, Bruno Arcari e Mazzinghi) i 210 incontri affrontati sul ring, 120 da dilettante e 90 da professionista.
Come “pro” Benvenuti debutta il 20 gennaio 1961 a Trieste. Appenderà i guantoni al chiodo l’8 maggio 1971 dopo aver subito due atterramenti dal terribile picchiatore argentino Carlos Monzon. Il bilancio: 82 vittorie (35 k.o.), 1 pareggio e 7 sconfitte. Da dilettante, invece, aveva perso una volta sola, e, classe 1938, aveva concluso a 22 anni la carriera amatoriale con il trionfo alle Olimpiadi di Roma (1960), medaglia d’oro dei pesi welter dopo essere stato cinque volte campione italiano e due volte europeo. Sono le Olimpiadi che rivelano al mondo anche un altro campione che ha fatto la storia del pugliato, Cassius Clay. A Roma Benvenuti trova in finale per l’oro mette di fronte a Benvenuti il temibile picchiatore russo Radonyak. Ma Nino non trema. Sarà la voce di Sergio Zavoli a celebrarne il trionfo annunciato.
Da Roma Benvenuti inizia la scalata ai vertici della boxe mondiale. Già nel marzo 1963 è campione italiano tra i medi. Di lì a poco comincia l’epopea della sue sfide con Sandro Mazzinghi che era diventato campione del mondo dei superwelter e si era confermato in Australia con americano Dupas. Fino a che l’atteso duello, organizzato a San Siro da Vittorio Strumolo, si materializza. E’ il 18 giugno 1965: Nino mette k.o. Sadro alla sesta ripresa, con un terribile montante destro, lui che era famoso soprattutto per il gancio mancino. Nelle prime cinque riprese un Mazzinghi asfissiante nei suoi attacchi ma per solito fin troppo generoso, era stato bene attento ad evitarlo. Invece quel destro fulminante proprio non lo vide partire né arrivare. Lo sentì soltanto. Giovanni Mosca scrive di Mazzinghi: “Giace supino, le braccia spalancate, gli occhi fissi alle lampade che non vede. Non sa ancora che tutto è finito”.
Mazzinghi piaceva alla gente più ruvida, genuina, ogni suo incontro era pieno di cazzotti, dati e ricevuti. Benvenuti di colpi ne tirava meno, ma soprattutto ne prendeva meno. Usciva dal ring e avrebbe potuto andare a cena fuori. Piaceva ai tecnici dal palato più fine. Schivate, finte, noble art allo stato puro. Benvenuti era bello, elegante, con i capelli lunghi e svolazzanti (fin troppo: poi glieli sconsigliarono, perché se veniva colpito al volto e scuoteva la testa si notava di più…), piaceva alle donne, finiva sulle copertine di tutte le riviste di gossip e nel ’68 sarebbe stato perfino protagonista di un film western al fianco di Giuliano Gemma.
Benvenuti avrebbe battuto Mazzinghi anche nella rivincita, sei mesi dopo a Roma. Ai punti e di misura. Talmente di misura che Mazzinghi e i suoi tifosi contestarono platealmente il verdetto e lo contestano ancora oggi sebbene quasi tutti i critici dessero ragione all’arbitro nonostante questi avesse impiegato quasi un’ora a decidersi alimentando ogni genere di sospetti.
Poi però Benvenuti perse in Corea dal semisconosciuto ma tosto coreano Ki Soo Kim il 25 giugno 1966, prima della triplice avventura newyorkese con Griffith. Fu dopo quella memorabile parentesi che la stella di Benvenuti si affievolì, un pari con Baird, due sconfitte con Bethea e Dick Tiger. Poi, il 7 novembre del ’70 a Roma, ecco pararsi davanti a lui il terribile picchiatore argentino Carlos Monzon, con quel fiero volto da indio. Si capì subito che non c’era match e nessuno si stupì quando al dodicesimo round un destro mostruoso mise k.o. il nostro. La rivincita di Montecarlo, in un piovoso sabato del maggio ’71, fu quasi patetica. Due atterramenti subito dal nostro in tre round, la spugna del procuratore Amaduzzi che vola sul ring a frenare un probabile massacro sebbene lì per lì Benvenuti vi si ribelli orgogliosamente. Tutti all’angolo piangono, il manager Amaduzzi, l’allenatore Golinelli. La carriera del più grande pugile italiano è finita. Nino avrà poi l’apprezzabilissima lucidità di respingere 300 milioni di lire per tornare sul ring con il venezolano Rondon con il titolo dei mediomassimi in palio, e la generosità d’animo molti anni per affrontare molti anni dopo una sfida del tutta diversa: la permanenza di tre mesi in un lebbrosario in India. “E’ stata quella la mia più bella vittoria… quella dell’umanità”.
Scrisse Nino Benvenuti in occasione della morte di Rino Tommasi: “Per ogni successo di un campione ci deve essere qualcuno che aiuta il suo cammino. Sul mio ho trovato Rino Tommasi, che quasi tutti i venerdì del mese organizzava una riunione di pugilato al Palasport dell’ EUR, proprio là dove, assieme a De Piccoli e Musso, vincemmo l’ Oro Olimpico. Passati professionisti non ci fu interruzione di continuita’. De Piccoli, Rinaldi e Benvenuti costituivano un programma molto “ghiotto” per i numerosi fans che riempivano il Palasport. Gli accoppiamenti non erano di comodo. Tommasi voleva offrire al suo pubblico incontri mai dal verdetto scontato. Posso dire che qualche volta è arrivato al limite!”