Zverev, il Gattopardo: tutto è cambiato per non cambiare nulla?
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” Con queste parole, Tancredi Falconeri si rivolge allo zio, don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, in uno dei passaggi più toccanti del “Gattopardo”. Il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa racconta la transizione del potere nella nobiltà siciliana, dal Regno delle Due Sicilie all’Unità d’Italia, successiva alla spedizione dei Mille. Tancredi, futuro reggente del casato principesco, ma uomo pragmatico e al passo con i tempi, sceglie di aderire al cambiamento, consapevole che solo così la sua classe sociale potrà sopravvivere. Il motivo è ovviamente quello di assecondare l’ineluttabile, traendone vantaggio. Quindi poi tutto cambiò, per restare esattamente com’era prima. Nell’esercizio scrittorio e dialettico, per far sì che tutto questo non resti un semplice artifizio linguistico fine a se stesso, è necessario declinare il tutto nella dimensione del tennis moderno. O meglio, nella situazione attuale che il tennis sta vivendo.
Tutto è cambiato. Jannik Sinner, numero 1 al mondo, per tre mesi fermo ai box, per via delle note vicende, su cui troviamo ridondante tornare, e uno stuolo gli inseguitori pronti a togliere quel titolo nobiliare al principe azzurro (inteso come italiano) che ambisce a diventare re. Tutto è rimasto com’è. Nessuno dei suoi principali antagonisti sportivi sembra essere in grado di poter togliergli quel trono prima del suo ritorno. Difficile possa essere Carlos Alcaraz, contendente numero 2; improbabile che lo sia Alexander Zverer, numero 2 al mondo e primo tra gli inseguitori. Sul tedesco ci concentriamo in questa fase perché, se il giovane spagnolo ha dimostrato comunque di poter essere competitivo, anche se non ai livelli che conosciamo, per il tedesco invece il lungo tunnel di cattivi risultati, pessima forma fisica e difficoltà mentali, non sembra essere vicino alla conclusione.
Era una promessa, è diventato un enigma. Il 2025 di Sasha sta prendendo una piega inattesa. Dopo aver raggiunto la finale all’Australian Open, il tedesco sembrava pronto a sferrare l’attacco decisivo al vertice del ranking mondiale. Invece, il suo cammino post Melbourne è stato un percorso accidentato fatto di sconfitte inaspettate, difficoltà tattiche e un distacco apparentemente incolmabile da Jannik Sinner. Ma cosa sta succedendo davvero a Zverev? E quali prospettive si delineano per il suo futuro?
La crisi di risultati: cosa dicono i numeri?
Dopo l’ottimo avvio di stagione all’Australian Open, culminato con la sconfitta in finale contro Jannik Sinner in tre set, Zverev sembrava destinato a una stagione da protagonista. Invece, i numeri dopo la finale Slam persa con Sinner, raccontano tutt’altra storia. Una storia di dubbi e perplessità, in quella trasferta sudamericana che forse, per sua stessa ammissione, sarebbe stato meglio saltare: eliminazione nei quarti a Buenos Aires con Francisco Cerundolo (3-6, 6-3, 6-2), sconfitte sorprendenti a Rio De Janeiro con Francisco Comesana (4-6, 6-3, 6-4) e ad Acapulco con il qualificato Leaner Tien (6-3, 6-4), infine l’uscita precoce a Indian Wells contro Tallon Griekspoor (4-6, 7-6, 7-6).
Quattro tornei, quattro sconfitte dolorose, non solo nel punteggio. Il dato più preoccupante è infatti la dinamica di queste partite: vantaggi sprecati, difficoltà nel chiudere i set, problemi nella gestione della pressione nei momenti cruciali, malesseri fisici che hanno caratterizzato il rendimento (basso) del tedesco. Il match contro Griekspoor è emblematico: avanti di un set, Zverev ha servito per chiudere il match nel secondo ma ha subito un contro-break evitabile. Da quel momento, come spesso accade nel tennis, gli inferi del tie break hanno fatto il resto, nel secondo e nel terzo set.
“Faccio sempre fatica contro di lui è sicuramente un giocatore complicato per me, ma devo guardare un po’ a me stesso, e non sono neanche lontanamente al punto in cui vorrei essere. Posso stare qui a cercare scuse, ma non sto giocando un buon tennis al momento. Devo trovare il mio gioco prima di pensare a ciò, perché per diventare numero 1 del mondo bisogna vincere i tornei. Al momento non ho superato il primo o il secondo turno. Quindi devo prima capire cosa fare“. Un’analisi cruda ma onesta da parte del tedesco, nel post match con Grieskpoor, che conferma quanto la crisi sia più mentale che tecnica. La capacità di riconoscere il problema è già un primo passo, ma il tedesco dovrà dimostrare di saper reagire in campo. Già da Miami.
Le cause della crisi: pressione e limiti tecnici e tattici
Come spiegarsi questo crollo? Di sicuro contribuisce un mix di fattori mentali, tattici e fisici. In primis, la costante coabitazione nella sua testa con un inquilino piuttosto ingombrante, conosciuto ai più con il nome di ossessione. Ossessione per il primo titolo Slam, ossessione per il numero 1 al mondo. È una presenza ingombrante nelle menti di molti tennisti e sportivi più in generale; se gestita può portare risultati inattesi, se sopraffatti può schiacciare chiunque. Anche i più teutonici. Il tedesco in questa fase sa di avere un’occasione d’oro per scalare la classifica. Ma questa consapevolezza sembra aver giocato contro di lui, aumentandone la pressione e rendendolo più vulnerabile nei momenti chiave.
Sul piano tattico, il suo gioco appare troppo leggibile. Se il servizio rimane era una delle sue armi principali mettiamo a referto, nel match con l’olandese, il 62% di prime in campo, e il 67% di punti vinti con la prima; se a questo aggiungiamo la prevedibilità degli scambi da fondo e una minore incisività nei colpi di chiusura, il perfetto cocktail senza sapore è servito. Dal punto di vista fisico poi il tema è quello legato alle sue vere condizioni di salute nei tornei giocati finora: “È stato un periodo difficile per me in Sudamerica. Mi sono ammalato due settimane su tre, il che non è il massimo. Ma insomma, volevo andare sulla terra battuta, volevo giocare quello swing. Ne ho sentito parlare molto bene, quindi volevo provarlo una volta. Sai, Buenos Aires è stata sfortunata per me, perché ho avuto un’intossicazione alimentare. A Rio ero nelle condizioni di vincere, ma lì faceva molto caldo ed era molto umido. Credo che in generale le condizioni fossero difficili”.
I più potrebbero malignare di un ipotetico treno delle scuse. Non noi. Sappiamo che le sue parole sono sincere; resta però da capire se tutto questo malessere possa aver lasciato degli strascichi. Le indicazioni dal primo dei due 1000 americani non sembrano essere le migliori.
Le prospettive per il futuro: Zverev può invertire la rotta?
Può e deve farlo, se vuole tornare protagonista. In primis, ammesso e non concesso che la pessima condizione fisica sia passeggera, Zverev dovrà cambiare l’atteggiamento, l’attitudine all’incontro e alla battaglia, riaccendere quel sacro fuoco che ad oggi negli occhi del tedesco non ritroviamo. L’aspetto mentale è il nodo principale: troppi passaggi a vuoto nei momenti decisivi, troppe occasioni mancate. Lavorare sulla gestione della pressione e ritrovare fiducia nel proprio tennis è la chiave per invertire questo trend così negativo da non essere suo.
Poi, è ovvio, servono aggiustamenti anche sul piano tecnico: maggiore variazione nei colpi, più aggressività nei momenti cruciali e solidità di gioco, specialmente nelle partite che si complicano, quelle partite, ad esempio, dove il servizio diventa l’alleato più fidato. One shot, one kill. Il tempo per reagire c’è, già da Miami, torneo nel quale è chiamato a ritrovare risultati e con essi fiducia e consapevolezza di poter meritare quel ruolo di antagonista principale al trono di Sinner. Una speranza, più che un augurio, perché nel contesto immobilista della Sicilia risorgimentale, tutto si è tenuto, nella continuità tra il passato e il futuro. Quella continuità che anche Zverev può ritrovare perché questa volta le cose, per lui, cambino (tutte) realmente.