Ramelli, 50 anni dopo. La Russa: “Milano era come Belfast, ventimila rossi contro mille ragazzi di destra”
Sembra ieri, a Ignazio La Russa, ma sono trascorsi 5o anni. La sera del 13 marzo di cinquant’anni fa un gruppetto di militanti di sinistra, appartenenti ad “Avanguardia Operaia”, aspettò sotto casa un ragazzino di 19 anni, liceale, militante del Fronte della Gioventù, e lo massacrò colpendolo alla testa con una chiave inglese lunga circa mezzo metro. La vittima era Sergio Ramelli: morì quaranta giorni dopo, poi, dopo dieci anni, furono scoperti i colpevoli e processati. Il terrorismo politico è finito? “Speriamo, ma è meglio tenere gli occhi aperti”, dice oggi il presidente del Senato, in una intervista su Il Giornale, nella quale ricorda l’omicidio di Sergio Ramelli e il ruolo da lui avuto in tutta la vicenda politica e giudiziaria di quel periodo.
Sergio Ramelli, la lezione ancora attuale per Ignazio La Russa
“Senza gli anni della violenza ‘spranghista’ forse il terrorismo non sarebbe mai arrivato a quel livello. La lotta nasce dall’epoca delle spranghe. Ne è una prosecuzione, allora i terroristi rossi volevano la dittatura del proletariato mentre la violenza di destra era figlia di una reazione, non di un progetto politico. Sullo stragismo invece non è ancora chiaro fino in fondo il coinvolgimento di apparati dello Stato e il peso della strategia degli opposti estremismi”, dice La Russa. Quanto al clima che si respirava a Milano, in quegli anni, il presidente del Senato ricorda: “Era come a Belfast. Però a Belfast si sapeva che c’era la guerra civile, e tutta la popolazione era coinvolta. Da noi c’era la guerra civile che riguardava 20mila a sinistra e mille a destra, come certificò il rapporto del prefetto Mazza. Tra loro e noi c’era una sproporzione anche di retroterra. A sinistra c’era il potere, il cinema, la cultura. Noi eravamo soli”.
Se uccidere un missino non era un reato…
Da avvocato dei familiari di Ramelli, La Russa ricorda tutte le difficoltà nella ricerca della verità. “Succedeva con una certa frequenza che un ragazzo di destra venisse aspettato sotto casa e sprangato. Per inciso non capitò mai invece che ci fosse un agguato sotto casa di un ragazzo di sinistra. Io ero coordinatore regionale del Fronte della Gioventù. Vennero nel pomeriggio in via Mancini delle ragazze a dirmelo: ‘Hanno picchiato Sergio, è grave in ospedale’. Gli chiesi di andare a vedere come stava. Tornarono molto preoccupate. Da quel giorno, per quaranta giorni, andarono tutte le mattine a trovarlo”. La Russa non andò mai: “No, temevamo che una presenza nostra, riconoscibile, potesse metterlo a rischio. C’erano molti infermieri di estrema sinistra”.
Il funerale con Almirante e il corteo sul marciapiede
Negli anni successivi molte volte ci sono stati dei cortei che sfilavano per Milano e gridavano uno slogan veramente infame: ‘Tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa tra i capelli’: “Sì, me lo ricordo. Allucinante. Ma la cosa più allucinante che io ricordi è il giorno del funerale. Siamo andati all’obitorio. A prendere la bara. La chiesa era vicina all’obitorio. Però era vietato fare il corteo. Ci dissero: camminate sul marciapiede. C’erano tutte le corone dei fiori da trasportare. Anche quella del presidente della Repubblica, Leone. Però il presidente la mando’ un po’ di nascosto, senza i corazzieri. Noi in fila sul marciapiede e dalle finestre si affacciavano i compagni che con i teleobiettivi ci fotografavano. C‘erano Almirante, Servello, mio padre, altri parlamentari, ma tutti missini, e tanti ragazzi. Facemmo anche i manifesti: giustizia per Sergio: non vendetta”.
L'articolo Ramelli, 50 anni dopo. La Russa: “Milano era come Belfast, ventimila rossi contro mille ragazzi di destra” sembra essere il primo su Secolo d'Italia.