Dall’antimafia dei fatti alla giustizia giusta: la via italiana che manda ai matti boss e caste
La prova del nove per testare la concretezza delle tesi di Giorgia Meloni e del governo sul tema giustizia l’ha fornita la chiacchierata intercettata dei boss palermitani pubblicata da Repubblica: «Questa Meloni, minchia, parla come una disonorata…». Così si lamenta il narcotrafficante esclamando, con grande amarezza, «non si cambia niente». Quel «niente», come abbiamo ricordato sul Secolo d’Italia, è il 41bis: il carcere duro per i mafiosi. Una misura che a sinistra da anni in tanti vorrebbero rivedere, alleggerire (come è avvenuto nel caso del terrorista anarchico Alfredo Cospito), al contrario di ciò che sostiene – in maniera compatta – la destra politica: d’accordo con i magistrati più esposti nella lotta alla criminalità organizzata. Così come d’accordo lo sono stati, parliamo sempre dei pm antimafia, con il primo provvedimento dell’esecutivo di destra-centro, riguardante un altro presidio fondamentale per lotta alle mafie: il mantenimento dell’ergastolo ostativo. Magistrati rassicurati, in prima persona dalla premier, pure sul tema su cui si erano scatenati i gazzettieri vicini alle Procure: la riforma delle intercettazioni. Sui reati di mafia e quelli collegati la normativa non si tocca, ha assicurato Meloni. E così è stato. Il risultato di questo combinato a cui si aggiungono le imponenti retate – come avvenuto negli ultimi giorni – gli arresti eccellenti e le bonifiche di territori restituiti alla collettività? I mafiosi stessi, come si legge ancora nelle conversazioni captate, stanno arrivando a pensare di dover cambiare proprio aria: «L’Italia per noi è diventata scomoda».
Nei confronti di chi esercita la lotta antimafia, insomma, le risposte della premier e del governo sono state puntuali e serrate. Ma anche innovative, più che simboliche: pensiamo, ad esempio, al decreto Caivano e al modello che da qui si sta già esportando in tante territori di “frontiera”. Anche su questo versante il rapporto della premier con i magistrati in prima linea non solo contro la criminalità ma anche contro la dispersione giovanile è stato continuo e proficuo. Davanti a risultati del genere – frutto di un’alleanza solidissima fra poteri dello Stato – risulta assai fuori sincrono, allora, il battage politico e le polemiche che stanno accompagnando la riforma della giustizia, specialmente sulla separazione delle carriere e il sorteggio per il Csm. Campagne portate avanti non dalla magistratura in toto ma dall’associazionismo togato: specialmente da quelle correnti che esercitano il maggiore (e peggior) collateralismo con le attuali opposizioni. È con queste minoranze organizzate di magistrati – e con l’interpretazione estensiva e messianica che danno della loro funzione – che il dialogo risulta complesso. Non certo per volontà del governo né della maggioranza che sta sviluppando in Parlamento, seguendo fedelmente il dettato costituzionale, ciò che è stato votato e scelto dagli italiani.
Da una parte, dunque, emerge una magistratura “combattente” contro la criminalità organizzata, che trova nell’attuale governo tutte le sponde necessarie. Dall’altra una “militante”, più interessata a riempire i vuoti lasciati da un’opposizione incapace altrimenti (chiarissimo sul nodo immigrazione) di segnare un punto. Un approccio così diverso che si riscontra plasticamente nelle questioni che riguardano l’amministrazione della giustizia: i rappresentanti della prima, insieme alla maggioranza silenziosa dei togati, chiedono maggiori risorse e più funzionalità per svolgere al meglio il proprio compito; quelli della seconda li troviamo, spesso e volentieri, integrati nelle logiche del correntismo e di un consociativismo che negli anni gli ha permesso di coltivare sacche di protagonismo “politico” in tante Procure.
La “via italiana” alla giustizia, intrapresa dal governo, sta dimostrando chiaramente da che parte sta: quella di una visione liberale del sistema giudiziario e delle garanzie per i cittadini a cui si accompagna uno Stato forte, che mette nelle condizioni i magistrati e le forze dell’ordine di aggredire in tutti i modi necessari le mafie. Di questo hanno bisogno i cittadini. E con loro anche i tanti giudici che non hanno – e non vogliono avere – altra bandiera da servire che il Tricolore.
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