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Nato e dazi: la prima sfida per l’Europa con se stessa, non con Trump. È l’ora di entrare nell’età adulta

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Da quando iniziò a esistere, 1957, l’Europa cosiddetta Unita ha trascorso una vita… ma no, una sopravvivenza lenta e tranquilla, con il massimo scossone di aver deciso come i tappi debbano o no far corona alle bottiglie; provvedimento davvero epocale, assieme alle fiscelle di plastica delle ricottine; e intanto il mondo le crollava addosso come al sapiente stoico di Orazio, e l’Europa restava insensibile; e non certo per filosofia, bensì per incapacità. Oppure: questa Europa, nata per le ricottine e per i tappi, meglio non potrebbe fare, giacché, insegna il Vico, natura delle cose è il loro nascimento.

Il mondo, a dire la verità, non sta crollando; però è in frequente agitazione. Prendiamo la guerra tra i Palestinesi (detto in generale) e lo Stato d’Israele, a proposito della quale l’Europa osserva un pio silenzio; o la guerra sul Don, e la speranza di far danno alla Russia con le sanzioni, rivelatasi vana. E qui mi verrebbe un bel paragone storico, però mi taccio, se no pare brutto.

Adesso questa Europa dovrebbe affrontare due problemini non da poco: il ripensamento generale della Nato (ne abbiamo già parlato) e tale da far nascere una Nato a due poli, il che, in pratica, non sarebbe più la Nato: la Nato… o quel che ne rimarrebbe se gli Europei dovranno spendere per le armi, e di conseguenza dovranno armarsi; e, ove e come necessario, fare uso della forza. In questo caso, l’alleanza andrebbe radicalmente riconsiderata; e magari diventare aequo iure, cioè a reale parità di condizioni con gli Usa: e sarebbe un’alleanza temporanea e con date, non un destino eterno.

Problema ancora più arduo, i paventati dazi del nuovo protezionismo americano. Non sono la quadratura del cerchio o la scoperta della pietra filosofale, sono questioni politiche ed economiche, sono rapporti tra Potenze economiche e politiche, che in un modo o nell’altro si possono discutere e risolvere. Si possono, ma non attendendo si sbrighino da soli e miracolosamente, bensì se qualcuno è capace di mettere mano con autorevolezza e accortezza. Qualcuno, chi? I dazi e le protezioni sono sempre stati praticati; i liberisti puri li detestano, per la loro laica ma fanatica religione del libero mercato; ad altri paiono difesa delle realtà locali. In realtà la verità è in mezzo, e molto spesso le decisioni economiche d’incentivo e protezione debbono utilmente essere guidate dalla politica. Per dirla con una frase antica, sarebbe la finalità non economica dell’economia. E quanto ai rapporti fra territori ed economie, si possono trovare accordi e punti d’incontro. Qualcuno ha detto che una trattativa riesce quando tutti gli interlocutori se ne vanno un poco insoddisfatti, dopo aver ottenuto il massimo possibile, che non è mai il massimo ma il possibile.

Se bisogna intraprendere trattative, bisogna essere in due, ed entrambi credibili. Uno degli interlocutori è il presidente Usa per quattro anni, eletto e sostenuto da una maggioranza pesante; l’altro, l’Europa, è una cosa che nemmeno si può chiamare confederazione, anzi manco alleanza, e sono ventisette governi di matrice diversa quando non opposta, e ciascuno per conto suo in politica estera, dazi inclusi. Non ci sono dunque due interlocutori di pari forza, ma un interlocutore da una parte e mezzo interlocutore dall’altra, anche meno di mezzo. Questa Europa, nata e rimasta a sette decenni fa, non è in grado di affrontare il nuovo; e non lo sono i suoi esangui intellettuali politicamente corretti, che si contentano di piangere e parlare male di un Trump il quale non sa manco se esistono, e se lo sapesse non ne resterebbe minimamente commosso.

Come tantissime altre faccende, anche l’Europa dev’essere riformata… o piuttosto deve uscire dall’infanzia, e diventare adulta. Fuor di metafora, deve smettere di legiferare sui tappi e altre bagattelle, e assumere una dimensione politica. Altro discorso, ovvio, è come fare; però non inizieremo mai, se non prendiamo atto, e se non diciamo a chiare lettere che questa Europa non ha consistenza, e, semplicemente, va rifatta… o fatta, perché ancora non c’è. Servono istituzioni politiche, e non più uffici popolati da passacarte di non definita origine. Non sarebbe molto difficile. Quello che mi pare più arduo è un pensiero europeo (decorative e vaghe utopie a parte!), che inizi a portare a qualche consistenza un principio di (altra frase antica!) Europa Nazione. Un compito culturale che si può affrontare con successo solo cercando delle comuni radici.

Va dunque combattuta la cultura antieuropea che ufficialmente dilaga anche attraverso un indebito e in molta parte fantasioso terzomondismo, derivato da un malinteso pensiero etnologico: si può, e persino si deve, portare rispetto a tutte le culture in senso etnologico, ma non è che qualsiasi cosa è equivalente all’Iliade e alla Divina Commedia. E altro è conoscere e studiare una qualsiasi cultura extraeuropea, altro è sopravvalutarla o persino farla propria. In Europa, come in Italia, urge una battaglia culturale dai toni netti e decisi, da combattere con le armi della cultura: letteratura, filosofia, storiografia, musica, teatro, cinema…

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