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L’intervista. Frassinetti: «Le scuole facciano di più sulle foibe: la speranza è nei ragazzi. L’Anpi? Dovrebbe tacere»

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«La speranza è in questi ragazzi, nel vederli così coinvolti quando scoprono questa tragedia». Negli ultimi tre giorni il sottosegretario all’Istruzione, Paola Frassinetti, è stata impegnata in una serie di visite, commemorazioni e incontri istituzionali nei luoghi delle foibe e dell’esodo. Ma sono stati gli incontri con gli studenti a rappresentare la vera mission del suo giro, perché «tutto il resto è importante, ma è ai ragazzi delle scuole che dobbiamo parlare prima di tutto». Frassinetti ha fatto tappa a Trieste, Gorizia, Padriciano, Redipuglia, Cividale del Friuli e a Basovizza, dove ha accompagnato una scolaresca arrivata fin dalla Sicilia e si è ritrovata di fronte a un gesto d’odio «inaccettabile»: la vandalizzazione della foiba con scritte in lingua slava.

Sottosegretario, che effetto le ha fatto trovarsi di fronte a quello scenario proprio mentre aspettava le scolaresche per parlare del valore delle memoria condivisa?
«Un effetto ripugnante. Si tratta di un gesto che offende il ricordo delle vittime e ostacola il cammino verso una memoria condivisa. È tempo di superare simboli divisivi e di promuovere una vera riconciliazione, fondata sulla verità e sul rispetto della storia. Alle ragazze e ai ragazzi ho parlato del significato di questa tragedia e di quanto sia grave un gesto come quello, che uccide ancora una volta le tante vittime di una pagina così dolorosa della nostra storia. Mi sembra che loro lo abbiano capito molto bene».

Che ragazzi ha trovato nei suoi incontri?
«Attenti, partecipi, in alcuni momenti commossi. Sempre molto coinvolti in quello che veniva detto».

Possiamo dire che, a 21 anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, il bilancio è positivo?
«Positivo sì, sufficiente no. Vedo che nonostante tutti gli sforzi e nonostante certamente siano stati fatti enormi passi avanti da quando di foibe non si parlava affatto, resta ancora molto da fare, e quanto avvenuto a Basovizza lo dimostra. Ci sono ancora libri che liquidano questo pezzo di storia italiana così drammatico in poche righe e professori che non affrontano l’argomento, che non rispettano neanche le direttive della legge sul 10 febbraio, che al secondo comma invece prevede che se ne parli, che ci siano approfondimenti e iniziative dedicate. Questo è un problema».

In compenso, in questo periodo assistiamo a certo attivismo dell’Anpi…
«L’Anpi non dovrebbe parlare di questo, visto che offre solo una ricostruzione di parte, faziosa, che spesso sfocia nel negazionismo e nel riduzionismo. L’Anpi dice che non è il caso di dedicare una statua a Norma Cossetto, medaglia d’oro al merito civile perché “Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”. Memoria condivisa per loro vuole dire che quello che non gli fa comodo va ricordatao come dicono loro. Questa è memoria faziosa, esattamente il contrario dello spirito della legge e, soprattutto, di ciò che dobbiamo alle vittime delle foibe e dell’esodo».

Perché crede che si sia ancora a questo punto?
«Perché c’è ancora chi ha difficoltà ad ammettere che il comunismo di Tito ha fatto una pulizia etnica, massacrando migliaia di italiani, torturandoli, costringendone centinaia di migliaia a scappare dalle loro terre. Cercano sempre il “contesto”, il nesso di causalità, ma c’è poco da fare: semplicemente quei nostri connazionali furono infoibati e scacciati perché italiani. Tant’è che ci furono anche dei comunisti tra le vittime. Non accettano che se ne parli, che i ragazzi siano informati, che le cose si raccontino per come sono state. Questo voler ancora minimizzare, mistificare significa ammazzare nuovamente quelle persone».

Pensa che negli ultimi due anni, da quando c’è la destra al governo, le iniziative riduzioniste siano aumentate?
«Penso che, come altri argomenti, anche questo si inserisca in un clima più teso, ma queste iniziative ci sono sempre state. Però, mi consola che si continuino a fare passi avanti per diffondere la conoscenza di quei fatti. Quest’anno è stata organizzata una mostra al Parlamento europeo, è la prima volta. È un segnale molto importante, far conoscere quello che è accaduto è fondamentale».

A proposito di Ue, che effetto le ha fatto vedere che a Strasburgo la sinistra italiana non ha votato la risoluzione che condannava i simboli comunisti sovietici insieme a quelli nazifascisti?
«Ha riguardato una parte, non tutti, ma quella parte ha dimostrato anche in quella votazione che mantiene intatti tutti i pregiudizi».

Tornando al ricordo delle foibe, cos’altro si può fare per radicarlo nella memoria collettiva?
«Bisogna informare. Far sapere quello che è successo, puntando soprattutto sulle scuole. Noi abbiamo potenziato i fondi per i viaggi in loco, che sono molto importanti. Io sono convinta della necessità di accompagnare i ragazzi in questi luoghi, perché si rendano conto e capiscano anche la complessità di quello che è accaduto, il fatto che oltre al massacro esiste l’esodo, con centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare la propria terra e hanno trovato mille difficoltà, dal viaggio che li porta nei campi profughi fino alla loro vita lì. Servono interlocuzioni con le scuole, dobbiamo capire quanto riescono a essere efficaci nel trasmettere queste memoria, trovare modi perché i ragazzi le facciano proprie, tanto più ora che per motivi anagrafici i testimoni diretti vengono meno. Io sono orgogliosa che ora il Presidente della Repubblica parli di qualcosa di cui prima non si parlava affatto, che ci siano le cerimonie istituzionali a Basovizza e altrove, ma mi interessa che questa parte di storia italiana arrivi nelle scuole, è lì che risiede la speranza che questo ricordo possa diventare davvero condiviso fino in fondo».

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