Meloni, l’avviso di garanzia e la riforma che vorrei. Pensando a Tacito e Machiavelli
Alla Meloni un avviso di garanzia… ma no, interviene l’Anm, è un avvertimento d’iscrizione nel registro… Io, come del resto quasi tutti, non ho prove che dietro la vicenda ci sia del dolo: ho indizi, ma gli indizi, come diremo ad altro proposito, vanno bene sui giornali, non in tribunale. Rinviando dunque l’eventuale scoperta se il dolo c’è o meno, attiro l’attenzione sulla sottile distinzione, che forse pare cosa seria a specialisti e legulei, ma per noi comuni mortali è nominalistica e ai limiti della stranezza. Arriviamo al fatto che, in pratica, un magistrato sta indagando sulla Meloni e su alcuni ministri. È lo stesso magistrato che voleva mandare sei anni in carcere Salvini, e gli è andata malissimo: e ciò appartiene alla categoria degli indizi.
Vediamo cosa ho capito. Un ufficiale libico (e fingiamo di non ricordare la devastazione del Paese nel 2011 per mano di Obama e Sarkozy), che si trova (come mai?) in Europa, viene accusato dalla Corte dell’Aja. Questa lo lascia passeggiare per tre Paesi, fin quando (oh, caso!) non arriva in Italia, dove, secondo la Corte, finalmente va arrestato. Segue un garbuglio di orari e aerei e rischio che resti libero, finché il governo fa l’unica cosa seria: se lo leva di torno.
Dietro tale fatto intricato si cela un’antologia di leggi e leggine e procedure e sentenze; e non solo nostrane, perché spuntano sempre delle convenzioni internazionali. Esempio: ne tirarono fuori una dimenticatissima da oltre mezzo secolo, quando vollero scansare la gattabuia a Carola. Non so quanti ricordano un caso avvenuto, o meglio non avvenuto durante il governo Conte Uno (2018-9), quello sostenuto da 5 stelle e Lega. L’Onu indice una riunione mondiale per affermare, dico grosso modo, il diritto di emigrare. Ebbene, nessuno del Conte Uno vi mise piede, o bastava aver firmato una foto ricordo o una cartolina illustrata, e subito scattavano o corti internazionali o qualche fantasioso giudice indigeno. Nessuna firma, perciò nessun guaio.
Qui serve la nota citazione di Tacito, che era anche avvocato: “Corruptissima re publica, plurimae leges”; cioè, uno Stato corrotto è zeppo di leggi. Pochi però conoscono la spiegazione: “Non modo in commune, sed in singulos latae quaestiones”; cioè, vennero presentate proposte a favore di singoli (e per singoli casi), e non più di valore universale. Ecco il nocciolo: ci sono troppe leggi, e troppe convenzioni, e troppe procedure, e di troppi livelli. Inizio da qui: ci sono troppi tribunali, anche speciali (“dei ministri”), e uno, la Cassazione, è diventata indebitamente un terzo grado di giudizio, da quando ogni azzeccagarbugli di villaggio è stato promosso cassazionista.
Di tutte queste leggi eccetera, qualcuno può approfittare in mala fede; e, paradossalmente più pericoloso, qualcuno anche in buona fede e prigioniero di trappole procedurali automatiche; e non cadendo nelle quali può, a sua volta, essere accusato di omissione di atti d’ufficio. Mi fermo, perché non sono del mestiere. Serve, urge, una radicale riforma di tutto l’apparato giudiziario: le persone, ma soprattutto le cose e i meccanismi. In breve: affrettare le riforme, anche con un referendum; effettuare una collazione di tutte le leggi, e correggerle, a cominciare da ridurle a poche e chiare parole; vanno radicalmente riscritte moltissime “contorplicate” leggi; e chi lo deve fare? Ma i giurisperiti: una categoria che, ahimè, vedo specie in via di rapida estinzione; e delle convenzioni eccetera internazionali, moltissime firmate allegramente da governi di inetti e che pensavano solo di fare scena; e denunziare (si dice così) i trattati, eccetera, ritenuti obsoleti per gli anni trascorsi e le mutatissime circostanze; e faccio, non a caso, l’esempio dell’art. 10 cost., scritto nel 1946 quando la Nigeria e il Bengala (oggi Bangla Desh) erano colonie inglesi, e non ne scappava nessuno, o, caso mai in Italia scappando, avrebbe trovato l’Italia occupata proprio da truppe inglesi; e articolo dove si parla di “straniero” (uno) e non certo di decine di migliaia; serve dunque anche una correzione del linguaggio, quando è superato e crea equivoci; la magistratura va ricondotta alla sua onorata funzione di potere giudiziario, cioè a fare il suo mestiere, che è di applicare le leggi, non di farle nelle sentenze: un magistrato può discutere le leggi nelle sedi competenti, e anche proporne, ma scrivendo saggi su apposite autorevoli e rigorose riviste giuridiche: vedi sopra per i giurisperiti; un magistrato deve sentire il dovere morale di non dividersi in correnti di nessuna natura; può pensarla come vuole, ma non quando indossa la toga; occorre anche un atteggiamento culturale e di pubblica opinione che eviti sia una sorta di mitizzazione dei giudici come fossero angeli scesi dal cielo e non fallaci esseri umani, sia il contrario, che pure sta dilagando, e il mito è diventato sfiducia, tanto più per le incomprensibili lungaggini, che sono l’ingiustizia peggiore: la magistratura deve correggere se stessa da storture e polvere e ruggine accumulate con il tempo; e anche con episodi poco edificanti. Come direbbe il Machiavelli: “Un regno [in senso lato] deve tornare spesso verso il proprio principio”.
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