Trent’anni di An. Senza rimpianti e senza nostalgie: quanto accadde era inscritto nel dna della destra
Riproponiamo l’editoriale dell’ex direttore del Secolo d’Italia, Gennaro Malgieri, uscito sul quotidiano il 28 gennaio 1995
L’ultimo atto del Movimento sociale italiano s’è consumato nell’approvazione sostanziale delle tesi congressuali presentate dal segretario del partito Gianfranco Fini. Un atto carico di emozione, ma che introduce la destra italiana in una fase nuova segnata dalla consapevolezza che il “secolo delle ideologie”, scandito da lacerazione e inimicizie assolute, è al tramonto. I congressisti che hanno decretato la fine dell’esperienza politica del Msi non hanno in alcun modo voluto mettere una pietra sul passato, ma proiettare la storia che hanno vissuto con il loro movimento in un più grande soggetto politico, idoneo a rappresentare le istanze dell’Italia profonda i cui valori, fin qui, sono stati quasi sempre o traditi o stravolti. C’e nell’ultimo atto missino non il senso di un’estrema unzione, ma di un battesimo, perché esso è, come correttamente è stato interpretato dai più, una promessa di vita nuova, il primo formale vagito, se si vuole, di quell’Alleanza nazionale che, unico caso nella storia italiana, è stata legittimata dal popolo prima che da un consesso partitico e come tale prende vita con crismi di libertà democratica assolutamente incontestabili.
An legittimata dal popolo prima che da un consesso partitico
Oggi i giornali scriveranno che Fini ha compiuto lo “strappo”, doloroso e necessario, con la storia del neofascismo, incarnato per decenni dal Msi. Forse si può anche dire così, stabilendo, dunque, una discontinuità che peraltro da tempo era nell’aria. Ma noi, se ce lo consentite, cari lettori, preferiamo dire che quanto è accaduto ieri a Fiuggi doveva inevitabilmente accadere perché iscritto nelle premesse culturali della destra. Il riconoscimento senza equivoci della libertà come valore irrinunciabile e la conseguente condanna di tutti i regimi che in questo secolo l’hanno conculcata, non poteva attendere ancora. E c’era bisogno di farlo nelle forme anche drammatiche che il “pronunciamento” ha assunto perché fosse chiaro che la concezione dello Stato, della società, dei rapporti tra le nazioni, propria della destra, discende da un’etica della libertà indisponibile ai contrabbandi più o meno facili, più o meno ideologici.
Una destra aperta all’avvenire e al confronto
Che questa destra sia realmente democratica nessuno può più metterlo in discussione, che essa si batta per il riconoscimento delle differenze è un dato difficilmente contestabile; che si impegni per i diritti delle minoranze è innegabile; che nel suo dna non vi sia alcuna dipendenza, neppure lontanissima, con sinistre suggestioni razzistiche e xenofobe, chiunque lo può verificare. E questa destra, aperta all’avvenire e al confronto, sa bene, come ha detto Fini, che non può avere gli stessi riferimenti politici del passato. Si assume l’onore di dichiararsi figlia di tutta la cultura italiana del ‘900 perché da essa ha origine il millennio che sta per nascere, senza separazioni. Sappiamo oggi, dopo aver attraversato il lungo deserto dell’incomprensione e della diffidenza, che i fratelli separati possono ricongiungersi , almeno idealmente, se da essi si è capaci di trarre ciò che va nella direzione della formazione di una nuova coscienza nazionale, al di là del fascismo e dell’antifascismo, ben oltre le casematte del partitismo tradizionale, fuori dalle prigioni concettuali.
Ci domandiamo oggi, dopo l’ultimo atto del Msi, che senso avrebbe avuto per una forza politica che ottiene milioni di voti continuare in una nobile quanto sterile opera di testimonianza senza poter incidere sul presente e contribuire a preparare l’avvenire. Ce lo domandiamo a fronte di quanti in questi giorni ci hanno richiamato a fatti, gesta ed uomini che appartengono alla storia intera dell’Italia. E rispondiamo come ha risposto il congresso: mollando gli ormeggi per inventare un’esperienza nuova capace di dare risposte concrete alle molte domande del popolo italiano. An nasce, dunque, senza rimpianti, senza nostalgie, senza riserve mentali. Prende il mare aperto quando il mare è più grosso. E lancia una sfida che democraticamente si augura che altri soggetti vorranno accettare. Ducunt fata volentem, nolentem trahunt.
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