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Il ritorno del latino a scuola? Un’occasione anche per gli insegnanti. Ecco perché

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Il latino ha sempre avuto molti e agguerriti nemici. Verso il II secolo a.C. a Roma si diffuse la moda del greco, combattuta fieramente da Catone, e a sberleffi da Lucilio e Catullo e Giovenale; e intanto lo Stato affermava senza scelte e tentennamenti che la lingua latina era il solo strumento della politica, dell’amministrazione e dell’esercito; e presto lo fu anche della letteratura. Occorrevano grammatica e sintassi, e sono quelle che durante l’Impero, durante il Cristianesimo, durante l’Età Moderna hanno costituito il latino com’è comunemente inteso e per secoli studiato a scuola.

Altro discorso è il latino parlato da cui derivano non solo i dialetti ma anche l’italiano e le lingue neolatine. Vero che nel XIII secolo san Francesco d’Assisi e Federico II si accorsero che il latino non era più parlato e capito; e Dante compose i suoi mirabili versi in una lingua accessibile a tutti. E anche gli umanisti, mentre esaltavano il latino, tornavano al volgare. Ben più violenta l’offensiva di Lutero con il “los von Rom”, e la traduzione dei Testi Sacri nelle lingue nazionali. La Chiesa Cattolica, con il Concilio di Trento, fece del latino la sua lingua simbolo, ma alla fine dei conti ciò si ridusse ai riti, alle norme e alla teologia. Un’esplicita proposta di abolizione del latino venne affacciata dalla sedicente Repubblica Cisalpina (1797-1802), suscitando lo sdegno del Foscolo con il sonetto “Te, nudrice alle Muse”. Ventata eversiva breve, mentre la scuola restava fedele al latino, anzi i Paesi più protestanti assursero a patroni della filologia classica, a gara Gran Bretagna e Germania.

La riforma voluta dal primo governo Mussolini, e affidata a Giovanni Gentile, era incentrata su un Ginnasio quinquennale, di cui il primo Triennio con il latino, il seguente Biennio anche con il greco e un severissimo e selettivo esame; quindi un Triennio detto Liceo. Il Triennio inferiore dava anche accesso agli Istituti Tecnici di vari indirizzi. Fu necessario qualche ritocco, come lo scientifico quinquennale senza greco. Nel 1939, mutate in meglio le condizioni sociali, varò la sua riforma Giuseppe Bottai, istituendo la Scuola Media Unica (Smu) in luogo del Triennio ginnasiale; mantenendo il latino, ma aggiungendo materie pratiche e d’indirizzo al lavoro. Queste però sparirono, nel Sud, e dopo il ‘45 in tutta Italia, per effetto dell’influenza di Croce sul fugace governo Bonomi (giugno-dicembre 1944).

Torneranno materie tecniche, in qualche modo, nel 1962, mentre subiva diverse vicissitudini il latino, ora abolito, ora facoltativo, ora approssimativo… fino alla sua recente sparizione da alcuni indirizzi dello Scientifico; e anche sul Classico avrei da ridire. Ora ecco l’annunzio di Valditara, musica per le orecchie dei classicisti; e che tuttavia richiede qualche analisi e riflessione. Va bene la scelta su base volontaria, anche perché credo che nemmeno i più beati sognanti sperino ancora che mandare al Classico il figlio, o meglio la figlia, sia una specie di titolo nobiliare da vantare con i cugini.

Va benissimo dunque studiare il latino, chi vuole, però se latino dev’essere, latino sia; e lo stesso, a suo tempo, il greco; come del resto qualsiasi materia, senza aprioristiche distinzioni. Affermiamo che non serve a nulla uno spruzzo di manzoniano latinorum tanto per, anzi confonde le idee e fa dilagare illusioni. E se vogliamo il latino, allora va studiato e insegnato come si deve, con declinazioni e coniugazioni e sintassi dei casi e del periodo. E con intelligenza, con metodo pratico, e senza scordare che “purus grammaticus, purus asinus”.

E qui occorre guardarsi dalle insidie della burocrazia e del sindacalismo. Il docente di latino non dev’essere Rossi che ha più punti di Bianchi, compresi i punti tutt’altro che culturali; o che ha seguito dormienti corsi sulla pedagogia della domenica, tenuti da chissà chi spacciato per “esperto”. Un docente di latino è chi ha sostenuto con successo almeno due esami di latino all’università. E non basta: se, negli anni, non ha insegnato latino per fatti suoi o di graduatoria o di più comoda sede e altre trappole di leggi e leggine, ebbene le scuole abbiano il coraggio di impiparsene dei punteggi e del certificato di servizio, e scartare e scegliere secondo conoscenza e competenza. E se la competenza è stata dimenticata, ebbene, s’istituiscano corsi di (diciamo così) recupero: per professori, dico! Non c’è niente di vergognoso ad ammettere che la memoria si arrugginisce, e c’è bisogno di un intervento. Chissà se questo esempio del latino non si riverbererà anche sulle altre discipline? Sarebbe un gran passo verso restituire ai professori la centralità, che è fatta di autorevolezza, l’autorevolezza della cultura. Ne riparleremo.

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