Diario (immaginario) dal fronte artico: la campagna di Trump in Canada, raccontata da un giornalista embedded
Quello che segue è un lavoro di scrittura creativa. Il giornalista e scrittore Pierluca Pucci Poppi ha immaginato per il Secolo il diario dal fronte canadese di un giornalista al seguito delle truppe americane. Un divertissement che prende spunto dagli allarmi che sono seguiti alle parole di Donald Trump su Canada, Groenlandia e Panama e che proponiamo alla vigilia dell’insediamento del presidente eletto. Pucci Poppi, esperto di esteri, ha pubblicato su numerose testate italiane ed è stato corrispondente dall’Italia del settimanale francese Valeurs Actuelles. Autore di una corposa biografia di Gheddafi, ha pubblicato anche due romanzi ucronici: I giorni del martello e, insieme a Federico Bonadonna, 1973, due libri avvincenti, ironici e felicemente scritti, in cui trasferisce approfondite conoscenze storiche, culturali e di costume e le mette al servizio del gusto della lettura. Si tratta di romanzi piacevolissimi. Se ancora non li avete letti, fatelo. Ne vale la pena. A.G.
15 settembre 2025
Che strazio il Canada. Pianure, pioggia e guerriglia. Sono in un albergo di Ville de Québec, come è stata ribattezzata la capitale della parte francofona del Paese, dopo la recente indipendenza (si chiamava già così, ma ormai è vietato dire Quebec City). Inviato del New York Times con le forze armate americane per la “stabilizzazione” del nostro vicino settentrionale. “Embedded”, si dice. Piuttosto “imbullonato”, vista l’inesistente libertà di movimento, indagine e diffusione di notizie. La censura militare blocca qualsiasi articolo sgradito. E se la censura è, per definizione, di una stupidità oscena, quella militare è da concorso. Un giornalista sovietico, negli anni Settanta, disse, più o meno: «Voi occidentali potete scrivere quello che vi pare, vero? Sono bravi tutti. Noi dobbiamo essere sottili, raffinati, far passare il messaggio fra le righe, ingannare quei mentecatti della censura della Pravda e dei ministeri, comunicare in codice. Questa è una palestra che ti insegna a scrivere. Voi non sapete più scrivere. La libertà vi ha castrati». Vado a memoria. Ma il lodevole collega sovietico non poteva immaginare i social media, o la censura indiretta dei monopoli dell’informazione. Il collega di Le Monde, con noi fino a ieri, è stato rimandato in patria per un articolo critico sulla politica americana nella parte di Canada occupata. Per cui, se vogliamo rimanere al centro dell’azione, siamo costretti a seguire le direttive. O a tentare di emulare il collega sovietico.
16 settembre 2025
Questo diario mi servirà come base per un libro sulla campagna artica degli Stati Uniti, vista dall’interno. Lo pubblicherò all’estero, naturalmente. Non posso neanche scrivere in forma anonima sui social, per cercare di scambiare informazioni. Eppure, sono certo che il web sia pieno di testimonianze, video compresi. Ma non passano. Tutti i tecno-oracoli della Silicon Valley, Musk, Bezos, Zuckerberg, Pichai, sono dietro a Trump. Prima, per compiacere la nuova amministrazione, hanno eliminato il fact-checking (e la politica “woke” e “inclusiva” in azienda, che hanno sbandierato per anni). Poi lo hanno reintrodotto come “fact-checking patriottico” per combattere le “fake news disfattiste”. I tre uomini più ricchi del mondo, più l’amministratore delegato di Google. Facebook, Instagram, X, Google, YouTube, Threads eccetera slinguazzano il governo, così come la quasi totalità della stampa americana e dei grandi gruppi editoriali internazionali. Ah, l’idealismo, il progresso, il disinteresse…
17 settembre 2025
Droni canadesi (si suppone) hanno distrutto nella notte un deposito di carburante a nord di Quebec City (o come cazzo si chiama ora). Secondo me, i canadesi, che hanno finora rifiutato una battaglia convenzionale che non potrebbero vincere, ritirandosi a nord e a ovest, imitano le tattiche del Front de Libération du Québec degli anni Settanta: bombe, rapimenti (almeno un generale americano finora) e disinformazione, ove possibile. A questo aggiungono azioni che il FLQ aveva immaginato ma mai realizzato, per mancanza di mezzi: distruzione di infrastrutture strategiche come ponti, dighe, centrali elettriche. Surreale, dato che i terroristi del FLQ erano marxisti, volevano creare un Québec comunista e che i sopravvissuti alla repressione canadese si rifugiarono a Cuba da Fidel Castro.
18 settembre 2025
Un riepilogo, per mettere la crisi canadese nel contesto. La Groenlandia sembrava un bel colpo. Quando Trump dichiarò di non escludere la forza militare per annettersi quell’isola immensa, si abbrunarono i pantaloni di mezzo mondo. Ma se la giocò bene: milioni di dollari ai comitati per l’indipendenza, che erano già diffusi e radicati (non deve aver speso molto, dato che i groenlandesi sono meno di 57.000), corruzione diffusa, un referendum dubbio e il gioco è fatto. Groenlandia indipendente, il nuovo primo ministro che firma accordi con gli Usa per lo sfruttamento delle risorse naturali (43 dei 50 minerali considerati “critici” dal governo americano, tra cui i più vasti depositi di terre rare fuori dalla Cina; 52 miliardi potenziali di barili di petrolio al largo delle coste, cioè circa il tre per cento delle riserve mondiali, più facilmente sfruttabili grazie allo scioglimento dei ghiacci). Ogni groenlandese potenzialmente milionario in dollari. Un “emirato artico”.
«Come con la Louisiana e l’Alaska, espandiamo pacificamente la democrazia americana nel continente», dichiarò il presidente Trump. Il problema nacque dal fatto che lo sfruttamento di queste risorse avrebbe comportato notevoli danni ambientali. E il partito Inuit Ataqatigiit, cioè gli eschimesi, era sì per l’indipendenza, ma ambientalista. Da qui l’impiccagione del primo ministro “collaborazionista” in piazza del Parlamento a Nuuk (per i pochi che lo ignorano, la capitale della Groenlandia, 18.326 abitanti) e l’attacco con mortai alla base spaziale americana di Pituffik, nel Nord-Ovest del Paese. Mortai e droni sono forniti dalla Danimarca, ormai ex potenza sovrana sulla Groenlandia, e membro Nato nei guai, perché se uscisse dall’Alleanza Atlantica si troverebbe solo in mezzo al Baltico, vicino a una Russia maleducata.
Da qui l’ingresso di truppe americane in Groenlandia, per “pacificare” il Paese neo-indipendente. Senza mandato Onu, come in Iraq. E da qui la guerriglia Inuit. Un “Vietnam artico”, in cui le pattuglie Usa si fanno massacrare da eschimesi abituati al clima estremo, in un territorio difficilissimo che conoscono alla perfezione. Inoltre, l’esercito di terra americano è sempre più composto da minoranze etniche – latinos e neri – che non sembrano apprezzare le condizioni climatiche della zona (in realtà, non le apprezza nessuno, tranne i curiosi Inuit, che non sembrano aver voglia di spostarsi da quel posto di merda). Gli eschimesi vivono da generazioni pescando nel ghiaccio e cacciando orsi bianchi, foche e qualunque fauna di questo inospitale territorio. Figurarsi quanto è difficile cacciare ragazzetti della Louisiana o dell’Alabama. Le migliori truppe artiche degli Usa sono inchiodate in Norvegia e Finlandia, al confine settentrionale con la Russia, che potrebbe, se Putin ne beve uno di troppo, fare una mossa verso i Paesi Baltici. I danesi riforniscono di armi gli Inuit, tramite navi e sommergibili, e Washington non osa attaccarli, perché si tratta pur sempre di un Paese Nato, e data la situazione tragica nell’Alleanza Atlantica basta muovere un mignolo per destabilizzare definitivamente gli equilibri mondiali, già messi a dura prova. Oh, e il mondo intero ha riso a squarciagola quando l’inqualificabile Zuckerberg ha denunciato the Eskimo threat, la “minaccia eschimese”. Avranno igloo antiatomici?
20 settembre 2025
Ieri pausa, non mi andava di scrivere. Continuiamo a non avanzare. A questo punto continuo con l’affaire groenlandese. Dopo lo sbarco delle truppe Usa, anche il Canada invia un corpo di spedizione in Groenlandia, senza mandato Onu, come gli Stati Uniti. Scontri fra americani e canadesi, ed ecco l’opportunità: invadere il Canada per – indovinate – «stabilizzare la situazione e riportare il Paese alla normalità». Putin loda il presidente Trump per la sua «operazione militare speciale» in Canada e Xi Jinping annuncia il veto cinese alle Nazioni Unite – in subbuglio – contro qualunque mozione che si opponga al «ricongiungimento dei popoli anglosassoni del Nordamerica», spostando nel frattempo la flotta cinese verso Taiwan. Il Canada invoca l’articolo cinque del trattato Nato, chiedendo l’intervento degli alleati per proteggere il territorio canadese dall’invasione. Di un membro della Nato.
21 settembre 2025
Incidente diplomatico. L’esercito Usa è entrato inizialmente in Canada nel Québec francofono, ha messo al potere gli indipendentisti e ha riconosciuto la sovranità della nuova nazione. Trump ha persino ripetuto, in un francese imbarazzante, la celebre frase del presidente de Gaulle in visita in Canada nel 1967: «Vive le Québec libre», «Viva il Québec libero». Però gli indipendentisti québecois, che sono una vasta minoranza, con frange estremiste, hanno cominciato a prendersela con gli italiani, secondo loro colpevoli di aver votato contro il referendum sull’indipendenza del Québec del 1995 (50,58 per cento per il “Non”) e di essere stati quindi determinanti nella sconfitta dell’autodeterminazione. Le immagini degli italiani impiccati ai lampioni di Montréal, e i video dei linciaggi, pubblicati su Mastodon e Rednote, hanno indignato il mondo e fatto infuriare la premier italiana Giorgia Meloni, pur amica di Elon Musk e Donald Trump, ma al cui confronto Margaret Thatcher è Bambi il cerbiatto. Meloni, punto di riferimento della nuova amministrazione statunitense nell’Unione Europea, avrebbe minacciato Trump di «combinargli un casino» nei rapporti transatlantici. Troppo tardi: alcuni soldati italoamericani si sono costituiti in squadre della morte e hanno ucciso senza processo diversi québecois che scrivevano sui muri “Mort aux ritals” (termine dispregiativo francese per definire gli italiani) e “Materazzì salaud” (in riferimento alla finale di coppa del mondo di calcio del 2006, in cui il calciatore italiano Materazzi provocò – dopo aver subito una testata – l’espulsione di Zidane, la star – teppista della Francia, che perse la finale). Non ci si annoia mai.
22 settembre 2025
I canadesi hanno preso Seattle e avanzano in Alaska. La città sede di Boeing, Microsoft, Amazon e Starbucks occupata dall’esercito del Paese che gli Usa stanno invadendo. Pura follia. Gli Stati Uniti hanno le loro truppe migliori all’estero, per cui la Guardia Nazionale non ha resistito alle forze speciali di Ottawa. Il Canada ha ritirato l’esercito a occidente davanti all’avanzata americana, su posizioni difensive in questo Paese immenso, e ha attaccato a sud ovest i territori scarsamente difesi da Washington perché non ci si è mai aspettato un attacco da terra da quelle parti. Così facendo, i canadesi hanno occupato diverse basi militari Usa, ottenendo materiali – aerei, missili, artiglieria eccetera – che saranno loro utili per la guerriglia in corso. In fondo, canadesi e groenlandesi sono forse più stupidi degli iracheni?
23 settembre 2025
Caos a Panama. La presa del canale è stata facile, l’eliminazione della giunta golpista militare di sinistra – causata dal blitz americano – anche, ma la repressione della guerriglia, addestrata e armata da Cuba e Venezuela, arranca. Fino a oggi. Una petroliera piena di esplosivo è stata fatta saltare all’imbocco atlantico del canale, distruggendo le infrastrutture portuali. Il traffico fra Atlantico e Pacifico è fermo, i prezzi delle materie prime sono triplicati, le borse oscillano come ubriachi. Intanto, le guerriglie castriste e chaviste attaccano i centri urbani di Panama e i militari americani sono confinati nelle basi (prima del prossimo massacro indiscriminato o della fuga in stile Saigon 1975). Tutti i Paesi dell’America del Sud vogliono il ritiro degli americani, tranne il presidente argentino Milei, che sostiene che è necessario «privatizzare il Canale di Panama». La mozione di condanna all’Onu è stata respinta in Consiglio di Sicurezza con il veto – ovvio – degli Usa, sorprendentemente affiancati da Russia e Cina, e, per la prima volta, dal voto favorevole della Gran Bretagna, finora il più fedele alleato di Washington. I tentativi di Elon Musk di rovesciare il premier laburista Keir Starmer hanno seccato, infine, Downing Street, che minaccia il ritiro dell’ambasciatore. In fondo, il Canada è pur sempre membro del Commonwealth e sotto la sovranità nominale di quel mentecatto di Carlo III.
24 settembre 2025
Altri attacchi Inuit contro gli americani dal nord in Groenlandia, Canada e Alaska. Trump minaccia di bombardare a casaccio, tanto per non sbagliare. Il Segretario di Stato Rubio attacca la Cina, che starebbe rifornendo di armi i canadesi a Seattle. Putin offre a Trump un contingente ceceno per occuparsi degli eschimesi, perché, dice, «sanno come spegnere le insurrezioni». Tanti cari auguri. Le truppe Usa, e noi con loro, dovrebbero muoversi domani verso ovest, in direzione della capitale Ottawa, che Trump non ha ancora osato bombardare. Per quanto? Il governo canadese si è spostato a ovest, non si sa bene dove. Noi giornalisti non riusciamo a capire molto; le fonti sono poche e contraddittorie. La disinformazione è la norma.
È sera, dalle finestre dell’albergo si vede poco, ed è meglio così. Con alcuni colleghi (e, purtroppo, l’unica collega, racchia, baffuta e sovrappeso) stiamo per metterci a bere sul serio. Un amico miliziano québécois che finora, dice, non ha assassinato nessuno, ha portato un magnum di champagne rubato nella casa abbandonata di una famiglia italiana fuggita. Sta stappando. Aspetto il botto del tappo che esplode dalla bottiglia. Che rumore incantevole mi aspetta. Il botto. Sta per arrivare. Eccolo. Eccol…
Chiediamo a tutti i colleghi di diffondere il diario del nostro amico e collega del New York Times caduto in un attacco di droni Inuit a Quebec City, che ha distrutto l’albergo in cui alloggiava. La confusione nell’informazione sulle guerre americane in Canada, Groenlandia e Panama è enorme, per cui vorremmo che questo diario potesse contribuire a fare almeno un po’ di chiarezza su cosa è realmente successo nel nord del continente americano (e a Panama). Le flotte americane si stanno muovendo verso la Danimarca, Cuba, il Venezuela e l’Iran (considerato il fornitore di droni ai guerriglieri Inuit). Il caos è totale, per cui è essenziale avere ogni elemento possibile per prendere decisioni in una situazione di altissima tensione. Infine, questo diario era scritto su un quaderno, a penna. Le autorità americane hanno sequestrato ogni dispositivo elettronico dei morti e dei sopravvissuti, ma hanno lasciato perdere questo quaderno. Forse non sapevano che cosa fosse. Un collega lo ha raccolto e ce lo ha consegnato. Lo diffondiamo. Diffondetelo. Combattiamo.
(La foto di copertina è stata generata da Ai, utilizzando Dall-E)
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