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G7, ne è rimasta solo una: Meloni. Da Macron a Trudeau, così sono evaporati gli altri leader

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Alla fine è rimasta solo lei, l’underdog, quella su cui due anni fa in pochi erano pronti a scommettere. Con le dimissioni di Justin Trudeau da primo ministro del Canada, della foto di famiglia dei Sette Grandi, scattata appena sei mesi fa in occasione del G7 di Borgo Egnazia, Giorgia Meloni è l’unica leader a rimanere saldamente in sella. Tutti gli altri non sono più al loro posto e anche Emmanuel Macron, che pure lo mantiene, appare tanto traballante da non poter neanche essere considerato un’eccezione. E così, a conti fatti, l’unico elemento di continuità sulla grande scena mondiale resta il premier italiano. Del resto, Politico.eu alla vigilia di quel vertice era stato inequivocabile: «Sei anatre zoppe e Giorgia Meloni», aveva titolato con poco garbo e molta efficacia.

Emmanuel Macron, il primo a finire in crisi

Il primo a cedere è stato Emmanuel Macron che, con lo scioglimento dell’Assemblea legislativa all’indomani delle elezioni europee che hanno visto l’affermazione di Marine Le Pen, ha dato il via a una serie di eventi che hanno fatto piombare la Francia in una instabilità ancora irrisolta e la sua popolarità in un baratro di cui si stenta a vedere il fondo: un sondaggio pubblicato da Le Figaro un paio di giorni fa ha rivelato che il il 71% dei francesi considera «preoccupante» il presidente e che il 68% ritiene che l’unico modo per il Paese di uscire dalla crisi siano le sue dimissioni.

 I guai politici nel Regno Unito, da Rishi Sunak a Keir Starmer

Sono arrivate a inizio luglio, poi, le dimissioni di Rishi Sunak. Il premier britannico, a differenza del presidente francese, ha preso atto della crisi di consenso del suo partito e delle difficoltà del governo nel gestire la crescente pressione legata alla crisi finanziaria e ad alcuni scandali che hanno coinvolto membri del governo. E ha fatto un passo indietro, consentendo per lo meno al Regno Unito di provare ad andare avanti. Il suo successore, il laburista Keir Starmer, ce la sta mettendo tutta per non dover arrivare alle stesse conclusioni, ma politica di bilancio, dossier immigrazione e qualche scandalo che non ha risparmiato anche la sua squadra gli stanno dando non pochi grattacapi.

Il tramonto anticipato di Joe Biden

Procedendo ancora in ordine cronologico, si arriva a Joe Biden: era il 21 luglio quando il presidente in carica e ricandidato, sulla scorta di un pressing prima di tutto interno al suo partito, ha annunciato il suo passo indietro dalle presidenziali. Il resto è storia e, se non altro, tra un paio di settimane gli Usa avranno di nuovo una presidenza stabile e pienamente operativa.

Il passo indietro di Kishida in Giappone

A ottobre c’è stato, poi, l’avvicendamento alla guida del Giappone. Il premier uscente Fumio Kishida aveva annunciato ad agosto che non si sarebbe ricandidato, anche lui prendendo atto di una profonda crisi del consenso. Il testimone è passato a Shigeru Ishiba, che però in Parlamento non gode della stabilità del predecessore.

La sfiducia a Scholz e la fine della “coalizione semaforo”

Bisognerà aspettare marzo per sapere cosa ne sarà della Germania. I tedeschi andranno al voto anticipato il 23 febbraio, dopo che il 16 dicembre il Bundestag ha sfiduciato Olaf Scholz, mettendo la parola fine a un governo nato da elezioni con esito incerto, nelle quali l’Spd del cancelliere era risultato sì primo partito, ma senza i numeri per una maggioranza. Dopo due mesi di trattative è nata l’eterogenea “coalizione semaforo”, nella quale i socialdemocratici si sono messi con verdi e liberali. L’approdo al governo non è stato però accompagnato dalla capacità di governare, infatti la maggioranza è crollata sotto il peso delle divergenze e della crisi economica. Dal voto ci si aspetta ora una netta affermazione dei cristiano-democratici della Cdu, che i sondaggi danno oltre il 30%, e della destra dell’Afd, accreditata oltre il 18%.

Le dimissioni di Trudeau quando il Canada assume la presidenza del G7

Infine, le dimissioni di Trudeau, arrivate il giorno dell’Epifania. Benché il passo indietro fosse nell’aria da tempo, il premier canadese ha atteso l’inizio del nuovo anno per formalizzarle, con un contraccolpo diretto anche sul G7, la cui presidenza in questo 2025 è proprio del Canada. A condizioni date, dunque, tutto fa presagire che anche quest’anno l’Italia avrà un ruolo di leadership all’interno del Gruppo dei Sette, tanto più che la sua presidenza appena conclusa è stata salutata come un successo. E che Giorgia Meloni assuma il ruolo di voce europea più autorevole anche in seno a questa assise.

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