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PianetaEmpoli
Май
2025

Baldanzi: “Un onore per me crescere a Empoli, sono stati 13 anni di pura gioia”

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L’ex azzurro Tommaso Baldanzi, ora alla Roma, ha rilasciato un intervista ieri a Cronache di Spogliatoio dove ha parlato anche della sua crescita a Empoli.

Lei è cresciuto in un vivaio come quello dell’Empoli.
“Noi ci scherziamo, ma il vivaio di Empoli è come un forno: ogni anno escono ragazzi fortissimi. Anche lì, non so quale sia la pillola giusta, ma il lavoro che fanno con il settore giovanile è incredibile. Ci sono persone, anche anziane, che curano tutto in maniera maniacale e il presidente Corsi è fantastico per questi aspetti. Empoli è una piazza perfetta per un giovane: ti danno la possibilità di crescere, di sbagliare. Altrove sarebbe molto più difficile emergere e alla lunga potrebbe penalizzarti. È stato un onore crescere in quel vivaio: mi hanno insegnato a stare al mondo. Sono stati 13 anni di pura gioia. Alcuni sono stati come dei secondi padri per me, li ringrazierò per sempre”.

Che ricordo ha di quegli anni?
“A Empoli mi chiamavano “il Piccolo Buddha”. Era un soprannome che mi aveva dato mister Buscé in Primavera. Non sono mai riuscito a darmi una spiegazione. Me lo continuo a chiedere anch’io. In realtà, un motivo c’è, ma non l’ho mai capito. Con il mister ho avuto sempre un rapporto bellissimo, ci sentiamo ancora molto spesso. Insieme abbiamo vinto due Scudetti: il primo con l’U16. Ricordo ancora un suo discorso: “Tommy, devi credere di più in te e nei tuoi mezzi perché sei veramente forte”. Da lì, sono esploso, quelle parole mi hanno aiutato molto. E poi anche con la Primavera dove ho fatto in finale una doppietta all’Atalanta: si è chiuso un ciclo. Era un gruppo bellissimo, molto unito. Ci divertivamo davvero tanto. Nessuno avrebbe mai scommesso un euro su di noi, è stata una cavalcata stupenda. È stato bello finire in quel modo, prima che ognuno prendesse la sua strada. A Empoli condividevo la stanza con Asllani: abbiamo un bellissimo rapporto, ci sentiamo spesso, ma ancora non gli ho scritto per la finale di Champions. Non volevo rompergli. Gli voglio davvero bene, ma aveva un grande difetto: non sentiva le sveglie. Le fissava un’ora e mezza prima, così un giorno non ce l’ho fatta più e gli ho detto: “Fermati, fermati! Le metto io e ti chiamo”. Me lo ricordo ancora”.

Che ricordo ha di quel gol all’Inter con la maglia numero 35?
“Quando ho segnato a San Siro contro l’Inter non ci ho capito davvero più niente. Fare gol in uno stadio del genere è il sogno di ogni ragazzino. E poi non ha prezzo: quel gol ci ha fatto vincere la partita avvicinandoci al nostro obiettivo. La maglia numero 35? Ci sono molto legato adesso, ma all’inizio non c’era un vero e proprio motivo. Ero con i magazzinieri dell’Empoli, dovevamo sbrigarci e scegliere velocemente il numero perché dovevo andare in panchina. C’erano il 32, il 33 e il 35. Ero indeciso: “Non lo so, boh”. E uno di loro: “Dai, metto il 35”. L’anno dopo, quando ero in pianta stabile in prima squadra, gli ho detto: “Eh ormai avete deciso, mettete il 35”. C’era libero anche il 10, il mio numero preferito da bambino, ma ero sicuro: “No, abbiamo deciso il 35. Andiamo avanti con quello”. E quindi a Roma è venuto da sé prenderlo”.

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