Shutdown Usa: tutti i nodi politici e le divisioni tra democratici e repubblicani
Negli Stati Uniti è tornato lo shutdown: il blocco delle attività federali considerate non essenziali. Il tutto è scattato a mezzanotte del primo ottobre: allo scadere, cioè, dell’anno fiscale 2025. Entro quella data, i parlamentari repubblicani e democratici avrebbero dovuto approvare il finanziamento del governo federale: un obiettivo che non è stato tuttavia conseguito. Negli scorsi giorni, i due partiti avevano discusso sulla possibilità di una misura tampone che avrebbe sbloccato i finanziamenti al governo fino a novembre: l’idea era infatti quella di prendere tempo, per negoziare nel frattempo un accordo di lungo termine. Le trattative sono tuttavia saltate. I democratici chiedevano che nella misura tampone fosse inclusa l’estensione dei sussidi di Obamacare per le polizze sanitarie, che dovrebbero scadere il 31 dicembre. I repubblicani hanno invece replicato che il tema avrebbe dovuto essere affrontato tra novembre e dicembre. L’ultima volta che si era verificato uno shutdown era stato a cavallo tra il 2018 e il 2019: all’epoca, durò 36 giorni e avvenne durante le vacanze di Natale.
Lo scontro politico e i rischi
Come che sia repubblicani e democratici si stanno reciprocamente attribuendo la responsabilità della chiusura. Va detto che, dal punto di vista politico, uno shutdown si rivela sempre piuttosto rischioso. Inoltre, visto che la sanità rappresenta un tema sensibile, si potrebbe ritenere che il pericolo maggiore incomba su Donald Trump e sul Partito repubblicano. Tuttavia attenzione. Innanzitutto, martedì, il presidente americano si è, almeno in parte, coperto politicamente, raggiungendo un accordo con Pfizer: un accordo, sulla cui base l’azienda si è impegnata ad abbassare il costo dei propri prodotti farmaceutici. In secondo luogo, è sempre più probabile che Trump voglia far leva sullo shutdown per conseguire uno dei suoi obiettivi storici: ridurre sensibilmente il numero di dipendenti pubblici. Axios ha riferito ieri sera che, secondo il direttore dell’Office of Management and Budget Russell Vought, l’amministrazione americana inizierà a licenziare i dipendenti federali “tra un giorno o due”. Lo stesso JD Vance, sempre ieri, non ha escluso dei siluramenti, qualora lo shutdown dovesse protrarsi a lungo.
Trump tranquillo, democratici divisi
Insomma, Trump, almeno per ora, non sembra granché preoccupato della chiusura. Il quadro appare invece ben diverso per i democratici. Il board editoriale del Washington Post ha sostenuto che i parlamentari progressisti stanno spingendo l’Asinello verso una “direzione disastrosa”. Il nodo vero è che il Partito democratico appare tutt’altro che compatto al suo interno. Il deputato dem, Jared Golden, ha puntato direttamente il dito contro l’“estrema sinistra”, mentre, secondo Axios, anche alcuni senatori democratici centristi sono irritati con l’ala progressista del loro partito. A questo si aggiunga che storicamente la sinistra dem non è avvezza ai compromessi: ragion per cui, anche qualora si dovesse raggiungere un compromesso teorico con i repubblicani, quel mondo potrebbe decidere di mandare tutto all’aria.
Il dramma politico di Chuck Schumer
In questo quadro, si sta infine consumando il dramma politico del capogruppo dem al Senato, Chuck Schumer. Dietro le quinte, avrebbe preferito evitare lo shutdown, appoggiando una misura tampone che consentisse di proseguire le trattative con il Gop. Tuttavia, a livello pubblico, si è visto costretto ad abbracciare una linea barricadiera, visto che, a marzo, la sinistra lo aveva accusato di eccessiva arrendevolezza nei confronti dell’amministrazione Trump. A peggiorare la situazione per lui sta il fatto che rischia di trovarsi conteso il seggio senatoriale newyorchese dalla deputata dem ultra-progressista, Alexandria Ocasio-Cortez.