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Ebrei sotto assedio in Europa: dall’attacco alla sinagoga di Manchester agli arresti di Berlino

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Tre persone hanno perso la vita – oltre all’assalitore, colpito a morte dagli agenti – in un violento attacco compiuto davanti a una sinagoga di Manchester proprio nel giorno dello Yom Kippur, la ricorrenza più solenne del calendario ebraico. L’uomo, la cui identità non è ancora stata resa nota, si è lanciato con l’auto contro alcuni passanti e, subito dopo, è sceso dal veicolo accoltellando diversi presenti. La polizia lo ha fermato sparando. Secondo quanto riferito dalla polizia locale, l’allarme è scattato alle 9:31, quando un cittadino ha chiamato per segnalare l’attacco davanti alla sinagoga Heaton Park Hebrew Congregation in Middleton Road. Il testimone ha parlato di un’auto che puntava contro i pedoni e di una persona accoltellata. Alle 9:38 gli agenti hanno abbattuto l’aggressore, mentre i soccorritori sono arrivati alle 9:41. Quattro i feriti, tre dei quali non ce l’hanno fatta e sono deceduti all’ospedale. Le autorità hanno invitato la popolazione a evitare la zona. Il sindaco Andy Burnham ha definito l’accaduto «gravissimo», assicurando però che «non ci sono minacce imminenti» dopo il rapido intervento delle forze dell’ordine. La polizia ha classificato l’episodio come «atto terroristico». Un video girato nei momenti concitati mostra un agente che urla: «Allontanatevi, ha una bomba!». Le immagini fanno pensare a una cintura esplosiva indossata dall’attentatore, ipotesi non ancora confermata ufficialmente. Proprio per questo gli artificieri sono stati chiamati a intervenire con mezzi speciali. L’uomo appare calvo, con barba folta, abiti da addestramento e involucri bianchi legati alla vita.

Le reazioni

Il primo ministro britannico, Keith Starmer, ha scritto su X: «Sono inorridito dall’attacco alla sinagoga di Crumpsall. Il fatto che sia avvenuto nel giorno più sacro per il popolo ebraico lo rende ancora più terribile. Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime e ringrazio i servizi di emergenza per la loro prontezza». In una nota firmata assieme alla regina Camilla, Re Carlo III si è detto «scioccato e addolorato» per l’attentato, sottolineando la gravità del fatto che sia stato compiuto «in una data tanto significativa». «I nostri pensieri e le nostre preghiere vanno a quanti sono stati colpiti da questo terribile episodio», hanno dichiarato i sovrani, elogiando al contempo la rapidità della risposta delle forze di sicurezza. «Condanno con assoluta fermezza l’attacco alla sinagoga di Manchester, un atto gravissimo contro la comunità ebraica nel giorno dello Yom Kippur» ha scritto il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. «Il popolo ebraico e tutti noi siamo sotto attacco: i valori di libertà religiosa, tolleranza e rispetto che sorreggono le nostre democrazie non possono essere messi in discussione. Non dobbiamo dimenticare gli orrori del passato. Insieme dobbiamo difendere pace e libertà. Esprimo la mia vicinanza ai familiari delle vittime e al governo britannico»

Uomini di Hamas arrestati a Berlino

Se il Regno Unito si trova ora a fare i conti con questo attacco, la Germania è ancora scossa dagli arresti compiuti ieri a Berlino, dove i procuratori federali hanno annunciato la cattura di tre presunti membri di Hamas. I fermati – identificati come Abed Al G., cittadino tedesco; Wael FM, libanese; e Ahmad I., anch’egli tedesco – sono accusati di aver tentato di procurare armi e munizioni per preparare un attentato contro obiettivi israeliani o ebraici in territorio tedesco. Secondo le indagini, già dall’estate i tre uomini avrebbero lavorato per ottenere un arsenale che comprendesse pistole, munizioni e perfino un fucile d’assalto AK-47, poi sequestrati durante il blitz. L’inchiesta, seguita da vicino dal settimanale Der Spiegel, ha portato alla luce anche incontri tra i sospettati e figure legate a reti transnazionali dell’organizzazione palestinese.

Due episodi a poche ore di distanza, in due capitali europee centrali, non possono essere letti come coincidenze isolate. La loro sequenza rischia di segnare un nuovo allarme sulla capacità di Hamas e di altre sigle jihadiste di proiettare influenza operativa in Europa, direttamente o tramite simpatizzanti radicalizzati. Gli apparati di sicurezza sottolineano che non si tratta soltanto di singoli squilibri, ma di una strategia più ampia che punta a colpire simboli visibili dell’identità ebraica: sinagoghe, scuole, centri comunitari. Non è un caso che in diverse capitali, da Parigi a Bruxelles, siano già stati rafforzati i dispositivi di protezione intorno ai luoghi sensibili, in particolare durante le festività dello Yom Kippur.

Sul piano politico, i governi si muovono tra solidarietà e allerta. A Londra, Downing Street ha espresso «vicinanza alla comunità ebraica britannica» e ha confermato che l’attacco è oggetto di indagini congiunte tra polizia locale e servizi di sicurezza interni. In Germania, il ministro dell’Interno ha parlato di «estrema serietà» delle accuse rivolte ai tre sospettati di Berlino, sottolineando che «non saranno tollerati legami di alcun genere con Hamas».

La coincidenza temporale tra Manchester e Berlino non può che essere interpretata come un segnale. Da un lato, la minaccia degli attentatori solitari, capaci di agire senza preavviso e con mezzi rudimentali – come un’auto e un coltello – trasformati in armi di morte. Dall’altro, la possibilità che cellule organizzate tentino di portare il conflitto mediorientale sul suolo europeo, con l’aiuto di reti logistiche e finanziarie esterne. Per le comunità ebraiche, da tempo in prima linea contro l’odio, la sensazione è di un ritorno al passato: le immagini della sinagoga di Manchester circondata dalle ambulanze ricordano quelle di Tolosa nel 2012, di Copenaghen nel 2015, di Halle nel 2019. Ogni volta, la promessa di «mai più» sembra infrangersi davanti alla persistenza di un antisemitismo armato che riemerge con volti diversi ma con lo stesso obiettivo: colpire l’identità ebraica. Il rischio, avvertono gli analisti, è che l’Europa si trovi di fronte a un autunno ad altissima tensione: da un lato gli attacchi individuali, difficili da prevenire, dall’altro i tentativi di gruppi organizzati di sfruttare la rete jihadista internazionale. E se la minaccia resta, la domanda inevitabile è se i sistemi di intelligence e le misure di protezione saranno sufficienti a fermare la prossima aggressione.