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Più che di droni, sarà un muro di soldi: l’Europa prepara la sua difesa Ue

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Togliete dal vostro immaginario il muro di droni nella figura di una “barriera” anti-Putin. Ammesso che l’idea diventi realtà, si tratta di mettere in grado i Paesi europei di produrre rapidamente e in modo più economico aeromobili, imbarcazioni anche subacquee e rover, tutti a controllo remoto e dotati di crescenti funzionalità ottenute con l’impiego dell’intelligenza artificiale.

Due problemi strutturali e la spinta tedesca

Due i punti fondamentali, il primo: l’Europa ne produce pochi, troppo lentamente e costosi. Il secondo: i Paesi baltici avevano già chiesto a Bruxelles dei fondi per questo scopo. Ma soltanto ora che la Germania ha deciso di riarmarsi e che un colosso come Rheinmetall ha fatto un accordo con l’americana Anduril, il progetto può essere realizzato come piace a Ursula von der Leyen. E all’indomani dell’incontro in Commissione europea, questa perfezionerà ora una “Roadmap” per la difesa che sarà pubblicata tra due settimane, prima che i leader si riuniscano per un altro vertice per prendere decisioni.

Il sostegno dei leader e gli episodi che accelerano il dossier

I leader dell’Unione, riuniti ieri a Copenaghen, hanno espresso ampio sostegno alle proposte per accelerare lo sviluppo della tecnologia dei droni e quella dei “droni anti-droni” e per utilizzare i beni russi immobilizzati per prestare denaro all’Ucraina. Non a caso, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, al termine dell’incontro informale nella capitale danese, ha dichiarato: “I leader hanno ampiamente sostenuto i primi progetti prioritari che rafforzeranno la sicurezza dell’Europa, tra cui il muro europeo dei droni e il sistema di sorveglianza del fianco orientale.” La spinta per procedere, neanche a dirlo, è stata trainata dalle presunte violazioni dello spazio aereo in Polonia, Estonia, Romania e Danimarca. Dopo quegli eventi la Commissione europea aveva pubblicato un cosiddetto Scoping Paper nel quale delineava, tra le altre idee, quattro “progetti faro” che ritiene debbano essere finanziati e attuati con urgenza. Tra questi, appunto un “muro europeo dei droni”, un sistema di sorveglianza del fianco orientale, uno scudo di difesa aerea e uno per la difesa spaziale.

Le posizioni di Danimarca e Commissione

Mette Frederiksen, primo ministro danese, ha affermato: “Dobbiamo rafforzare la nostra produzione di droni e le nostre capacità di contrasto anti-droni. Ciò include la creazione di una rete europea in grado di rilevare e neutralizzare le intrusioni. Dobbiamo quindi creare un ecosistema europeo che consenta all’Europa di sviluppare soluzioni all’avanguardia per i droni, ispirate a quanto già fatto in Ucraina.” La presidente von der Leyen ha puntualizzato: “Dobbiamo fornire la più forte deterrenza possibile, su vasta scala e rapidamente. E questo è stato il fulcro della discussione. C’è un chiaro senso di urgenza, perché preservare la pace è sempre stato un compito fondamentale dell’Unione Europea.” Tra due settimane sarà quindi presentato un programma che si baserà sulle discussioni che i leader hanno avuto ieri primo ottobre e che delineerà gli obiettivi di capacità, in vista di una decisione in un vertice formale previsto per la fine del mese.

Il nodo del finanziamento: asset russi ed Euroclear

Ma dal punto di vista finanziario la cosa è differente: si tratta di dare ai Paesi baltici qualche decina di milioni di euro presi dai conti russi congelati dopo il febbraio 2022 e di dare 140 miliardi di euro a Kiev prelevandoli da Euroclear, il depositario centrale di titoli con sede a Bruxelles. E tale prestito sarebbe erogato gradualmente nel tempo, soggetto a determinate condizioni. Come per esempio all’Ucraina verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che Mosca avrà accettato di risarcire all’Ucraina i danni causati dal conflitto. Quindi, presumibilmente mai, nonostante la Ue lo abbia definito “Prestito di riparazione”. Successivamente, la Commissione europea rimborserebbe Euroclear e quest’ultima rimborserebbe la Russia, completando il cerchio.

I dubbi del Belgio

Quasi tutti i leader europei si sono detti favorevoli, l’unico a non essersela bevuta è stato il primo ministro belga Bart De Wever, il quale durante il dibattito ha preso la parola ed espresso preoccupazioni di carattere legale, tecnico e di rischio: come sarebbe gestita dall’Unione un’eventuale insidia, inadempienza o causa legale senza lasciare il Belgio a cavarsela da solo in quanto sede di Euroclear?

Che cosa sarà davvero il “muro” e il ruolo dell’Ucraina

Dunque il muro di droni non sarà mai un muro fisico né uno stormo di oggetti volanti, piuttosto una rete di sistemi di rilevamento e intercettazione basata sulle capacità anti-droni dei singoli stati membri dell’Unione europea, unito a un numero di fabbriche specializzate e a una filiera di fornitura che deve comprendere anche i microprocessori che oggi compriamo da Taiwan. Ma sfruttando il know-how sviluppato in Ucraina durante la guerra, convertendo buona parte della sua industria aeronautica leggera – era il secondo produttore di aeroplani sportivi del Continente – alla produzione di droni.

Tempi realistici e rischi di obsolescenza

Fortunatamente qualcuno con idee più concrete c’è: qualche giorno prima dell’incontro il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius aveva avvertito che lo sviluppo di un muro anti-droni potrebbe richiedere almeno tre o quattro anni. Certamente una capacità produttiva maggiore di droni potrebbe effettivamente contribuire a colmare il “buco” attualmente presente nella difesa aerea della Nato, ma il rischio è quello di concretizzarlo in ritardo, quando non servirà più e con tecnologie ormai obsolete. Un po’ come è stato fatto con il progetto chiamato European Sky Shield Initiative (Essi) che dall’agosto 2022 mira a rafforzare la difesa aerea e missilistica europea.

La vera esigenza Nato e gli strumenti necessari

Che alla Nato occorra espandere la rete di sensori lungo il fianco orientale è sacrosanto, poiché in passato la difesa aerea di quella parte dell’Europa era contrapposta a minacce aeree in rapido movimento come missili balistici e da crociera, aerei, missili da crociera, al limite ipersonici, ma non contro i lenti e piccoli droni. E oggi la nazione più esperta in questo è l’Ucraina. Quindi servono missili in grado di fermare i droni, ma anche sistemi di guerra elettronica più economici tra cui disturbatori (jamming e spoofing).

La domanda finale

La grande domanda da porci quindi è: se con queste istituzioni europee il programma Essi è ancora in alto mare, perché questo “muro” dovrebbe funzionare?