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La Flotilla cerca lo scontro. Ecco, nel dettaglio, cosa sta per accadere

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La Global Sumud Flotilla ha superato le 120 miglia nautiche da Gaza ed è entrata nella zona classificata ad alto rischio dalle autorità israeliane. I primi contatti con la Marina sono avvenuti già all’alba, quando le navi Alma e Sirius sono state affiancate da due motovedette militari. La Sirius, che guida ora il convoglio, ha segnalato l’avvistamento di un sommergibile israeliano lungo la rotta. Nel frattempo, da Ashdod è salpata un’unità navale che, secondo fonti locali, potrebbe intercettare le imbarcazioni nel primo pomeriggio.

La sfida degli attivisti

Sui social gli attivisti hanno reagito con un messaggio di sfida: «Continuiamo a navigare senza lasciarci scoraggiare dalle minacce e dalle tattiche intimidatorie di Israele». Una posizione che, agli occhi di Gerusalemme, conferma la natura non umanitaria della missione, considerata invece come un’operazione politica costruita per provocare uno scontro.

Le regole d’ingaggio

Secondo quanto anticipato da Channel 12, le regole d’ingaggio israeliane prevedono una sequenza precisa: la Marina avvertirà gli equipaggi con altoparlanti, invitandoli a fare ritorno verso i porti d’origine. In caso di rifiuto, scatterà l’intercettazione: gli attivisti verranno trasferiti in Israele, dove sarà loro offerta la possibilità di lasciare il Paese volontariamente. Chi rifiuterà sarà arrestato e processato da un tribunale speciale per ingresso illegale, non da una corte ordinaria. Alcune navi saranno sequestrate, altre potrebbero essere affondate.

La posizione dell’ambasciatore israeliano

A rafforzare la linea di Gerusalemme è intervenuto l’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled, che ha ricordato come la Flotilla abbia respinto ogni tentativo di mediazione: «Non hanno ascoltato gli appelli del Primo Ministro Meloni, del Presidente Mattarella e del Vaticano. Hanno rifiutato la proposta italiana di far arrivare gli aiuti a Cipro, affidandoli al Patriarcato Latino di Gerusalemme. Hanno respinto anche l’invito di Israele ad attraccare ad Ashkelon per un trasferimento sicuro e coordinato degli aiuti. Questo rifiuto sistematico dimostra che l’obiettivo non è umanitario, ma provocatorio. Non cercano di aiutare, cercano un incidente. La Flotilla si assume la piena e totale responsabilità di questa situazione e delle sue conseguenze».

L’ambasciatore ha poi sottolineato che Israele resta in stretto contatto con le autorità italiane «per supportarle nel garantire le condizioni delle persone a bordo», ma non intende cedere sul principio del blocco navale, considerato indispensabile per impedire il traffico di armi a favore di Hamas.

L’attenzione dell’Italia

La vicenda è seguita con attenzione anche in Italia. Il Copasir ha chiesto e ottenuto aggiornamenti dai servizi di intelligence, Aisi e Aise, a conferma che l’operazione non viene letta come una semplice iniziativa civile di solidarietà, ma come un evento che tocca direttamente i temi della sicurezza nazionale.

Divisioni in Europa

Sul fronte europeo emergono divisioni. Madrid ha deciso di non impegnare direttamente la fregata Furor, che resterà distante dalla Flotilla e interverrà solo in caso di emergenza. Una scelta che ha provocato amarezza fra gli attivisti, a partire dall’ex sindaca di Barcellona, Ada Colau, imbarcata sulla Alma: «Speravamo che la fregata ci accompagnasse fino alla Striscia e garantisse una protezione diplomatica. Invece resta indietro», ha dichiarato in un’intervista a Tve. Poi l’affondo politico: «I governi europei devono smettere di tirarsi indietro e fermare Israele una volta per tutte, perché sta mettendo in pericolo l’intera umanità».

La linea israeliana

Gerusalemme respinge al mittente le accuse e ribadisce la propria posizione: la Flotilla aveva più di una possibilità di far arrivare gli aiuti senza rischi, dal canale umanitario di Cipro al porto di Ashkelon. Il rifiuto sistematico di tutte queste soluzioni, osservano fonti israeliane, dimostra che lo scopo non è il soccorso alla popolazione di Gaza, ma la sfida politica a Israele.

Ecco perché, a giudizio del governo israeliano, le vere responsabilità non ricadono su chi difende la sicurezza dei propri confini, ma su chi ha scelto deliberatamente la via dello scontro. La Flotilla si presenta come missione di pace, ma ha respinto ogni compromesso utile a consegnare gli aiuti. Così facendo, gli attivisti hanno trasformato un carico di beni di prima necessità in un pretesto per generare un incidente internazionale.

Il blocco navale e il diritto internazionale

Gerusalemme ricorda inoltre che il blocco navale imposto su Gaza è riconosciuto dal diritto internazionale, in quanto misura legittima di autodifesa in presenza di un conflitto armato. Israele sostiene che interrompere quel blocco significherebbe aprire la porta al contrabbando di armi e alla minaccia diretta contro la propria popolazione civile. In questo quadro, chi cerca la provocazione dovrà assumersi le conseguenze delle proprie scelte.