Trump affonda il colpo: incriminato l’ex capo dell’Fbi James Comey
Donald Trump prosegue con la resa dei conti nei confronti degli apparati. Giovedì, l’ex direttore dell’Fbi, James Comey, è stato incriminato da una giuria federale con la duplice accusa di falsa dichiarazione al Congresso e di ostruzione a un procedimento del Congresso stesso. Tutto ruota a attorno a una testimonianza che Comey rilasciò al Senato, da remoto, il 30 settembre 2020. In quell’occasione, ribadì di non aver mai autorizzato fughe di notizie sulle indagini relative a Trump e alla Clinton Foundation: un’affermazione che, secondo i procuratori, risulterebbe falsa.
Le reazioni
“Giustizia in America! Uno degli esseri umani peggiori che questo Paese abbia mai conosciuto è James Comey. Oggi è stato incriminato da una giuria popolare per due capi d’accusa per vari atti illegali e illeciti”, ha dichiarato Trump su Truth.
Dal canto suo, la procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, ha affermato che l’incriminazione “riflette l’impegno del Dipartimento di Giustizia nel ritenere responsabili coloro che abusano di posizioni di potere, ingannando il popolo americano”.
“Oggi, l’Fbi ha compiuto un altro passo avanti nella sua promessa di piena responsabilità. Per troppo tempo, i precedenti dirigenti corrotti e i loro complici hanno sfruttato le forze dell’ordine federali come armi”, ha commentato l’attuale direttore del Bureau, Kash Patel.
Professatosi innocente, Comey ha invece dichiarato: “La mia famiglia e io sappiamo da anni che opporsi a Donald Trump ha un prezzo, ma non potremmo immaginare di vivere in un altro modo. Non vivremo in ginocchio, e non dovreste farlo nemmeno voi”.
Una storia di tensioni
I rapporti tra Trump e l’ex capo dell’Fbi sono d’altronde sempre stati molto tesi. Fu sotto la direzione dello stesso Comey che il Bureau, durante la campagna elettorale del 2016, aprì la controversa indagine Crossfire Hurricane: un’inchiesta sulla presunta collusione tra il team elettorale di Trump e la Russia.
Nel 2023, un rapporto investigativo del procuratore speciale John Durham stabilì che, vista l’assenza di prove significative, quell’indagine non avrebbe mai dovuto essere avviata. Non solo: rilevò anche che i federali usarono un documento infondato e non verificato, il Dossier Steele dell’ex spia britannica Christopher Steele, per chiedere e ottenere dai magistrati dei mandati di sorveglianza ai danni del team di Trump.
Il Russiagate e la resa dei conti
L’incriminazione di Comey va quindi letta nella cornice del cosiddetto Russiagate: quel Russiagate che, nonostante il clamore mediatico esploso tra il 2017 e il 2019, si è alla fine concluso in una bolla di sapone. Il rapporto investigativo del procuratore speciale Robert Mueller non rinvenne infatti prove di una collusione tra il team di Trump e il Cremlino.
L’attuale amministrazione americana è quindi adesso impegnata a fare luce sulle opache origini di quel presunto scandalo. Oltre a Comey, a rischiare grosso è infatti anche l’ex direttore della Cia, John Brennan, che, a luglio, è finito sotto inchiesta dell’Fbi.