Taiwan sotto assedio: la paura dell’invasione cinese
Le urla strazianti sembrano vere. I corpi distesi a terra, sedie e tavoli ribaltati, sirene d’allarme e gente presa dal panico rendono l’idea di cosa potrebbe accadere se i missili di Pechino piombassero su Taiwan, l’isola libera dell’estremo Oriente che la Cina considera roba sua. L’esercitazione di primo soccorso è organizzata dall’Accademia Kuma, che usa come stemma l’Orso nero, simbolo nazionale, con un fucile a tracolla.
«Le minacce che provengono dalla Cina hanno convinto dei patrioti a fondare questa associazione, che realizza corsi di sopravvivenza e difesa civile per preparare la popolazione al peggio, se fossimo invasi e scoppiasse una guerra», spiega Aha Chu, responsabile dell’Accademia. Una donna con il volto coperto da una mascherina racconta perché è lì: «Ogni giorno vedo in tv scene terribili. Se scoppiasse il conflitto voglio sapere cosa fare, come aiutare me stessa e gli altri a sopravvivere».
I partecipanti, per il 70 per cento donne, temono di venire schedati dai servizi di Pechino. Uno degli istruttori con una maglietta da paramedico porta a tracolla un fucile mitragliatore finto. Alle sue spalle, sulla parete, è appesa una bandiera ucraina arrivata dal fronte del Donbass con le firme dei soldati in prima linea e parole che non lasciano dubbi: «Libertà», oppure «Uccidi i comunisti».
La vita quotidiana a Taipei
Fa un caldo afoso a Taipei, la “Capitale” di Taiwan, un’isola grande quanto Piemonte e Lombardia, dal verde lussureggiante anche in mezzo a grattacieli con il tetto a forma di pagoda. L’affaccendata città dell’Estremo Oriente, ordinata e pulita, conta 2,8 milioni di abitanti, gentili e disponibili con gli stranieri. La modernità si diluisce con i templi taoisti avvolti nell’incenso delle preghiere ed i mercati incassati fra le case dove vanno per la maggiore pollo e spaghetti di soia. «Cane che abbaia non morde», sostiene simulando l’animale con le dita un venditore di gustoso riso cucinato sul posto. «Pechino vuole intimorirci, ma non ho paura».
Status quo e politica
L’85 per cento della popolazione auspica il mantenimento dello status quo, che dura fra alti e bassi dal 1949, quando il generale nazionalista Chiang Kai-shek del Kuomintang, sconfitto da Mao nella guerra civile, si ritirò sull’isola. Oggi i taiwanesi sono 23 milioni, divisi dalla terraferma da uno stretto di mare che misura fino a 180 chilometri. Dalla dittatura, Taiwan è passata alla democrazia con il Kuomintang, chiamati i “blu”, oggi disponibili ad un compromesso con la Cina comunista. Al potere ci sono i “verdi” del Partito progressista democratico con il presidente Lai Ching-te, più indipendentista, bollato dai cinesi come «un parassita che avvelena l’isola». Xi Jinping, il nuovo Mao di Pechino, ha sempre ribadito che Taiwan è parte integrante della madrepatria e verrà «riunificata pacificamente», se possibile, oppure con le cattive.
La minaccia silenziosa
Nella chiesa affidata ai missionari italiani della Fraternità San Carlo Borromeo a New Taipei, la messa viene celebrata in mandarino. I cristiani sono meno del 2 per cento, ma padre Paolo Costa è un veterano, da 23 anni è qui: «Ultimamente è aumentata la preoccupazione per un attacco cinese. Fino a qualche anno si diceva che fosse impossibile, ma adesso si teme che sia probabile».
Il palazzo presidenziale a Taipei risale ai tempi dell’occupazione giapponese della Seconda guerra mondiale. Oggi simbolo di libertà e democrazia ospita il Consiglio di sicurezza nazionale. Lin Fei-fan, il giovane numero due, non ha dubbi: «Siamo già sotto attacco “silenzioso” con sabotaggi, violazioni della Zona di identificazione di difesa aerea, guerra informatica, campagne di disinformazione, infiltrazioni». E aggiunge i numeri sorprendenti: punte di 2 milioni di attacchi cyber al giorno, la maggioranza respinti, ma alcuni fanno gravi danni. «I cavi sottomarini per le telecomunicazioni vengono sabotati 7-8 volte l’anno», denuncia Lin. «Solo in agosto abbiamo avuto quasi 500 intrusioni di velivoli militari cinesi».
Rifugi e difesa civile
L’isola ha 90 mila rifugi antiaerei ricavati ovunque: dalla metropolitana ai parcheggi sotterranei fino agli scantinati dei condomini. Il cartello con una freccia rossa e la scritta «Air defence shelter» indica l’ingresso di spazi attrezzati con generatori e scorte. «In caso di allarme sono previsti quattro metri quadrati a persona e abbiamo un generatore autonomo», spiega Kuo-Sung Hsieh. «Siamo in grado di ospitare 6 mila civili garantendo viveri, acqua e un primo soccorso per i feriti in una stanza ad hoc dieci metri sotto terra».
L’esercitazione Han Kuang
In luglio la grande esercitazione Han Kuang ha simulato l’attacco di droni e missili a Taipei, con fumo che si alzava dagli edifici e il lugubre ululato dell’allarme aereo come a Kiev. Difesa civile e militari nelle strade con la popolazione che riceveva via app le indicazioni per raggiungere il rifugio più vicino.
Opinioni e divisioni interne
Yalin, che ha studiato musicologia a Roma, è pessimista: «La vedo male. Le divisioni interne e l’asprezza dei toni fra il Kuomintang e il Partito progressista hanno raggiunto livelli altissimi». Per la donna, «qualcosa sta già accadendo, un anticipo della guerra che verrà con lo scontro fortissimo sui social». I suoi amici hanno già preparato uno zaino di sopravvivenza.
Jia Cheng, 49 anni, «super verde per l’indipendenza», vorrebbe scardinare lo status quo. «Non siamo mai stati governati dalla Cina comunista e per questo ci sentiamo liberi. Non dobbiamo fare il muso duro con Pechino, ma armarci per difenderci».
I giovani, invece, sembrano più timorosi: «Siamo preoccupati per le tensioni e se venissimo invasi gran parte di noi ragazzi cercherebbe di scappare», dice una coppia di sposi novelli.
Forze armate e scenari di guerra
Per timore di rappresaglie, Taiwan è riconosciuta solo da una dozzina di Stati, compreso il Vaticano. La difesa conta su 200 mila uomini e 2 milioni di riservisti. Il presidente Lai ha aumentato il budget militare al 3% del Pil e avviato la produzione di droni. Ma l’obiettivo di 180 mila velivoli entro il 2028 è lontano. Taiwan dispone di caccia, flotta navale, missili Himars e Patriot, e si addestra con gli americani.
Ming-Shih Shen, dell’Istituto per la difesa nazionale, osserva che le portaerei Usa impiegherebbero 14 giorni dagli Stati Uniti e 5 da Guam. Ma rischierebbero la Terza guerra mondiale? Per l’ammiraglio Lee Hsi-Min l’obiettivo di Pechino è far capitolare il governo con blocchi e quarantena navale. «Un’invasione potrebbe trasformarsi in un incubo di guerriglia».
La forza dei semiconduttori
La data con una linea rossa è il 2027, centenario dell’Esercito popolare di liberazione. Intanto, Taiwan resta il cuore tecnologico globale: produce il 70% dei semiconduttori, il 95% dei più sofisticati e il 100% di quelli per l’intelligenza artificiale.
Cultura e narrazioni
Da agosto spopola la serie tv Zero Day Attack, che affronta il tabù dell’invasione. «È come un elefante nella stanza: tutti sanno che potrebbe accadere, ma nessuno ne parla», spiega David Kao. «Dopo Hong Kong e l’Ucraina abbiamo sentito l’urgenza di raccontare questa possibilità, prima che sia troppo tardi».