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2025

Mediobanca: ecco chi è Luigi Lovaglio, il banchiere (invisibile) che l’ha conquistata

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Eccolo qua, Luigi Lovaglio: il banchiere che nessuno ha visto arrivare. Ora, gran sorpresa, sta per conquistare Mediobanca, il tempio del capitalismo italiano e di quella che un tempo veniva definita la finanza laica perché di ispirazione massonica e anticlericale. Anche se poi i fili si aggrovigliano: il regista di Mediobanca, Raffaele Mattioli, presidente della Comit, è seppellito nell’abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, in terra sconsacrata. Ospitava le spoglie di Guglielma la Boema, prima beata e poi giudicata strega. Ma Enrico Cuccia, il fondatore, andava in chiesa tutti i giorni e anche Lovaglio, il conquistatore dell’istituto, è un cattolico praticante.

E poi, oltre alla famiglia, c’è l’altra passione: il calcio.

Il ribaltone

A vederlo così, con la sua aria pacata, i baffi e tanta ironia, Luigi Lovaglio non dà l’impressione di essere il regista del più clamoroso ribaltone della finanza italiana. E invece, eccolo: un piano di conquista che nessuno riteneva possibile. Nessuno a partire da Alberto Nagel, amministratore delegato uscente. Animato da molta supponenza, ha orchestrato una difesa che sembrava invincibile e invece si è rivelata di cartapesta. Nessuno dei presunti alleati è andato in suo soccorso. Alla fine Nagel si è arreso. Cuore infranto ma portafoglio pieno: 22 milioni di euro solo vendendo le sue azioni Mediobanca che ora finiranno a Mps.

Altro che startupper, unicorni e fintech: a settant’anni suonati, mentre la maggior parte dei colleghi è già a caccia di una villa in Versilia o in fila per il master di burraco, Lovaglio ha deciso di prendersi piazzetta Cuccia. Così, senza dire una parola di troppo. Perfetto stile della casa, prima ancora di entrarvi.

Le origini

Una storia che comincia da molto lontano. Potenza, estate del 1955. Mentre l’Italia sognava l’America, lui nasceva in un angolo poverissimo del Sud. Una famiglia solida e numerosa: mamma, papà, cinque figli e un chiosco nel parco. Si vendevano bibite fresche e si serviva anche un’educazione senza fronzoli: niente sconti, niente lamenti, solo lavoro.

Chi ha fatto la gavetta tra Coca-Cola calda e sacchetti di ghiaccio sa che la vera scuola di business comincia lì, tra i bicchieri di plastica e i clienti impazienti. Ed è proprio lì che lo vede una maestra. Luigi non frequenta né l’asilo né la scuola. «Non vuole andarci» spiega la madre. L’insegnante trova la risposta: «A ottobre verrà in classe con me». Così a soli cinque anni comincia la prima elementare.

Dura poco: gli altri bambini sono più grandi e imparano meglio. I genitori mugugnano. Esperimento finito. Ma la madre trova un’altra strada: la tv. Con Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi, Luigi impara a leggere e a scrivere.

Bologna, gli studi e il calcio

Poi il trasferimento a Bologna. Le difficoltà di inserimento per una famiglia meridionale con cinque figli. Al liceo tra i docenti incontra Gianni Scalia, intellettuale amico di Pasolini, che gli trasmette due dottrine: la fede cattolica e il dubbio sistemico. Due ottimi strumenti, vien da dire, per chi avrebbe un giorno maneggiato miliardi e potere.

La passione per il calcio completa il quadro. Non da spettatore: Lovaglio ha fatto pure l’allenatore. Nei pomeriggi polverosi delle periferie lucane stava già elaborando schemi. Solo che allora erano 4-4-2, e non fusioni e Ops.

La gavetta bancaria

Diciotto anni. Luigi si è appena diplomato. Deve aiutare la famiglia. Entra in banca, alla filiale bolognese del Credito Italiano. È il 1973. Per laurearsi in Economia studierà la notte. Mansione: cassa assegni. Traduzione: livello zero della carriera.

Già lì, fra timbri, bollettini e firme con inchiostro che sbava, impara la psicologia dei correntisti, la geografia dei conti scoperti, l’economia della pazienza. Nel 1989, a 34 anni, diventa direttore della filiale di Rimini. Poi Thiene, infine Roma.

L’Europa dell’Est

Nel 1997 la svolta: Roberto Nicastro lo chiama nella pianificazione strategica di Unicredit. È stata appena acquistata Hvb in Germania. Nel 1999 lo mandano in Bulgaria, alla guida di Bulbank. Poi in Polonia, dove nel 2003 prende in mano Banca Pekao e la trasforma in una macchina da guerra.

Sa riconoscere i rischi: frena sui mutui in franchi svizzeri, evitando un disastro che travolgerà molti concorrenti. Pekao diventa il riferimento del sistema.

E c’è l’aneddoto che vale più di 100 bilanci: la partita di calcio contro il premier Donald Tusk. Finisce 12 a 2, ma è una vittoria diplomatica. «State a due metri dal presidente» ordina ai suoi giocatori. Nessun fallo, nessun incidente.

Il ritorno in Italia

Nel 2016 Pekao viene venduta. L’anno dopo Lovaglio lascia anche Unicredit. Ma la sua fama di risanatore è ormai consolidata. Guida il Credito Valtellinese, affronta il Covid senza abbandonare Sondrio e prepara la banca all’Opa di Crédit Agricole.

Poi, la chiamata decisiva: il Tesoro lo vuole a Siena per salvare Mps. In un anno pulisce i conti, fa un aumento di capitale da 2,5 miliardi, accompagna 4 mila prepensionamenti senza scioperi e riporta la banca in utile.

La conquista di Mediobanca

Si direbbe: adesso va in pensione. Invece no. Ora punta a Mediobanca. Trasforma un fallimento pubblico in leva per la conquista del potere privato.

Il risultato? Un gigante senza doppioni: la rete di sportelli che s’integra con la banca dei grandi affari, degli investimenti e del risparmio. Una macchina da guerra costruita nel silenzio. Nessuna presenza Instagram, nessuna intervista fiume, nessun libro motivazionale.

Un profilo che a Cuccia probabilmente non sarebbe dispiaciuto.