Italia, il lavoro è (ancora) un affare da uomini: donne pagate fino al 40% in meno
Non è un Paese per donne. Nella Giornata internazionale della donna i dati non lasciano dubbi. Carriere frenate, retribuzioni più basse, precarietà, distribuzione squilibrata delle responsabilità familiari e un difficile accesso al credito. I diversi studi diffusi per celebrare l’8 marzo raccontano di disuguaglianze economiche, lavorative e sociali.
Occupazione in crescita, ma con un boom della precarietà
L’occupazione femminile è cresciuta, raggiungendo il 56,5%. Dal 2008 al 2024 l'incremento è di 6,4 punti (dati Inapp). Ma resta inferiore di 12,6 punti percentuali alla media dell’Unione Europea. È il più basso tra i 27 Paesi. L’incremento è stato trainato principalmente dalle donne over 50, il cui tasso di occupazione è aumentato di 20 punti, mentre per le giovani tra i 25 e i 34 anni la crescita è stata solo dell’1,4%. E il gender gap si vede anche nella “sicurezza”. del lavoro. Su dieci uomini sette hanno un lavoro dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti. Le donne? Un quarto delle lavoratrici si trova in condizioni di vulnerabilità lavorativa: tra contratti precari, part-time involontari e difficoltà a ottenere posizioni stabili. Basta pensare che su 6 milioni di contratti part time, quasi 4 milioni sono femminili. Inoltre, il 15,6% delle donne lavora part-time non per scelta, contro il 5,1% degli uomini.
Retribuzioni: le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini
C’è poi il capitolo stipendi. Nel 2024 il divario retributivo medio è del 20% in dieci settori industriali su diciotto (dati Inps) superando il 30% nelle attività finanziarie e assicurative (32,1%) e nelle professioni scientifiche e tecniche (35,1%). Nel settore immobiliare il divario raggiunge il 39,9%. Non si salva il settore pubblico dove le differenze salariali sono superiori al 20% in ambiti come la sanità e l’università.
La maternità e la cura familiare pesano sulle donne
Oltre al gender pay gap, sulla carriera delle donne italiane pesa la maternità: il 16% delle lavoratrici lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio, contro il 2,8% degli uomini. E una volta diventati genitori? L’80% dei congedi parentali è richiesto da donne che usano 14,4 milioni di ore di congedo parentale l’anno contro 2 milioni degli uomini. Il carico familiare ancora fortemente sbilanciato porta a un gap salariale annuo stimato in circa 5mila euro.
Poche le donne in posizioni dirigenziali, in politica, nel pubblico e nel privato
A capo del Governo c’è una donna, ma il potere in Italia resta saldamente nelle mani degli uomini. Secondo il rapporto di info.nodes e onData, il 65% delle cariche elettive a livello comunale e regionale è occupato da uomini. I sindaco donna sono solo il 15% e tra i presidenti di regione le donne sono due su venti. Nelle Università un rettore su cinque è donna, nonostante la maggioranza di laureate e diplomate sia femmina (rispettivamente il 59,9% e il 52,6%).
Nel privato solo il 9% delle aziende familiari italiane ha una donna come CEO o Presidente. Nelle cinquanta maggiori aziende italiane quotate in borsa, solo due hanno una donna come amministratrice delegata, e nelle società controllate dal Ministero dell’Economia, le donne CEO sono sei su 34. Le donne manager in Italia sono al 29% contro il 34,8% della media europea, lontanissimi dal 43,7% della Svezia. L’incremento maggiore si è avuto nel terziario, in particolare nella Sanità e assistenza sociale dove le donne dirigenti (52,3%) secondo un’indagine di Manageritalia.
Credit gender gap: accesso al credito inferiore per le donne
Esiste anche un credit gender gap. Alle donne viene concesso solo il 20% dei finanziamenti bancari (indagine Fabi). Una percentuale invariata rispetto al 2023 e vale quasi 70 miliardi di euro nel Paese. A dettare questa disparità sono il minor tasso di occupazione femminile, la prevalenza delle donne in settori a bassa retribuzione e la minore disponibilità di garanzie patrimoniali, soprattutto immobiliari. Le regioni peggiori per accesso al credito femminile sono Campania, Puglia, Veneto, Sicilia, Lombardia, Piemonte e Basilicata, dove la quota di finanziamenti alle donne non supera il 20% del totale concesso.