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Di sole e d'azzurro

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Knife ha una lunga barba da pirata e una stella marina tatuata sul petto dalla parte opposta del cuore. Netto come un coltello, il suo nome in inglese, taglia l’acqua con fendenti di braccia. Da 20anni abbondanti cerca e trovai delfini scrutandone i guizzi tra gli abissi, anticipandone le traiettorie, regalando ai turisti una delle esperienze più intense della loro vita. Anziché guardare da lontano le pinne spuntare dal mare, con Knife ci si bagna, ci s’immerge tra le onde con maschera e boccaglio. Pochi attimi dopo, ecco un cucciolo intento a fare le piroette accanto alla mamma mentre si è lì, increduli e commossi, a osservare l’amore che nuota. Incontrare i delfini è una delle tante avventure quotidiane a Mauritius (nome singolare, è un’isola soltanto), quasi in fondo all’Africa, a destra del Madagascar, dentro un Oceano Indiano con le stordenti intensità delle Maldive: un oscillare fra trasparenze rivelatrici e un blu pieno indecifrabile, gonfio di vita sommersa. L’ozio da spiaggia è la gioia più ovvia, la tentazione irresistibile specie mentre in
Europa giganteggia l’inverno, ma questo approdo vanta attrattive multiformi, mescola culti e cultura, l’adrenalina dell’escursionismo e le coccole della gastronomia. Ecco Port Louis, la capitale che a sorpresa ricorda
l’austerità di Francoforte per le banche, i grattacieli slanciati, le strade innervate su svariate corsie. Lo spirito del luogo si concentra allora nel mercato centrale, poco o nulla spettinato, salvo corridoi periferici con i banchetti di pezzi artigiani che spezzano
la monotonia delle cianfrusaglie formato souvenir.

Tra centri commerciali tirati a lucido e baretti occidentaleggianti, ci sono templi
hindu vivacissimi che paiono importati da Singapore o Kua-la Lumpur oppure un museo di storia naturale con uno scheletro del Dodo, l’uccello estinto incapace di volare, onnipresente in queste latitudini per le sue forme buffe paffute da peluche senza tempo. Mauritius è terra di mare, però la sua vetta di fascino è la montagna Le Morne, patrimonio dell’umanità secondo
l’Unesco e secondo chiunque ne osservi le cromie cangianti al tramonto. Esplorabile con una passeggiata che culmina in una piccola arrampicata, la cima dà il massimo se la si percorre con gli occhi dal basso, spiandola nella lentezza del nuoto dall’oceano lì difronte. È qui che si sviluppano i cinque stelle lusso Dinaro-bin e Paradis Beachcomber, uno accanto all’altro, così da offrire, insieme, una vasta quantità di servizi. Un resort al quadrato, con il campo da golf con 18 buche e le due spa che sembrano uscite da una favola, l’ampio catalogo di sport adrenalinici inclusi nel soggiorno (lo sci d’acqua è per cuori intrepidi), le cene da sogno dai tocchi mediterranei, autoctoni o asiatici, con il pesce fresco come ovvio protagonista e una pizza gusto saper saziare ogni nostalgia di casa. Beachcomber è pioniere dell’ospitalità sull’isola, mette al centro la sostenibilità (ha ricevuto il livello Gold da EarthCheck, nome di riferimento per certificare le qualità green nel mondo dei viaggi),contribuisce alla rinascita dei coralli nell’oceano coltivando-li in speciali serre sommerse, ha sviluppato progetti benefici quali «Beautiful local hands», che dà lavoro e riscatto economico a donne in difficoltà, vendendo i loro manufatti a profitto zero. Non mancano i ricordini dell’ubiquo dodo, ma almeno sono per una buona causa. Spostandosi nella parte nord-occidentale di Mauritius, il canto dominante è quello degli uccelli. Spezza un silenzio altrimenti totale, irreale. Una quiete assoluta per chi sceglie l’area per soli adulti del resort Victoria Beachcomber, con 40 camere affacciate su una spiaggia privata, un parco marino, lunga piscina di 800 metri quadri. Poco distante si trova il Trou aux Biches dello stesso gruppo, con sei ristoranti (notevole l’indiano), un centro sportivo e un club per bambini, una grande spa con terapiste dotate di una manualità miracolosa, in grado di resuscitare il corpo stressato e lo spirito malandato.

A Mauritius, comunque, vince sempre la natura. Il resort è in un immenso, labirintico giardino tropicale, una quasi foresta che termina su una generosa lingua di sabbia al confine con un villaggio di pescatori, dove andare ad aspettare il tramonto assieme all’amichevole gente del posto. Tante le escursioni da consigliare, a cominciare da quella in catamarano, verso lei solette del nord con l’acqua ancora più turchese. Sfiniti dal sole, si mangia e si beve a bordo tutt’insieme, tra musica a volume alto che abbassa il mal di mare. Nella parte interna, a mezz’ora da Port Louis, s’incontra la Domaine de Labourdonnais, elegante residenza in stile neo classico circondata da flamboyant, gli stupefacenti alberi con le foglie rosso fuoco che dipingono di un’ennesima tonalità lucente un territorio benedetto, su cui aleggia un impalpabile senso di sacro. Se lo sentì raccontare dalla gente del posto anche lo scrittore Mark Twain: qui vive l’idea «che Mauritius sia stata creata prima del paradiso». Che il regno dei cieli sia una copia, un’imitazione fedele, un omaggio supremo a quest’isola divina.