C'è un oro liquido: l'acqua
È uno dei paradossi dell’Italia: ricca di acqua ma assetata. Siamo al terzo posto in Europa nella classifica dei Paesi con maggiori disponibilità idriche, dietro soltanto a Svezia e Francia. Ma questo patrimonio è minacciato da una serie di fattori quali le infrastrutture vecchie e fatiscenti, una cattiva o mancata gestione del territorio, visto che solo l’11 per cento delle precipitazioni viene trattenuto in bacini di raccolta, il cambiamento climatico con estati lunghe e torride e infine, ma non ultimo, lo sviluppo della tecnologia che ha una domanda crescente di «oro blu». Un mix esplosivo. La transizione energetica è cruciale nell’agenda degli investimenti dimenticando spesso la priorità di quella idrica. Ecco che a fronte di una scarsa manutenzione degli acquedotti, si deve anche fronteggiare lo sviluppo della tecnologia, in partico-lare dell’intelligenza artificiale, che per gestire computer sempre più sofisticati, richiede enormi quantità d’acqua per il loro raffreddamento. In altre nazione europee, negli Stati Uniti e in Cina, dove i centri di elaborazione dei dati sono molto più avanzati, questa necessità è già un’emergenza. «Lo sviluppo di energie alternative e un migliore impiego delle risorse idriche sono facce della stessa medaglia» dice l’ingegnere minerario Giovanni Brussato, esperto di materie prime che ha studiato a fondo l’argomento.
L’esperto solleva anche la questione della domanda crescente di minerali per l’elettronica come acciaio e alluminio, preziosi come oro e platino, critici come l’indio egli elementi delle terre rare e metalli pericolosi come il mercurio, il piombo e il cadmio. E avverte: «La ricerca e lo sfruttamento di questa mate-rie prime richiede decine di milioni di litri d’acqua al giorno, nel caso dell’estrazione su larga scala. Un dispendio che può anche presentare rischi gravissimi per fiumi, laghi, le risorse idriche sotterranee, gli acquiferi e di conseguenza per gli ecosistemi e le comunità che dipendono da queste riserve». Una ricerca internazionale del World resources institute (Wri) rileva che almeno il 16 per cento delle miniere si trova in aree già con elevati livelli di stress idrico. Qui, almeno il 40 per cento dell’approvvigiona-mento è necessario per soddisfare la domanda per l’estrazione, con una già forte competizione per l’acqua. L’attività mineraria in Italia non è ancora così rilevante perché anni di vincoli ambientalistici l’hanno ridotta di molto. C’è però un’inversione di tendenza su sollecitazione dell’Unione europea, che chiede di avviare politiche per sganciarsi dalla dipendenza dall’estero riguardo alle materie prime a uso tecnologico. Questo complesso di fattori richiede quindi la messa in sicurezza della rete idrica. Così il 2025 si prospetta un anno cruciale per passare da una situazione di perenne emergenza alla pianificazione di nuove strutture. C’è un Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pniissi) ma ancora non sono tati stanziati fondi per renderlo operativo ed a questo sta lavorando il ministero delle Infrastrutture.
La legge di Bilancio 2025 prevede risorse per il Piano soltanto dal 2028, ma quelli relativi alla crisi dell’acqua, sono autorizzati per oltre 145 milioni di euro. Intanto l’Anbi, l’Associazione regionale consorzi gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue, ha tracciato una mappa delle opere in corso di realizzazione e di quelle già ultimate. Si tratta di circa 300 interventi che interessano tutto il Paese, realizzati o in via di completamento da parte dei consorzi di bonifica per dare una risposta ai danni dei cambiamenti climatici, attingendo alle fonti finanziarie a disposizione, ovvero risorse europee, nazionali e regionali. Un pacchetto di 136 progetti va avanti con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra fine 2023 e inizio 2024, circa il 10 percento si è già chiuso e a fine anno la percentuale potrebbe toccare il 50-55 per cento, se non ci saranno ostacoli burocratici. Dal Pnrr arrivano la maggior parte dei tre miliardi gestiti dai consorzi; si tratta di 1,48 miliardi per 39 progetti del ministero delle Infrastrutture, e 97 progetti del ministero delle Politiche agricole. Circa 340 milioni provengono dal Programma Psrn - Pac 2014-2022 e circa 258 milioni del Fondo di coesione 2014-2020. Ci sono poi i «Piani invasi» confluiti nel Pniissi, con circa 140 milioni relativi a 34 progetti che sono stati completati circa al 30 per cento. E oltre 350 milioni sono relativi a progetti del Fondo di coesione 2021/2027 e alla Pac 2023/2027, appena partiti. Per quest’anno sono numerosi i progetti in dirittura d’arrivo: entro febbraio, tre interventi (oltre 17 milioni di euro) in Lombardia per razionalizzare l’uso dell’acqua che viene dal fiume Serio e dalla falda. La Campania disporrà entro giugno di dieci impianti da fonti rinnovabili per alimentare impianti di irrigazione mentre in Sardegna, entro luglio, verrà riqualificata la condotta di alimentazione del comprensorio della Valle dei Giunchi dall’invaso del Bidighinzu. Sempre in Campania dieci consorzi hanno in attuazione 81 lavori da ultimare entro il 2026, per oltre 442 milioni di euro, di cui oltre 23,8 per la realizzazione di un sistema di bacini. La realtà però va veloce, la domanda idrica si moltiplica e i tre miliardi gestiti dai consorzi appaiono davvero la classica goccia nel deserto.