Il dolce far niente. Perché l’ozio non è sempre un problema
Scansafatiche, sfaticato, pigro, svogliato, fannullone, vagabondo. Questi sono solo alcuni dei termini che la lingua italiana offre per definire una persona che non svolge o non ha voglia di svolgere una determinata attività.
Il tema del non far nulla è antico e risale addirittura al primo secolo dopo Cristo, quando Plinio il Giovane scrisse: “È un pezzo che non ho letto, né scritto un verso. È un pezzo che non so cosa sia né ozio, né quiete, né infine quel neghittoso sì, ma pur beato non fare e non essere nulla”.
Solitamente l’ozio, o comunque il non dedicarsi ad una specifica attività, per chi svolge una vita frenetica, piena d’impegni lavorativi e di famiglia, è considerato come una perdita di tempo; come qualcosa di sbagliato, che rende inutile il tempo trascorso senza concludere nulla.
Ma siamo sicuri che sia davvero così? Siamo sicuri che quando stiamo senza far niente, davvero non stiamo facendo niente? E se invece stessimo aiutando noi stessi?
Certo, non va bene se si passano intere giornate senza avere un compito da fare, senza impegnare la propria mente e il proprio corpo nello svolgere un qualsiasi tipo di attività. Ma uno stand-by temporaneo fa solo bene al nostro cervello, aiutandolo a disintossicarsi da tutto il carico di pensieri che giorno dopo giorno invadono la mente.
Pensiamo al comportamento di alcune specie di animali, come l’orso, che nel periodo invernale va in letargo. Ecco, si tratta di un periodo di tempo in cui questi animali, oltre a mangiare, bere e dormire non fanno altro. La loro è un’abitudine innata di “stare fermi” nei mesi più freddi. E non ci ragionano su, non si chiedono se sia giusto o sbagliato o se quel tempo trascorso lo avrebbero dovuto impiegare per cercare cibo o fare altro. Lo fanno e basta, seguendo la loro natura e il loro istinto.
A volte, purtroppo, sono le sovrastrutture mentali che ci fanno sentire in colpa se non agiamo come pensiamo di dover agire, se non raggiungiamo gli stessi obiettivi di altri nello stesso tempo, se abbiamo bisogno di più riposo.
Si dice che l’uomo sia una macchina perfetta, ma come tutte le macchine, se si utilizzano per troppo tempo senza pause, si surriscaldano e si rompono. Questo è esattamente ciò che accade al nostro corpo, se siamo sovracaricati di lavoro da fare, incorrendo nel cosiddetto burnout, che letteralmente significa esaurimento.
Tra l’altro, spesso, oziare è considerato come sinonimo di poltrire, cioè non impegnarsi in qualcosa per pigrizia. Ma in realtà non è così. Basti pensare al concetto di “Ozio creativo”, elaborato da Domenico De Masi, noto sociologo e saggista italiano. Infatti lo stesso De Masi, in un’intervista, affermava che l’ozio, se creativo, non rappresenta lo starsene con le mani in mano, ma è “l’unione di lavoro con cui produciamo ricchezza, di studio con cui produciamo sapere e di gioco con cui produciamo allegria”.
L’oziare, inteso come momento per ricaricare la mente, è diventato un tema centrale anche nei luoghi di lavoro. Infatti sempre più aziende decidono di avere nella propria aria relax delle fonti di svago per i dipendenti, come il gioco del bigliardino, anche detto calcio balilla, il quale consentirebbe di scaricare lo stress e riacquisire l’attenzione lavorativa.
C’è chi invece, per prendersi un momento di piacere e tranquillità, sceglie il caro vecchio caffè o una bella tisana rilassante. De gustibus.