Treni: il miraggio dell'alta velocità europea
Partire dalla stazione di Parigi, passare per Madrid e arrivare fino a Lisbona, o ancora salire sempre su un treno ad Alta velocità (Av) a Bruxelles per arrivare fino a Genova, passando per Strasburgo, Tolosa e Milano, oppure salire a Berlino per andare a Roma, toccando Trento, Verona, Bologna e Firenze, e tutto in tempi rapidissimi; visto che i treni dovrebbero viaggiare a 260 chilometri orari (la tratta Parigi-Berlino si percorrerebbe in cinque ore e 18 minuti, Lisbona-Madrid in poco più di tre ore, Roma-Vienna in cinque ore e mezza). Una chimera? La Commissione europea è convinta di no. Perché i percorsi citati fanno parte dei nove corridoi di alta velocità del progetto di Bruxelles Ten-T, che prevede di raddoppiare entro il 2030 e triplicare entro il 2050 la rete ferroviaria europea attualmente esistente. L’obiettivo assai ambizioso (forse troppo) sarebbe appunto quello di collegare i principali centri urbani del Vecchio continente. «Completare la rete Ten-T e collegare le città con questa treni è, per me, una priorità assoluta, in modo che nessuna regione venga lasciata indietro» ha scandito durante la sua audizione al parlamento il neo commissario dei trasporti, il greco Apostolos Tzitzikostas (che sarà sotto la supervisione del nostro vice commissario esecutivo Raffaele Fitto, il quale ha la delega anche sui trasporti).Intenzioni positive, appunto, ma che rischiano di rimanere, almeno in larga parte, sulla carta. La rete ferroviaria Av contava circa 13 mila chilometri alla fine del 2023 (su circa 202 mila complessivi), con 3.062 chilometri in costruzione, 5.913 pianificati e 3.316 previsti a lungo termine. Secondo lo scenario previsto dal progetto Ten-T i chilometri di questa rete dovrebbero diventare circa 49 mila (24.500 entro il 2030). Ma in nove anni, dal 2012 al 2021, gli Stati Ue hanno aumentato la lunghezza totale delle loro linee Av in esercizio di solo il 36 per cento, pari a 3.203 chilometri, grazie all’inaugurazione di nuove linee in nove Paesi diversi.
È evidente come questi tempi così ristretti richiedano investimenti assai ingenti (500 miliardi di euro entro il 2030, e almeno altri 8-900 entro il 2050). Ma le risorse non sono l’unico grosso ostacolo, come osserva Oliviero Bacelli, direttore del Master Memit in Trasporti, logistica e infrastrutture all’Università Bocconi di Milano: «Lo sviluppo delle reti Ten-T si scontra spesso con problemi di budget e difficoltà tecniche perché le tratte transfrontaliere hanno barriere montuose molto complesse da superare. I progetti simbolo - come il tunnel transalpino di 57,5 chilometri fra Torino-Lione, quello del Brennero di 57 chilometri, o quello sottomarino di Ferhmarn, 18 chilometri fra Germania e Danimarca - richiedono tecnologie particolarmente complesse e risorse elevate, che sono aumentati molto nel corso degli ultimi anni a causa dell’esplosione dei costi di molte materie prime». Secondo la Corte dei conti europei, le stringenti regole di bilancio imposte dalla Ue impedirebbero ai singoli Stati di indebitarsi per infrastrutture strategiche. «La riduzione del debito pubblico e una maggior spesa in investimenti (compresi quelli per i trasporti) possono configurarsi come obiettivi confliggenti» scrivono i giudici contabili in un report di qualche anno fa. Sempre questo organismo fa notare anche la problematica legata agli appalti che costituiscono un problema serio per i progetti Ten-T transfrontalieri: «Non vi sono orientamenti su come ridurre i rischi procedurali intrinseci; non esiste un unico quadro giuridico per i progetti transfrontalieri; la documentazione relativa alle gare d’appalto, i contratti e i sistemi contabili dei lavori sul territorio austriaco e su quello italiano divergono, e sono redatti in lingue diverse; le procedure di risoluzione delle controversie non sono le stesse».
Tutti problemi che hanno evidenti ripercussioni sui tempi di costruzione e sulle spese previste che continuano a lievitare. Le reti dei trasporti di molti Stati, infatti, a iniziare proprio da quelle di Germania e Francia, richiedono già rilevanti risorse per il loro ammodernamento. Attualmente, le linee europee ad Alta velocità formano ancora un «mosaico» di reti separate incentrate sul traffico nazionale e caratterizzate da diversi standard tecnici e modelli operativi. I Paesi centro-orientali, in particolare Romania e Bulgaria, fanno fatica a dotarsi di queste infrastrutture per l’impegnativo impiego iniziale di fondi rispetto agli standard locali. Ma anche Grecia e Polonia sono assai indietro nello sviluppo delle infrastrutture ferroviarie. In Europa, inoltre, non esiste ancora un sistema di segnalazione e controllo uniforme. Greenpeace Central and Eastern Europe ha analizzato 990 itinerari tra 45 grandi città, scoprendo che solo 114 (12 per cento) sono servite da collegamenti ferroviari diretti. Raddoppiare il traffico ad alta velocità entro il 2030 richiederebbe un aumento del 75 per cento della rete dedicata a tale trasporto, con la chiara ambizione di collegare tutte le capitali e le principali città europee.
Purtroppo, tra il progetto e la messa in opera di un collegamento transnazionale, occorrono in media 16 anni. Ma la cosa più preoccupante è che la Commissione europea ancora non avrebbe preparato un «masterplan», il disegno strategico e operativo per rendere reale quello che per ora è solo sulla carta. «La notizia positiva è che finalmente nella lettera di missione del nuovo commissario dei Trasporti è indicata tra le priorità proprio quella di realizzare il masterplan» dice a Panorama Alberto Mazzola, direttore esecutivo della Community of European Railway and Infrastructure Companies (CER). «Dobbiamo tuttavia migliorare la nostra infrastruttura e questa è una sfida in alcuni Paesi. Sebbene ci siano stati molti investimenti, abbiamo bisogno di una maggiore connettività tra Stati e anche di una manutenzione più coerente».
D’altra parte, negli ultimi due decenni, gli investimenti nella rete ferroviaria europea da parte dei governi nazionali e dell’Ue sono stati ampiamente inferiori rispetto a quelli destinati alle strade: secondo i dati Ocse, tra 2000 e 2019 sono stati destinati più di 1.300 miliardi di euro per i trasporti su gomma e solo 850 miliardi per quelli su rotaia. In particolar modo a essere lasciata indietro (Italia, Francia e Spagna a parte) sembra essere stata proprio la rete ad alta velocità continentale. A fine 2012, quest’ultima costituiva il 43 per cento della lunghezza totale della Av a livello mondiale, mentre a fine 2021 tale valore era sceso al 20 per cento. Secondo un recente rapporto della società di consulenza Ernst&Young a questi ritmi si potrà arrivare al raddoppio della linea veloce solo nel 2058: eppure un simile intervento attiverebbe 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro e una ricaduta economica di almeno 750 miliardi di euro, generando oltre 600 miliardi per l’economia europea in costi esterni risparmiati e benefici in tempo di viaggio. A livello ambientale, poi, nel 2030 si risparmierebbe 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 e cinque miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2070. Anche se un documento della banca d’affari Morgan Stanley, rispetto all’incidenza dell’inquinamento, è più cauta: «Mentre la ferrovia può essere una buona soluzione di trasporto per molte persone, non fa una grande differenza per le emissioni; perché il vero responsabile di quest’ultime è il piccolo numero di persone che effettuano spostamenti molto lunghi, per esempio utilizzando aereo». L’Alta velocità rappresenta comunque una risposta. Poterla rendere effettivamente percorribile è da dimostrare.