Gran Bretagna: altro che Keir Starmer. In tempi così difficili ci vorrebbe Churchill...
Senza averle chieste né annunciate nei suoi propositi elettorali, the Prime minister britannico Keir Starmer è costretto a pretendere «lacrime e sangue» dagli inglesi che si trovano con una sterlina ammaccata in termini di potere d’acquisto e con città dove la sicurezza sembra diventata un’astrazione metafisica. Come non ricorrere al confronto con Winston Churchill? In occasione della ricorrenza dei sessant’anni della sua morte - 24 gennaio 1965 - come non richiamare l’obbligo fino all’ultima goccia di sacrificio che impose alla sua gente ma anticipandone i contenuti e avvertendo che queste loro fatiche non sarebbero state né poche né per poco tempo? A badare alla sua struttura fisica - con quel giro pancia importante, le spalle incurvate come accade per i pigri e l’andatura quasi affaticata - lo si sarebbe scelto come il compagno ideale per una serata al pub. In realtà, Churchill aveva una spina dorsale d’acciaio che gli consentì di reggere il peso di responsabilità esorbitanti. Fin dall’inizio. Nacque- 20 novembre 1874 - nello Oxforshire, in una stanza damascata del Blenheim Palace dove viveva la famiglia e che grondava di onorificenze dinastiche. Il ramo materno aveva radici statunitensi, poteva vantare un rapporto di parentela con il primo presidente Usa George Washington ed era proprietario del quotidiano New York Times.
L’albero genealogico del padre era in grado di comprendere i «ceppi» fiorentini dei Guicciardini e degli Strozzi. I ritratti degli antenati che spuntavano da ogni muro mostravano mezzi busti carichi di medaglie e collari al merito. Il genitore di Winston dava del «tu» allo zar Alessandro III e al «duro» della Prussia Otto von Bismark. Impegnativo reggere il confronto con un vicerè d’Irlanda, il duca di Marlborough e con il generale che, dividendo il comando con Eugenio di Savoia, vinse la «guerra di successione spagnola». Churchill, alla scuola di Saint George, ad Ascot, resistette anche alle angherie del rettore - il reverendo Sneyd Kynnersley - che, rincrudendo metodi educativi già, di per sé, prossimi al sadismo, puniva i suoi mediocri risultati accademici, frustandolo quotidianamente fino a lasciargli cicatrici permanenti sulla schiena e sulle gambe. Perché il rendimento scolastico migliorasse fu necessario aspettare gli anni della scuola superiore al Brunswick Hove (prima) e (poi) all’accademia militare di Sundhurst da dove uscì ufficiale di cavalleria. Questo spiega la formazione di un carattere rigido che gli impediva di accettare la più piccola mediazione altro che compromessi. In Parlamento, fece ingresso nel 1900, vincendo nel suo collegio nella consultazione che venne definita la «khaki election» per via del fatto che i cittadini si recarono alle urne suggestionati dalla guerra (vinta) contro i boeri.
Ma fra i deputati, Churchill prese a litigare con chi non gli piaceva: a maggior ragione se apparteneva al suo partito, il conservatore. Si mise di traverso al ministro delle Colonie Joseph Chamberlain che voleva aumentare gli effettivi militari. Si oppose (assecondando l’iniziativa di David Lloyd George) al progetto di produrre una nuova flottiglia di navi. E, sfidando l’impopolarità fra i compagni di partito più accaniti, ottenne che non venisse utilizzata la forza per reprimere lo sciopero dei minatori del Galles. Aveva la capacità di intuire lo sviluppo delle dinamiche politiche prima che se ne registrassero i primi effetti. Quando, a Locarno (settembre 1925) i grandi della Terra s’incontrarono per promettere una pace universale, si presentò in libreria con una sua pubblicazione intitolata Ci suicideremo tutti. Il filo conduttore della sua analisi era un ammonimento. «Neppure per un istante si creda che sia passato il pericolo di una nuova esplosione di guerra in Europa». Da allora, con diverse responsabilità di governo, si attrezzò per far fronte a un nuovo conflitto. Che, da premier, condusse con la risolutezza di chi non molla.
Con un Paese che stava stramazzando sotto le bordate dei reparti di Adolf Hitler e con qualche frangia di cittadini che avrebbero accettato un governo filo nazista, guidò la resistenza, la rivolta e la rivincita della Gran Bretagna. Fino a quando le forze alleate furono in grado di pretendere la resa senza condizioni alla Germania. Non sempre i meriti vengono riconosciuti quando è giusto. Quando avrebbe dovuto avere i risultati elettorali più vistosi fu sconfitto. Ma non rinunciò a ragionare sulle cose del mondo. Denunciò con preoccupazione l’invadenza comunista nell’Europa centrale e mise in guardia da un dittatore (Stalin) che stava prendendo il posto di un’altra dittatura. E, con invidiabile preveggenza, pubblicò un saggio per profetizzare la nascita dello «Stato-robot». Ipotizzò che una nuova forma di burocrazia asfissiante si sarebbe presentata «entro 50 anni». Cioè, ai giorni nostri. «La democrazia» si domandò da pessimista, «potrà tenere testa a questo pericolo?».