Van Gogh Café Opera Musical: la vita piena di colori di Vincent Van Gogh
Siamo in una generosa Parigi della Belle époque, in uno dei tanto acclamati Cafè Chantant. Storicamente a cavallo tra una casa chiusa e un luogo di musica e assenzio, i Cafè Chantant ospitano ballerine, musicisti, letterati, artisti, e non fa eccezione il Van Gogh Cafè, che dopo anni di chiusura, è finalmente pronto a riaprire i battenti. E mentre il cameriere Luc sovraintende tutti i lavori prima del debutto, entra in scena un personaggio: vero, non vero, non si sa. È Monsieur Louis Philippe, un brillante antiquario, che porta con sé un libro: la raccolta delle lettere tra Vincent Van Gogh e suo fratello Theo. In questo ambiente fatto anche di analfabeti e gente che arriva dalla strada, questo libro inizia a emozionare come saprebbe appassionare un bambino. Lo aprono: non sanno leggere, ma ci sono le immagini, i bozzetti dei minatori, i bozzetti delle tessitrici, i dipinti colorati, e Monsieur Louis Philippe che è un antiquario così come potrebbe essere l’anima del libro, inizia a disquisire con i ragazzi in maniera leggera, senza velleità da maestro.
Pian piano tutti i protagonisti si aggrappano a questi scritti, scoprendo ognuno la propria similitudine con il pittore, ritrovando se stessi nelle storie di questo turbolento artista. C’è il riconoscimento, l’immedesimazione: questo colto e curioso antiquario fa da fil rouge a questo contagio positivo dell’anima facendo ritrovare a queste persone l’umanità, un’umanità che stavano perdendo a sfavore di un triste senso di sopravvivenza.
Scritto e diretto dall’eclettico Andrea Ortis, “Van Gogh Café Opera Musical” è uno spettacolo musicale ispirato alle opere e alla straordinaria vita di Vincent Van Gogh.
Il tutto parte da uno smisurato amore del regista per la pittura ereditato dalla mamma, insegnante di lettere e pittrice, con la quale, fin da piccolo ha visitato Provenza, Normandia, Parigi e Olanda. La vita di Vincent Van Gogh, ha praticamente attraversato quella di Andrea fin da piccolo. Chiacchierando con il regista, si percepisce nitidamente un’infinita ammirazione per il pittore espressionista, nella tenerezza della sua voce nel pronunciarne il nome: “Vincent”, mai seguito dal cognome, come se si trattasse di un caro amico, un amico enormemente frainteso.
“Ho conosciuto un Vincent un po' distante da quello che solitamente viene presentato, ovvero una figura inquieta e incompresa, un po' folle. Ho conosciuto invece un uomo di una vitalità incredibile, desideroso di amicizia, di dare amore e di riceverne, un uomo allegro, vispo, curioso, un uomo attaccato alla vita. Questi presupposti mi hanno spinto a scrivere “ il mio Vincent”, che è un Vincent più ampio, nel quale abitano tutte le nuances, le sfumature dell’animo umano e le ho raccontate partendo dalla lunga corrispondenza epistolare tra Vincent e il fratello Theo.”
È un’opera suonata dal vivo, con chitarre, violino, pianoforte, musette, percussioni e contrabbasso, un’opera musical che mette in risalto tutte le sue forme d’arte: danza, canto e recitazione. Anche la scelta della musica ha un significato profondo. Andrea Ortis ha scelto il cantautorato francese degli anni Sessanta (Edith Piaf, Charles Aznavour, Mireille Mathieu, Yves Montand), perché in quei testi (come nel corrispettivo cantautorato italiano di quel periodo), c’erano le parole, e le parole hanno un peso. Parole usate come poesia, come lettura della realtà, una digestione intellettuale degli accadimenti. “A volte quei testi, come spesso capita, riescono a dire quello che una persona non riuscirebbe mai a esprimere”
La produzione musicale è infine arricchita da composizioni originali del maestro Antonello Capuano e commenti musicali che sartorialmente accompagnano i momenti di prosa, da quelli più canzonatori, a quelli più introspettivi e intimi.
“Raccontiamo tanti temi. Ci siamo accorti che affrontando in forma musicale temi poco leggeri come prostituzione, violenza, o solitudine profonda, abbiamo un riscontro clamoroso, ed è bellissimo per me! Perché il teatro deve poter riacquisire la propria dimensione di lettura della realtà, di provocazione. Ci tengo a dirlo perché ho la fortuna di avere una produzione che condivide la mia stessa visione: il sapore della semina. Il teatro che cerco di fare io, sa di semina. Sa di futuro, e credo che questo spettacolo per le centinaia di messaggi positivi che continuiamo a ricevere, stia andando in questa direzione.”
Di fatto, in questa Opera, Vincent Van Gogh racconta con pennellate di colore la propria vita, quei colori che abitano necessariamente in tutti noi, che soffriamo, viviamo, siamo animati dalle stesse fiducie, dagli stessi slanci, dagli stessi baratri.
E se l’intensità dell’applauso finale da un lato dimostra l’apprezzamento del pubblico, dall’altro ha un sapore di vera riconoscenza, riconoscenza per quelle potenti emozioni che questo spettacolo regala, diverse per ogni persona.
Perché Vincent è in tutti noi e tutti noi siamo Vincent.