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Scalea, “terra di duchi e principi, mercanti, filosofi e santi”

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Lasciato alle spalle il pittoresco centro storico di San Nicola Arcella, il tracciato della Statale 18, in direzione sud, conduce rapidamente verso Scalea, tagliando la penisola dell’omonimo Capo: proprio qui termina l’imponente arco di costa che da Capo Palinuro abbraccia tre regioni (Campania, Basilicata e Calabria) per dare il via alla chilometrica costa calabra che prende il largo dalla seducente scogliera e dalla spiaggia dell’Ajnella.

«Scalea è uno dei paesi più antichi…tipico borgo medioevale costiero predisposto per la difesa dalle incursioni: in evidenza, in basso, sono la Chiesa ed il Palazzo dei Principi ed in alto i ruderi del castello normanno; Scalea è sorta durante le lotte tra Longobardi e Bizantini, per il dominio della zona, prima del secolo IX…».

Sono le prime parole della premessa che i compianti Mario Manco e Giuseppe Cupido affidarono alle pagine di “SCALEA a Scalìa” (Edizione Manco – Studio Tipografico, Scalea, 1977), una delle principali opere di ricostruzione storica della loro terra di origine, sicuramente la più importante se analizzata sotto la lente della rielaborazione affettiva, fatta di ricordi familiari, episodi personali ed accadimenti che si dipanano tra realtà e leggenda.

Le stesse origini del nome affascinarono la ricerca dei due autori: «Scalea si sviluppa sui gradoni del Colle come una scala: il nome Scalea deriva da scala? E’ la prima, immediata e spontanea spiegazione, forse la più vicina al vero (…). Alcuni dei maggiori dizionari dei nomi dei luoghi d’Italia scrivono: Scalea, dal greco Skaleia, sarchiatura; Scalea da Scala-Ea, che indica Scala della Dea Madre Ea (…) madre della roccia eterna (…); Scalea da Askalos - Ascula -Scalìa, ovvero luogo incolto; Scalea dalla greca Skiòne, ovvero luogo ombroso: comunque nel dialetto locale il paese è detto Scalìa, forse in ricordo del nome dell’antico abitato della zona (…) Il nome Scalea viene citato per la prima volta da Goffredo Malaterra, biografo di Ruggero il Normanno, in una delle sue opere del 1058 (…)».

Origini millenarie, dunque, che la vogliono «sorta sulla salubre e difendibile collina della Scala onde sfuggire alle scorrerie terrestri e marittime e alla malaria che avrebbe infestato la “Fischìa”, ormai paludoso Pantano; e pur affondando, con le sue radici, in tempi remoti e probabilmente nella romana Lavinium, Scalea -in realtà- ritrova tracce più sicure della sua storia nel periodo normanno quando, grazie al porto naturale, fu sfruttata e potenziata per adempiere alla funzione di emporio marittimo, intermedio, tra il bacino occidentale e quello orientale del Mediterraneo».

E’ quanto sostiene Giovanni Celico, autorevole storico delle tradizioni calabro-lucane di quest’area di confine, nella sua “Scalea, tra duchi e principi, mercanti, filosofi e santi” (Editur Calabria, 2000), meticolosa ricostruzione delle origini del centro tirrenico. E proprio dei simboli di queste antiche e nobili ascendenze è disseminato il territorio di Scalea che presenta elementi architettonici di primissimo piano, a cominciare dal Castello dell’ XI secolo, fatto erigere dai Normanni sui ruderi di un sito longobardo, dove nacque quel Ruggiero di Lauria celebre ammiraglio della flotta aragonese che condusse in memorabili sfide contro gli avversari angioini, per proseguire con la Torre Talao, costruita nel XVI secolo: struttura che «faceva parte del sistema difensivo costiero, contro le incursioni dei turchi, voluto da Carlo V (…) e costruita a carico della gente del posto: ogni cittadino dovette contribuire all’edificazione della Torre o con una somma in denaro o con la prestazione gratuita secondo le proprie capacità», per come riportato ancora nel testo di Manco e Cupido, che guidano il lettore anche alla scoperta del sito in cui sorgeva l’antico porto, situato nelle insenature delle spiagge dell’Ajnella e di Marina Grande. Insomma, un centro marinaro di primissimo piano, stando alla definizione di Charles-François Lenormant (1837-1883), archeologo ed esponente della celebre epopea del Grand Tour che avrebbe condotto la crema della borghesia europea a girovagare in lungo e in largo per le allora sconosciutissime terre poste a sud di Napoli.

Ed ancora i tanti conventi, i ruderi di chiesette e monasteri (Spedale, S. Cataldo, San Giovanni, S. Marco, San Jorio, San Biase, Santa Lucia, Santa Caterina) che occupano l’intero territorio comunale, segno tangibile di un fortissimo senso della religione che, nelle varie epoche, ha permeato il luogo; ma soprattutto la Chiesa di Sopra, quella innalzata a Santa Maria di Episcopio: «il suono delle campane della Chiesa di Sopra, per secoli, ha accompagnato il ritmo degli avvenimenti più importanti degli abitanti di Scalea: meglio conosciuta come “Madonna del Carmine”, è ricca di monumenti ed opere d’arte. La Madonna del Carmine è la patrona di Scalea e si festeggia il 15 e 16 luglio di ogni anno», vergavano, ancora, Manco e Cupido.

La base del centro storico è invece occupata dalle possenti mura della Chiesa di Sotto, meglio nota come la Chiesa di S. Nicola di Platea, risalente all’VIII secolo, famosa -soprattutto- per conservare i resti di due grandi figure della storia scaleota, l’ammiraglio angioino Adimaro Romano (1280-1344) e, soprattutto, il filosofo Gregorio Caloprese (1654-1715): «su una lapide posta sulla facciata di un palazzo di Largo Marina si legge: “qui Gregorio Caloprese insegnò a Pietro Metastasio la filosofia del Cartesio”: (…). Il Vico ed il Giannone lo ricordano come grande filosofo cartesiano; parlarono di lui ammirati tutti i grandi dotti del tempo e fu maestro di grandi uomini di pensiero (…); è considerato il padre dell’estetica moderna. Anche Benedetto Croce lo riconobbe tale»: come non leggere, nelle parole di Manco e Cupido, tutto l’orgoglio per un concittadino di tale spessore storico…

E proseguendo in questo pur breve viaggio tra la storia scaleota, come non citare Torre Cimalonga, eretta nel XV secolo e posta a guardia della parte meridionale del centro storico o, ancora, la Torre di Giuda, che ne proteggeva il lato nord; o come non menzionare il palazzo dei Principi Spinelli, feudatari di Scalea dal 1526: fu proprio il principe Francesco Spinelli a respingere un attacco dei corsari all’inizio del XVII secolo, episodio che, però, lo vide soccombere proprio sull’arenile del suo feudo. Nè possiamo dimenticare il Palazzo Palamolla, in cui nacque quel Lucio Palamolla, predicatore e confessore di molti Papi. Prestigiose ascendenze storiche, dunque, che permeano l’intero territorio cittadino, come una cavalcata di secoli tra civiltà e comunità eterodosse che proprio in questo borgo sembrava avessero trovato la loro sintesi. Di questa sfumatura storica di non secondaria importanza era convinto uno scrittore, saggista, drammaturgo, poeta, conferenziere, che amava definirsi intellettuale organico al territorio: non ad un partito, ad una ideologia, ad un gruppo organizzato, come tanto andava in voga nella seconda metà del Novecento, ma ad un’area geografica ben determinata, proprio questa stretta linea di costa che dal confine settentrionale della Calabria discende per poi dileguarsi tra i colori del mar Tirreno e le suggestioni della montagna calabrese. Franco Galiano (1947-2023) aveva speso la vita tutt’attorno alla cultura ed all’idea della sua divulgazione, sia come docente di materie letterarie proprio al Liceo Metastasio di Scalea che come cultore delle antiche tradizioni sociali delle popolazioni che da sempre abitano questo tratto finale della Calabria. O iniziale, se si vuole. Ne Le più belle anime di Scalea (Publiepa Edizioni, Cosenza 2011) aveva scritto che «la nuova città cresciuta sulle due arterie maggiori è un luogo irreale che si anima per lo più d’estate o nelle pause festive: qui lo spazio fantasma si contamina in un formicaio caotico (…) ma Scalea (vogliamo con fermezza scongiurarlo!) non può diventare una città da prendere in prestito per una sola vacanza o per una sola estate o per una sola notte oppure per un evento sebbene importante e che, delusi, in qualsiasi momento sia da sostituire o da ripudiare, ma che piuttosto divenga una compagna fedele per più lunghe permanenze e migliori destini, da associare ad uno sforzo intelligente e comune e non ad una furbizia personale, corta ed asfittica nell’arte di arrangiarsi…».

Altro spessore. Altra sensibilità. Altre inquietudini…

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