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Una giustizia che fa politica

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Più della metà degli italiani crede che i magistrati siano politicamente orientati. Parola di Repubblica, il quotidiano che negli ultimi trent’anni ha sostenuto a spada tratta le toghe, avversando ogni riforma della giustizia.

Sono lontani i tempi in cui le folle accorrevano a manifestare solidarietà al pool di Mani pulite e pare dimenticato il periodo in cui i pm erano considerati delle star, applaudite a ogni passaggio. Alla domanda dei sondaggisti incaricati dal quotidiano di casa Agnelli di tastare il polso ai cittadini, il 54 per cento degli intervistati ha risposto di ritenere che gran parte delle inchieste e dei processi che coinvolgono esponenti politici puntino a colpire alcuni partiti e privilegiarne altri. Da notare che analoghe rilevazioni erano state commissionate un anno fa e avevano dato risposte molto simili, che tuttavia questa volta sono state rafforzate, con un aumento di chi pensa che i magistrati agiscano con intenti politici e una diminuzione di quanti li ritengono indipendenti.

Tutto ciò dovrebbe spingere la categoria di chi è chiamato ad amministrare la giustizia a una seria riflessione, soprattutto ora che le toghe sono sul piede di guerra contro il progetto di separazione delle carriere fra pm e giudici. Già, perché mentre l’Anm sostiene che la riforma punti a ledere l’autonomia dei giudici, la maggioranza dell’opinione pubblica dimostra di non credere affatto all’indipendenza della magistratura, ma anzi pare pensare che chi si erge a giudice super partes, in realtà è una parte in causa della battaglia politica.

Non so quando sia cambiata l’opinione degli italiani riguardo a chi amministra la giustizia, ma credo che «la caccia grossa» ad alcuni leader politici abbia contribuito. Trent’anni di inchieste con al centro Silvio Berlusconi (alcune sono sopravvissute perfino alla sua scomparsa) molto probabilmente hanno lasciato il segno, così come non credo siano estranee alcune indagini che hanno messo nel mirino Matteo Salvini come quella che si è appena conclusa con l’assoluzione dall’accusa di aver sequestrato su una nave un centinaio di migranti. Indagini che hanno costretto alle dimissioni alcuni governatori (mentre magari hanno lasciato al proprio posto altri amministratori, però di diverso segno politico nonostante le accuse per tutti fossero molto simili) o altre che sono finite con un’assoluzione o un’archiviazione poi hanno fatto il resto.

Ma se i procedimenti contro esponenti del centrodestra hanno scavato un solco fra magistrati e toghe, portando l’opinione pubblica a ritenere che molte indagini siano politicamente orientate, a far mutare la percezione degli italiani nei confronti di chi amministra la giustizia probabilmente hanno contribuito anche i molti errori giudiziari che hanno portato in carcere degli innocenti.

Dai tempi di Enzo Tortora a oggi assistiamo ad arresti facili che privano della libertà soggetti che a verifiche più attente non avrebbero mai dovuto subire una custodia cautelare. Per non parlare delle inchieste annunciate con gran clamore, che poi altrettanto meno clamorosamente finiscono nel nulla (ricordate l’inchiesta Stato-mafia che lambì i vertici della Repubblica, trascinando in giudizio alcuni dei più importanti rappresentanti delle forze dell’ordine e poi si concluse con una raffica di assoluzioni?).

Sì, se il 54 per cento degli italiani si dice convinto che i magistrati agiscano con intenti politici, credo che oltre un quarto di secolo senza che le toghe abbiano mai sinceramente riflettuto sui loro errori e messo in opera delle misure correttive abbiano intaccato la fiducia in chi amministra la giustizia. Perché di questo si tratta. Altro che dichiarare sciopero contro il progetto di separazione delle carriere o procedere con pratiche a tutela di singoli pm ogniqualvolta vengano rivolte critiche a questo o a quel magistrato.

I primi che dovrebbero fare autocritica e dichiarare che la loro autonomia è ormai un paravento con cui si nasconde un sistema autoreferenziale sono loro e di questo passo, continuando a negare la necessità di una profonda revisione del sistema di autotutela, penso che sarà inevitabile ripescare quel voto di tanti anni fa, quando gli italiani, alla domanda se volessero che i magistrati ripagassero di tasca propria gli errori commessi risposero sì. La politica poi ci mise una pezza, facendo in modo che la responsabilità civile fosse a carico dello Stato e non del singolo giudice. Ma di questo passo si arriverà anche alla citazione diretta delle toghe, in base al principio che chi sbaglia paga. A maggior ragione se sbaglia per assecondare un suo obiettivo politico. n