Potere Giorgia
Testa in alto, schiena dritta, mani sui fianchi. Lo scorso giugno, durante il G7 a Borgo Egnazia, Giorgia Meloni volteggiava spavalda al ritmo della pizzica salentina. Il lungo abito bianco le donava. Attorno a lei, non c’erano potenti, ma danzatori e popolani. Quel momento è diventato la metafora del suo stato di grazia. Giorgia balla da sola, come nel poetico film di Bertolucci. Sebbene la politica, ricordava prosaicamente l’ex ministro Rino Formica, sia soprattutto «sangue e merda». Le danno della sfrenata accentratrice. Poco importa. Guida un partito passato dall’irrilevanza alla centralità. Ed è la prima presidente del consiglio donna in Italia, di destra per di più.
Opposizione brancaleonesca, rimestatori agguerriti, ministri problematici, colleghi inesperienti. Balla da sola, ovvio. Per brevità, limitiamoci alle imprese degli ultimi mesi. Ha fatto di testa sua in Europa, evitando di concedere la fiducia alla nuova presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Ha consolidato l’amicizia con Elon Musk, l’imprenditore più ricco e influente del pianeta. Ha guadagnato l’appoggio di Donald Trump, che ne decanta le lodi. Proprio con un fulmicotonico viaggio in Florida, dove ha incontrato il presidente degli Stati Uniti, è riuscita a risolvere un ostico intrigo internazionale: l’arresto in Iran della giornalista Cecilia Sala.
«Giorgia ascolta tutti, poi decide da sola» condensa uno dei consiglieri più fidati. Il metodo viene oliato da contingenze favorevoli. La sua era, checché se ne pensi, sembra appena cominciata. «Il mio governo è il settimo per longevità su 68 della storia nazionale» s’è vantata durante la conferenza stampa di inizio anno. E se dovesse durare fino al termine della legislatura, diventerà il più lungo di sempre. Tanto che persino la mal assortita opposizione, dopo aver vagheggiato spallate, già pensa alle prossime politiche. «Chi sfiderà Meloni nel 2027?» si domandano smarriti al Nazareno. La segretaria del Pd, Elly Schlein, pare destinata a far da comparsa. E quale sarebbe la coalizione, poi?
Intanto, la solinga premier è arrivata a metà legislatura. Le mosse più indovinate sono state quelle sullo scacchiere internazionale. A partire dallo sperticato Atlantismo professato fin dagli esordi, con il costante appoggio all’Ucraina. Fino al ritorno di Trump, che minaccia sostanziosi dazi per l’Ue. La premier italiana è la leader europea più vicina all’amministrazione statunitense, grazie anche ai buonissimi uffici dell’uomo che vuole andare su Marte. Musk è appassionato di storia antica. «America is New Rome», scrive sul suo X.
Oltre ai moti ideali, ci sono pure gli affari. Palazzo Chigi è interessata a Starlink, la rete internet satellitare. Musk garantirebbe connessioni sicure: un possibile accordo da 1,5 miliardi di euro per cinque anni. E poi c’è l’ancor più sostanzioso progetto per integrare la banda larga, che prevede uno stanziamento di 3,8 miliardi di euro del Pnrr. La sperimentazione partirà dalla Lombardia. Intanto, la sinistra insorge contro l’uomo nero, che twitta sui giudici italiani e appoggia Alice Weidel, a capo di AfD, la destra tedesca. L’opposizione si agita, certo. No ai pericolosi satelliti di Musk. E neppure alle ingerenze politiche. Eppure, ricostruisce il New York Times, l’odiatissimo si sarebbe persino adoperato con l’ambasciatore iraniano per riportare Sala in Italia. Comunque sia, l’uomo che ormai detta le urgenze planetarie considera «fantastica» Giorgia. Tanto che lei viene continuamente evocata come l’unica in grado di far dialogare le opposte sponde. Potrebbe essere lei a organizzare, sempre tramite l’amico Elon, una chiamata chiarificatrice tra Von der Leyen e Trump.
Con la presidente della commissione Ue, avversatissima da Musk, i rapporti sono difatti proficui e cordiali. È stata eletta con la maggioranza più risicata di sempre. I conservatori, all’epoca guidati da Meloni, non hanno votato per lei. I popolari si sono così adoperati per riesumare la vecchia maggioranza: con socialisti, verdi e liberali. I profeti rossi di sventura, a giornaloni unificati, annunciavano un epocale isolamento per l’Italia. È successo il contrario. I popolari sembrano aver più affinità con i conservatori che con i supposti alleati, a partire dalla rivisitazione del green deal, che sta affossando l’industria europea. Il legame tra Giorgia e Ursula, nonostante la feroce avversione dei progressisti, è stato sancito dalla nomina di Raffaele Fitto: vicepresidente esecutivo dell’Ue, con «un pacchetto di competenze che vale mille miliardi» ricorda la premier.
Pure in Europa, balla da sola: per propria abilità e demeriti altrui. La Germania, dopo la sfiducia a Olaf Scholz, tornerà al voto tra un mese. La Francia di Emmanuel Macron è ostaggio di convulsioni politiche, istituzionali ed economiche. L’Italia, invece, ha uno dei governi più stabili di sempre. La stampa continentale è costretta a prenderne atto. Ultimo è stato Politico, autorevolissimo a Bruxelles e dintorni. Ha incoronato Meloni «la personalità più influente d’Europa». Qualche anno fa, però, era nell’elenco dei distruttori. D’altronde, perfino The Economist lo scorso fine maggio l’ha piazzata a centro copertina, tra la francese Marine Le Pen e Von der Leyen. Sono seguiti centinaia di articoli. Per Le Figaro è «la nuova donna forte d’Europa». The Times rilancia con l’ancor più enfatico «regina d’Europa». In via della Scrofa, sede romana del partito, hanno però particolarmente apprezzato l’inatteso elogio su The Guardian, storico quotidiano di sinistra britannico. Il titolo è amletico: «La mutaforme. Chi è la vera Giorgia Meloni?». Nell’articolo viene definita un «pragmatica e capace»: in due anni «ha sorpreso molte persone» diventando «il leader politico più in voga in Europa». Mentre il bendisposto settimanale The Spectator si avventura nella similitudine con il primo ministro donna più celebrato della storia, di cui Meloni sarebbe una versione «mediterranea»: Margaret Thatcher. Certo: in Italia non ci sono clamorose proteste, come quelle dei minatori inglesi degli anni Ottanta contro la «lady di ferro». Al massimo, i sindacati si adoperano per garantire il weekend lungo. Ma le analogie restano: comune decisionismo e stesso conservatorismo.
Per carità, in patria non va tutto magnificamente. Il debito cresce, la produzione cala, il Pil stagna. C’è chi fa peggio, però. La Germania è in recessione. La Francia non contiene il deficit. L’austera manovra del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non scalda i cuori né riempie i portafogli. Ma garantisce stabilità e chiude la voragine del superbonus ideato dal governo Conte. Non è tanto, ma nemmeno poco. Il 2025, annuncia Meloni, sarà comunque l’anno delle riforme «che spaventano molti». Il premierato, «così temuto dai campioni olimpici dei giochi di palazzo». Poi, l’autonomia differenziata: è malvista dai governatori forzisti, ma resta un’irrinunciabile bandiera della Lega, già fibrillante per l’avversione al terzo mandato nelle regioni.
Il doge veneto, Luca Zaia, sembra pronto persino a correre in solitaria. La Lega contro tutti, pur di non cedere agli straripanti alleati. Alle ultime europee, Fratelli d’Italia ha preso in Veneto quasi il 38 per cento. E non guida nemmeno una regione del Nord. Ora sogna di espugnare il Nord-est, che è però l’ultima roccaforte della Lega. Che si fa, allora? Alla sede di Fratelli d’Italia minimizzano: fibrillazioni fisiologiche, il governo non cadrà certo per rifare la Serenissima. Matteo Salvini, capitano leghista, rischia però l’ammutinamento. Per questo dovrà continuare a sventolare la bandiera dell’autonomia, nonostante i malcelati dubbi del collega vicepremier: Antonio Tajani, leader di Forza Italia.
Il vessillo azzurro, nel nome di Silvio Berlusconi, è invece la riforma della giustizia. Il Cavaliere ci ha provato per lustri, invano. Ora Meloni insiste: «Vogliamo liberare la magistratura dal controllo delle correnti politicizzate». Il popolo è con lei. Uno scandalo dopo l’altro, la categoria è avversatissima. Perfino il sulfureo Elon ha commentato sprezzante la decisione sui centri per il rimpatrio in Albania: «Questi giudici se ne devono andare». L’opposizione è insorta. Da quel momento, non ha mai smesso di denunciare le supposte ingerenze del nuovo nemico dell’internazionale socialista. La premier, di rimando, ha citato però lo sfrenato attivismo di George Soros. Come ricostruito da Panorama negli scorsi mesi, il vecchio magnate progressista ha finanziato in Italia illustri esponenti di tutti i partiti dell’opposizione, per «piegare l’arco della storia nella giusta direzione». Uno dei principali intenti dell’impero del bene sorosiano è l’accoglienza a oltranza. Quella che Roma cerca di contenere, grazie all’accordo con Tirana. Conta diversi estimatori in Europa: da Von der Leyen a Keir Starmer. Il primo ministro laburista, nella sua ultima visita a Roma, ha persino elogiato i «progressi significativi» del nostro governo, che è riuscito a ridurre gli sbarchi del 60 per cento nel 2024.
In patria, invece, la sinistra sembra seguire l’insegnamento di Franceschiello, l’ultimo Re delle due Sicilie. Al suo scombiccherato esercito intimava: «Facite ‘a faccia feroce». In via della Scrofa maramaldeggiano: «Altro che Salvini e Tajani, la migliore alleata di Giorgia resta Elly Schlein». In effetti, alla già fortunata lady di ferro è toccata in sorte una delle più scombiccherate opposizioni di sempre. Il centrino da riesumare. I Cinque stelle verso la dissoluzione. Matteo Renzi diventato moralizzatore. «Con questi dirigenti, non vinceremo mai!» urlava lo scorato Nanni Moretti un abbondante ventennio fa. E lì, in definitiva, la sinistra sembra rimasta. Alla ricerca di un nuovo Romano Prodi, l’85enne ex premier che adesso accusa l’Italia di sudditanza verso l’Europa. A Giorgia è sembrato benaugurante: «Quando ho letto i suoi improperi isterici, ho brindato alla mia salute». Accennando, probabilmente, anche un passo dell’amata pizzica.