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Panorama
Январь
2025

La linea dura di Trump: lo strappo con l'Onu, l'Oms e l'Accordo di Parigi per frenare la Cina

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Donald Trump tira dritto con la linea dura nei confronti dell’Onu e della Cina. Appena insediato, il presidente americano ha firmato un ordine esecutivo, in cui si avvia il processo per far sì che gli Stati Uniti lascino l’Organizzazione mondiale della sanità. In particolare, tra le motivazioni della sua mossa, ha citato “la cattiva gestione da parte dell'organizzazione della pandemia di Covid-19 scoppiata a Wuhan, in Cina, e di altre crisi sanitarie globali, la sua incapacità di adottare riforme urgenti e la sua incapacità di dimostrare indipendenza dall'inappropriata influenza politica degli Stati membri dell'Oms”. Si tratta di una decisione tutt’altro che inattesa. Già nel 2020, Trump aveva avviato il processo per abbandonare l’agenzia specializzata dell’Onu, denunciando la sua eccessiva vicinanza politica al Dragone: un processo che, una volta entrato in carica, Joe Biden aveva poi interrotto.

Non solo. Nelle scorse ore, il presidente americano ha anche annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima. Una mossa che, anche in questo caso, il diretto interessato aveva attuato già durante il primo mandato. Alla base di questa decisione ci sono varie ragioni interconnesse. In primis, Trump vuole puntare moltissimo sull’energia tradizionale per combattere l’inflazione e venire incontro alla working class della Rust Belt (con un occhio, in particolare, rivolto alla Pennsylvania). In secondo luogo, il tycoon ha sempre considerato l’Accordo di Parigi come un ostacolo alla competitività economica degli Stati Uniti nei confronti della Cina.

Ma le stoccate a Pechino non sono finite qui. Nonostante si sia mostrato finora relativamente morbido sulla questione di TikTok, Trump, durante il discorso d’insediamento, ha dichiarato che Washington riprenderà il controllo del Canale di Panama proprio in ragione della crescente influenza cinese sulla struttura. Non a caso, ha rincarato la dose anche sulla Groenlandia. “La Groenlandia non è necessaria per noi, è necessaria per la sicurezza internazionale. Ci sono imbarcazioni russe ovunque, ci sono imbarcazioni cinesi ovunque, navi da guerra, e loro [la Danimarca] non riescono a mantenerla”, ha dichiarato.

Insomma, è chiaro che tutti questi provvedimenti hanno un minimo comun denominatore: mettere nel mirino la Repubblica popolare cinese. Trump teme la crescente influenza di Pechino sull’America Latina e sull’Artico. Inoltre, non vede affatto di buon occhio il peso politico del Dragone all’interno delle Nazioni Unite. “A Mosca, Teheran e Pyongyang, i dittatori seminano caos e instabilità, alleandosi con e finanziando gruppi terroristici radicali. Poi si nascondono dietro il proprio potere di veto alle Nazioni Unite e dietro la minaccia di una guerra nucleare. L'ordine globale del dopoguerra non è solo obsoleto; ora è un'arma usata contro di noi”, aveva dichiarato in Senato, la settimana scorsa, Marco Rubio, che è appena stato confermato segretario di Stato. L’obiettivo della nuova amministrazione Trump, in altre parole, è quello di riconoscere il ritorno di auge della politica di potenza. E comportarsi di conseguenza. Si tratta quindi di un chiaro avvertimento soprattutto a Pechino. La capacità di deterrenza americana, ci sta dicendo Trump, sarà presto ripristinata. E la Cina intanto non dorme sonni tranquilli. "Le guerra commerciali non hanno vincitori", ha dichiarato il vicepremier cinese Ding Xuexiang, paventando nuovi dazi da parte dell'amministrazione americana. La strategia di deterrenza promossa dal tycoon, forse, sta già iniziando a funzionare.

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