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Январь
2025

Bob Dylan: 10 cose da sapere prima di vedere il biopic

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Perché Bob Dylan è così importante?

Dylan è il cantautore più influente nella storia del rock, che, da portavoce del movimento pacifista degli anni Sessanta, quasi suo malgrado, è diventato via via un’icona di straordinario carisma. Alcuni critici hanno evidenziato come Elvis Presley abbia portato la fisicità nel rock, mentre Dylan ha portato la parola. Si può tranquillamente affermare che non sono stati né la voce, né il virtuosismo strumentale, né le strutture musicali piuttosto semplici a rendere Dylan una leggenda, ma un aspetto a cui purtroppo oggi si presta sempre meno attenzione: la parola. In un periodo, l’inizio degli anni Sessanta, nel quale i testi erano poco più che un pretesto, Robert, imbracciando la sua chitarra e la sua armonica con austera fierezza, ha dichiarato al mondo che la poesia non era solo quella che si leggeva nei libri, ma anche quella che giungeva attraverso la radio. Le sue canzoni erano evocative, ricche di metafore e di figure retoriche, spesso oscure, indubbiamente di grande fascino. Con i suoi lunghi brani il cantautore ha infranto la convinzione che il rock fosse soltanto un genere di intrattenimento, concepito solo per far ballare e divertire i giovani. In realtà proprio loro erano i destinatari delle sue poesie in musica, ma il cantante non voleva farli uscire da loro stessi e portarli in una dimensione altra come nel rock and roll ma, al contrario, il suo era un invito all’ascolto, alla riflessione, all’introspezione e alla consapevolezza di ciò che stava accadendo nel mondo.

L’influenza di New York

Il Greenwich Village di New York, negli anni Cinquanta, è stata una sorta di zona franca per artisti, scrittori, pittori, musicisti e disadattati. L’incontro e lo scambio tra queste diverse sensibilità artistiche è sintetizzato dall’opera di Dylan, un giovane folksinger di origini ebraiche che era rimasto affascinato dalla libertà e dalla forza della cultura beatnik. Non a caso una delle più belle definizioni della sua poetica è stata fatta da Allen Ginsberg, tra gli esponenti di punto del movimento beat: «Dylan si era venduto a Dio. Il che vuol dire che aveva ricevuto il comandamento di spargere la bellezza quanto più in largo possibile. Vedere se la grande arte poteva essere realizzata attraverso un juke box costituiva una sfida, me egli dimostrò che era in grado di farlo». Fondamentale, per la formazione di Dylan, fu anche il leggendario Chelsea Hotel di New York, un luogo che occupa un posto di primo piano nella letteratura rock. Un imponente palazzo rosso di venti piani e 250 camere, situato al numero 222 della West 23rd Street di Manhattan, tra la Seven e l’Eight Avenue, diretto dall'estroso Stanley Bard. Il soggiorno poteva costare dai 70 ai 100 dollari e a nessuno fu mai possibile sostare per più di 24 notti consecutive nella stessa camera. Dylan era affezionato alla stanza 211, dove ha composto due capolavori come Sad Eyed Lady Of The Lowlands e Sara.

I primi, straordinari album degli anni Sessanta

Il primo atto della costruzione del mito è stato nel 1963 The Freewheelin Bob Dylan, il primo album di inediti dopo un 33 giri di sole cover, che conteneva al suo interno inni generazionali come Blowin’ in the wind, Masters of war e A hard rain's gonna fall. Woody Guthrie e Pete Seeger avevano trovato finalmente il loro erede, con in più la comunicativa e l’attitudine tipicamente rock. L’anno della definitiva consacrazione è il 1964, nel quale vedono la luce due suoi album, The times they are a-changing e Another side of Bob Dylan, quest’ultimo quasi a volersi smarcare dell'ingombrante ruolo di menestrello di una generazione. Il 1965 è l’anno della rivoluzione elettrica di Bringing it all back home e ancor più di Highway 61 rivisited, con brani di straordinaria potenza quali Like a rolling stone, Ballad of a thin man e Desolation row. Il doppio Blonde on Blonde, pubblicato il 16 maggio del 1966, è il coronamento di una prima parte di carriera straordinaria e irripetibile, con sei capolavori su sette album pubblicati. Nel 1966 un grave incidente di moto ha tenuto il cantautore lontano dalla scene per oltre un anno, fermando una frenesia creativa paragonabile forse solo a quella dei Beatles

La svolta elettrica

I ruoli di portavoce di una nuova generazione, di paladino dei diritti civili e di “subconscio collettivo americano” sono sempre stati stretti a Dylan, tanto che, nel momento di maggior idillio personale e a artistico con Joan Baez, strenua paladina dei diritti civili, Bob l’ha lasciata da sola sul palco per perseguire la sua personale visione musicale, più elettrica e meno impegnata politicamente rispetto agli esordi. Il 25 luglio 1965 Bob Dylan, punta di diamante della scena folk, salì sul palco del Newport Folk Festival e fece una cosa che cambiò per sempre la sua carriera, stupì il mondo e reinventò il rock. Quando attaccò la chitarra all'amplificatore, accompagnato da una vera e propria rock band, fu uno scandalo per il pubblico tradizionalista del festival. Per alcuni rappresentò una dichiarazione di indipendenza, per altri un tradimento, ma quasi tutti concordarono sulla fine del revival folk e dell'innocenza della prima metà degli Anni Sessanta.

Like A Rolling Stone

Il titolo del biopic è ispirato a un passaggio di Like a Rolling Stone, incisa il 16 giugno 1965 negli studi della Columbia a New York e contenuta nell’album Highway 61 Revisited. Dylan ha più volte dichiarato che è la sua canzone migliore, d’accordo con buona parte della critica musicale. Quattro strofe, un ritornello riproposto quattro volte, un tempo in 4/4 per un totale di 6 minuti e 6 secondi: è questo lo straordinario risultato finale di un testo in realtà molto più lungo, circa venti pagine, originariamente destinato al romanzo Tarantula. Una vera e propria invettiva, di straordinario cinismo, nei confronti di una “lei” caduta in disgrazia dopo anni di agi e di lussi. Emblematico, in questo senso, il ritornello: “Come ci si sente/Come ci si sente/ ad essere sola?/Senza un posto dove andare?/Come una completa sconosciuta/Come una pietra che rotola?”. Ciò che rende unico il brano è che gli strumenti seguono il cantato e non viceversa, come accade di solito. Già la prima strofa, con l'iniziale “Once upon a time” (“C’era una volta”) mette subito in chiaro che ci troviamo di fronte a una favola, senza lieto fine, ma pur sempre una favola. Alcuni ritengono che la protagonista della canzone, la “pietra rotolante", fosse la splendida attrice warholiana Edie Sedgwick, che però il cantautore non conobbe mai di persona.

Il Never Ending Tour

La metamorfosi, il non-finito è il segreto dell’arte dylaniana, che si rinnova a ogni esibizione del "Never-ending tour", inaugurato nel lontano 7 giugno 1988 (e forse terminato il 14 novembre 2024 alla Royal Albert Hall di Londra, a meno che non ci siano ripensamenti), anche senza l'esigenza di un album da promuovere. Le canzoni di Dylan non sono mai oggetti fissi e uguali a se stessi ma, come creature vive, nascono, si sviluppano e cambiano nel tempo, fino ad assumere sembianze del tutto nuove. Il cantautore è entrato nei cuori dei fan di almeno due generazioni proprio perché, paradossalmente, non ha mai fatto nulla per piacere e per risultare simpatico, come sanno bene gli spettatori dei suoi concerti. Non un solo saluto al pubblico, nemmeno un grazie al termine del concerto, nessuna canzone presentata con simpatici aneddoti, nessuna frase del tipo "siete il miglior pubblico che abbia mai visto"(ovviamente, ogni sera c'è il pubblico migliore del mondo). A differenza di altri suoi stagionati colleghi come i Rolling Stones, Dylan difficilmente suona le sue canzoni più conosciute degli anni Sessanta, ma attinge a piene mani dal repertorio cosiddetto minore, che è comunque di ottima qualità, e agli album più recenti. A rendere ancora più emozionanti le sue esibizioni è quel sottile senso di tensione che si respira in sala, anche perché è assolutamente vietato fare foto. I momenti di assoluta bellezza arrivano saltuariamente, come una ricompensa inaspettata e, proprio per questo, ancora più appagante.

Ispirazioni ed eredi

Dylan ha raccolto l’ideale testimone dai suoi idoli giovanili Woody Guthrie e Pete Seeger e l’ha passato ad almeno due generazioni di cantautori. Quando il giovane Robert Allen Zimmerman arrivò a New York nel 1961, andò subito a trovare Woody Guthrie, ricoverato in un reparto di psichiatria a causa della Malattia di Huntington. Accanto al suo letto incontrò Pete Seeger che, colpito dal suo talento, lo introdusse nella fervente scena artistica newyorkese: il resto della storia lo conosciamo tutti. Meno scontati, ma, per certi versi, ancora più interessanti, furono l’amore per Little Richard ed Elvis Presley. La frase accanto alla foto dell'allora Robert Allen Zimmerman, all’interno dell’annuario dell’Hibbing High School del 1959, recita: “Raggiungere Little Richard”. Dopo la morte di Elvis Presley, avvenuta il 16 agosto del 1977, Dylan non ha parlato con nessuno per una settimana intera. Per quanto riguarda i suoi eredi, Bruce Springsteen ha raccontato: «La prima volta che ho ascoltato Like A Rolling Stone avevo 15 anni, ero in macchina con mia madre e stavo ascoltando WMCA, quando ad un tratto partì quel colpo di rullante che suonava come se qualcuno stesse aprendo a calci la porta della mia mente». Più stringato, ma altrettanto efficace John Lennon, l’anima colta dei Beatles: «Dylan ci ha indicato la direzione». La canzone Gotta Serve Somebody che si aggiudicò un Grammy Award nel 1980, ispirata dalla sua conversione al cristianesimo, venne aspramente parodiata da John Lennon attraverso il corrosivo inedito Serve Yourself.

I premi vinti in carriera

Bob Dylan ha vinto in carriera 10 Grammy Awards, un Premio Oscar (per la canzone originale Things Have Changed dal film Wonder Boys del 2000), il Premio Pulitzer nel 2008 (primo musicista rock a riceverne uno), il Polar Music Prize nel 2000, la National Medal of Arts nel 2009, la Presidential Medal of Freedom nel 2012 e la Legione d'Onore nel 2013. È stato inserito nella Rock And Roll Hall Of Fame nel 1988, dall’amico Bruce Springsteen. La rivista Rolling Stone l'ha inserito al secondo posto nella lista dei 100 migliori artisti, al settimo in quella dei 100 migliori cantanti e al primo in quella dei 100 migliori cantautori. Nonostante i dieci Grammy vinti, Bob Dylan non ha mai avuto un singolo al primo posto della classifica Billboard.

Il Premio Nobel

Merita un discorso a parte la vittoria del Premio Nobel per la Letteratura nel 2016. In un periodo in cui i cantanti passano più tempo nella promozione degli album che in studio di registrazione, Dylan prosegue dritto nella sua strada di solipsismo, orgogliosamente asocial nell’epoca dei social. Il suo non è calcolato snobismo: a lui, semplicemente, non interessano le reazioni del pubblico, né tantomeno i premi e i tributi, anche quando si tratta del Premio Nobel, massimo riconoscimento per uno scrittore, “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”, ha dichiarato Sara Danius, segretario dell’Accademia svedese, nella motivazione del riconoscimento. Dylan, com'era prevedibile, non si è presentato in Svezia, dove ha mandato la sua amica Patti Smith a ritirare il premio per lui: la “sacerdotessa del rock” lo ha omaggiato cantando la sua A hard rain's gonna fall. L’accademia, non senza qualche imbarazzo, ha diramato una sua lettera, in cui il cantautore sottolinea come ''impegni presi precedentemente rendono impossibile il viaggio a Stoccolma a dicembre e quindi non potrà essere presente''. Nel testo Dylan sottolinea di ''essere molto onorato e che gli sarebbe piaciuto poter ricevere il Nobel di persona''. Non è la prima volta che il Premio Nobel non viene ritirato di persona, ma negli altri casi, dietro all'assenza dei protagonisti, c'erano impedimenti legati a motivazioni politiche, motivi di salute o per età avanzata.

Dylan secondo Dylan

Raccontare un personaggio sfuggente, complesso e sfaccettato come Dylan è impresa ardua anche per i suoi biografi. Pensiamo che il modo migliore per capire “l’enigma Dylan” sia leggere alcune sue (rare) dichiarazioni: ne abbiamo scelte cinque particolarmente significative:

«Non sono io che ho creato Bob Dylan. Bob Dylan è sempre esistito e sempre esisterà»

«Per essere un poeta non è necessario scrivere. Ci sono poeti che lavorano nelle stazioni di servizio. Non mi definisco un poeta perché non amo quella parola. Sono un artista del trapezio»

«Io non ho mai pensato che uno dei miei dischi potesse influenzare il corso delle cose. Se avessi voluto agire sulla società avrei fatto altre cose... Sarei stato ad Harvard o a Yale per diventare un politico o una roba del genere»

«Hanno definito un sacco di mie canzoni politiche, ma non sapevano neanche cosa fosse politica; i politici non contano, sono gli uomini d'affari dietro di loro. All Along the Watchtower, è forse la mia sola canzone politica»

«"Mito, leggenda vivente, poeta elettrico”. Me ne frego. E mi rompe pure un poco. Nel momento stesso in cui mi rifilano un'etichetta, è come se alzassero una barriera tra il pubblico e me. Non lo prendo come un complimento. Per me le parole "leggenda" o "icona" non sono che sinonimi educati per dire "è stato fatto fuori"».

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