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SVILAR: “Volevo la Roma a ogni costo, mai pensato di andare via. I tifosi meritano la Champions ogni anno”

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Mile Svilar, fresco di rinnovo in giallorosso, ha rilasciato un’intervista a Il Romanista parlando dal ritiro inglese della Roma. Ecco le parole del portiere giallorosso:

Per prima cosa auguri! II 18 giugno sei diventato papa del piccolo Lio-Mile. Come procede?
«Grazie! Di solito tutti gli inizi sono difficili. Con lui invece l’inizio è stato tranquillo, era buonissimo, ma dopo 4-5 settimane ha cominciato a piangere un po’…(ride, ndr)».

Non vi fa dormire?
«A me sì, alla mamma meno (ride ancora, ndr). ma ci sta dai sono i primi tempi. Siamo felicissimi».

Ti senti cambiato in qualche modo da questa paternità?
«Assolutamente. Mi sento più maturo, più uomo. Adesso c’è un bambino, che è diventata la priorità della nostra vita. Non esisto più soltanto io, o solo io e mia moglie. Adesso c’è lui. E la mia vita la vivo per lui».

A proposito di papà, tu hai seguito le orme di tuo padre Ratko, portiere anche lui. Da piccolo era lui il tuo idolo?
«Ho sempre sognato di diventare ciò che sono adesso, anche se di ambizione per crescere ancora tanto c’è. Fare il portiere era la mia ambizione fin da piccolo e ovviamente in questo c’è tanto di mio papà, in qualche modo è stato lui a coltivare in me questo seme, che col
tempo è cresciuto».

A questo punto dobbiamo aspettarci anche Lio-Mile tra qualche anno come portiere…
«Non lo so, farà quello che più gli piace. Io però gli auguro di diventare un attaccante (ride, ndr)».

Perché il numero 99? E, soprattutto, perché non la maglia numero 1?
«Perché sono superstizioso. La moglie di un mio ex compagno, quando ero al Benfica, ma già sapevo di venire alla Roma perché il contratto era in scadenza, mi aveva suggerito di prendere la maglia numero 99 perché mi avrebbe portato fortuna, quindi non voglio cambiare. È qualcosa che mi fa sentire a mio agio».

E alla fine ha avuto ragione la moglie di questo tuo ex compagno. A proposito del Benfica, a chi dobbiamo dire grazie se Mile Svilar oggi è qui alla Roma?
«Ci sono tante persone che mi hanno aiutato lungo il mio percorso, tra queste anche Tiago
Pinto, che mi aveva portato a Benfica dall’Anderlecht. Io poi in Portogallo non ho trovato spazio, ho giocato per la seconda squadra del Benfica, che è nella serie b portoghese e poco tempo dopo mi sono trasferito alla Roma».

Stai vivendo un’estate ricca: l’emozione della nascita del primo figlio e un passo importante per la tua carriera come il rinnovo con la Roma fino al 2030. Lungo come contratto…
«In realtà, se ti dovessi dire onestamente quello che penso, se avessi potuto firmare un contratto ancora più lungo l’avrei fatto (sorride, ndr). Questa era la mia idea e quella della società, di firmare e rimanere insieme il più a lungo possibile. Prima della fine della stagione non ci ho pensato troppo a questa questione. In quella seconda fase del campionato, con Ranieri, stavamo andando bene e quando le partite vanno bene non pensi al resto. Finita la stagione, invece, l’inizio dell’estate non è stato molto tranquillo per me, perché pensavo a questo fatto del rinnovo e volevo trovare una soluzione. Sapevo che l’avremmo trovata, la trattativa è durata un po’, ma ci sta».

C’è mai stato un momento in cui hai pensato di dover andare via?
«No, onestamente ci sono state altre possibilità e altre scelte, ma io non ho mai considerato di prendere altre strade. Volevo solo la Roma, ero sicuro che avremmo trovato una soluzione prima o poi, insieme con la società, e per me era la cosa più importante. Volevo per forza stare qui».

Si è parlato molto del ruolo di Ranieri nella trattativa che ha portato al tuo rinnovo. Puoi raccontare come ha aiutato e se hai sentito la vicinanza dei Friedkin?
«Chiaro, quello che posso dirvi è che come io volevo rimanere a tutti i costi, anche loro volevano farmi rimanere per forza. Questo mi ha dato una spinta in più per decidere di restare qui alla Roma. Nella trattativa ci sono stati momenti più difficili, più facili, però quando Ranieri è diventato dirigente ho parlato due o tre volte con lui e per me è stato molto importante, come adesso è importante per me che lui sia rimasto alla Roma. Lo stesso posso dire dei Friedkin, ho sempre sentito la loro volontà di farmi rimanere. Se sento questo dal club e dai proprietari, a me basta questo».

Facciamo un passo indietro. Eri diventato titolare già con Mourinho, nella sua ultima partita a Milano, o lo sei diventato solo successivamente con De Rossi?
«Sinceramente non lo so. Giocai da titolare a gennaio Milan-Roma, ma nessuno mi aveva detto che da lì in poi sarei rimasto titolare. Se devo dire la mia, penso di esserlo diventato soltanto dopo con De Rossi».

Che rapporto c’è stato con De Rossi?
«Con Daniele c’è stato qualcosa di speciale. Un tipo di rapporto che ti capita di avere nel settore giovanile, ma che a me non era mai capitato a livello professionistico, nel calcio dei grandi. Mi ha fatto sentire importante e questo nella vita di un calciatore è fondamentale».

Che cosa è andato storto, secondo te, con lui in panchina?
«È il calcio (che ricorda parecchio il “That’s football” di Matic a Dybala, dopo Budapest, ndr). Penso che anche mister De Rossi lo sappia, che a volte il calcio funziona così. Noi, dentro lo spogliatoio, siamo stati molto dispiaciuti quando è stato mandato via, penso si sia visto anche nelle settimane successive al suo addio. Il pallone però ti impone di andare avanti. Noi abbiamo provato a fare questo switch mentale il più in fretta possibile, ma non è stato semplice, perché lui è una persona che si fa volere bene e nello spogliatoio tanti di noi erano molto legati a lui. Il gruppo era dispiaciuto e io ancora di più».

Da un mister all’altro, adesso c’è Gasperini. Com’era affrontare la sua Atalanta?
«Non gliel’ho ancora mai detto a mister Gasperini, ma le due volte che abbiamo giocato lì a Bergamo e io ero titolare, nei primi 20 minuti ho sempre pensato: “Sarà difficile uscire da qui con una vittoria stasera”. A volte capita che alcune squadre ti diano queste sensazione in campo. Però per fortuna adesso è con noi, almeno adesso noi famo (sì, proprio famo, in romano, ndr) sentire agli altri questa brutta sensazione».

Non sarai mai stato così contento, come quest’estate, di essere un portiere, vedendo i tuoi compagni correre così tanto…
«Ma no, anche noi portieri fatichiamo parecchio (ride, ndr). Abbiamo un allenatore dei portieri (Simone Farelli, ndr) molto, molto ambizioso, che ci ha fatto fare tanto in più rispetto all’anno scorso. Non è così semplice purtroppo, anche per noi».

Completa la frase: sei contento a fine stagione se la Roma…
«Se la Roma va in Champions, sicuramente. E se la Roma va lontano in Europa League, perché penso che il club, la piazza, Roma merita di andare il più lontano possibile in coppa e giocare con stabilità la Champions League, cosa che non c’è riuscita negli ultimi anni. Abbiamo una squadra e un allenatore, che l’ha già fatto tra l’altro per tanti anni all’Atalanta, che meritano di competere per questi due obiettivi».

A proposito di Europa League. Tu sei arrivato che la Roma aveva appena vinto la Conference League, poi c’è stata Budapest, la semifinale con De Rossi. Da dentro lo spogliatoio percepite quanto per i tifosi sia importante il sogno di una coppa europea?
«Sì, assolutamente. Anche noi, come squadra, per Budapest siamo stati distrutti. Non è andata come volevamo e come meritavamo quella sera. L’Europa League è una competizione con un suo fascino importante. Quando giochi quel tipo di partite senti
sempre qualcosa di diverso dentro allo stadio. Chiaramente non è questo il momento di fare promesse, ma con molto lavoro proveremo ad andare il più lontano possibile».

Hai un rapporto speciale con la Sud: dalla tua esultanza dopo i rigori contro il Feyenoord, al coro che hanno fatto per te, dopo tanti anni che non si sentiva cantare per un giocatore, fino agli striscioni per chiedere il tuo rinnovo. Ti va di raccontarcelo un po’?
«Non è facile spiegarlo. In quel Roma-Feyenoord ho fatto la cosa più spontanea che potessi fare, iniziare a correre verso la Sud. Penso che la gente abbia apprezzato quel momento e quanto fosse naturale. Allo stesso modo io ho apprezzato tantissimo l’amore che ho sentito riversato su di me coi cori e con gli striscioni. Questo amore mi ha dato un’ulteriore spinta, enorme, verso la decisione di rimanere qui. Non potevo né volevo fare altro che rimanere alla Roma e firmare questo rinnovo di contratto. Voglio fare qualcosa di speciale per loro, per la Roma come club e come piazza. Quando vedi come la gente qui vive per il calcio, quando senti lo stadio addosso non puoi restare indifferente. Spesso penso e mi dispiaccio del fatto che non siamo riusciti a ripagare questo amore con qualcosa di grande nelle ultime stagioni, oltre alla vittoria della Conference ovviamente, però spero veramente per loro, per noi e per la Roma di fare qualcosa di grande in questi anni che verranno».

Piaci a tutti, anche ai colleghi portieri, hai sentito i complimenti che ti ha fatto Caprile di recente?
«Sì, gli ho scritto su Instagram per ringraziarlo. Penso sia un portiere dal grande futuro e gli auguro il meglio».

Sei stato anche premiato come miglior portiere dell’ultima Serie A.
«Sì, non posso dire di non essere contento di questo premio, è stato sicuramente un onore riceverlo e spero di collezionarne altri. Non mi sento però arrivato, credo di poter migliorare ancora tanto e, soprattutto, con i premi individuali ci faccio poco, spero di vincere con la Roma, che è la cosa più importante».

Ci presenti Vasquez e Zelezny?
«Sono due bravi ragazzi, oltre che due bravissimi portieri e sono sicuro che ci potranno aiutare. Come portieri siamo sempre una squadra dentro la squadra, con questo piccolo gruppo di 3-4 ragazzi con cui lavori tutti i giorni. È importante che ci diamo questa spinta in più durante l’allenamento, aiutandoci l’un l’altro. Sono felice di poter lavorare con due bravissimi portieri, ma soprattutto con due bravissimi ragazzi».

Con Rui Patricio che rapporto c’è stato?
«Con Rui il rapporto è sempre stato buono, fin dall’inizio. Entrambi parlavamo in portoghese, oltre a lavorare tutti i giorni vicini sul campo, e questo ci ha aiutato ovviamente. Quando sono diventato io il titolare ho visto nei suoi occhi la gioia, vera e sincera, per me. In quella fase, per me cruciale, mi è stato sempre di grande aiuto e supporto, soprattutto dal punto di vista mentale. Quando lo vedo lo ringrazio sempre ancora per quei momenti, è una grandissima persona. Del portiere non dobbiamo parlare perché ha vinto abbastanza per far parlare la sua carriera per sé. Ma è una grandissima persona e lo ringrazierò per sempre».

Un’ultima curiosità: ti va di spiegarci la gestione della tua carriera in nazionale?
«No, non mi va di parlarne. In questo momento non credo sia qualcosa di importante per la mia carriera, perché davanti a tutto metto la Roma, la nazionale viene dopo. Adesso devo concentrami qui, su fare bene qui e poi, in futuro, ci penserò».

Allora chiudiamo con una promessa: visto che avresti voluto firmare per un contratto ancora più lungo, ci rivediamo tra 5 anni e facciamo l’intervista dopo un nuovo rinnovo?
«Io spero di sì (sorride, ndr)».

Fonte: Il Romanista

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