A Gaza il genocidio israeliano non è finito: ci sono le condizioni per una lenta morte dei palestinesi
Trascorso oltre un mese dall’annuncio del cessate il fuoco e rientrati in Israele tutti gli ostaggi ancora in vita, le autorità israeliane stanno ancora commettendo il crimine di genocidio nei confronti della popolazione palestinese della Striscia di Gaza, continuando a sottoporla deliberatamente a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, senza alcun segnale di un cambiamento nelle loro intenzioni.
Lo ha dichiarato Amnesty International in un documento diffuso alla fine della settimana scorsa, che contiene un’analisi giuridica del genocidio in atto e testimonianze di abitanti della Striscia di Gaza e di personale medico e umanitario che evidenziano le drammatiche condizioni della popolazione palestinese.
Almeno 327 persone, tra le quali 136 minorenni, sono state uccise dagli attacchi israeliani a partire dal 9 ottobre, giorno in cui è stato annunciato il cessate il fuoco. Israele continua a limitare l’accesso ad aiuti fondamentali e a beni di soccorso, comprese le forniture mediche e i materiali necessari per riparare infrastrutture necessarie per la vita umana, violando una serie di ordini della Corte internazionale di giustizia volti ad assicurare che la popolazione palestinese avesse accesso agli aiuti umanitari, emessi nel caso presentato dal Sudafrica per prevenire il genocidio. La stessa Corte, nel gennaio 2024, aveva stabilito che i diritti della popolazione palestinese ai sensi della Convenzione sul genocidio – in altre parole, la sua sopravvivenza – fossero plausibilmente a rischio.
La probabilità oggettiva che le attuali condizioni possano causare la distruzione della popolazione palestinese della Striscia di Gaza persiste tuttora, considerando soprattutto l’enorme vulnerabilità delle singole persone alle malattie e la diffusione di queste ultime, dopo mesi di carestia provocati da un blocco illegale in vigore da anni e, nel 2025, da mesi di assedio totale.
Sono state così create condizioni tali da portare a una lenta morte della popolazione palestinese a causa della mancanza di cibo, acqua, rifugi, vestiti e prodotti igienico-sanitari in quantità adeguata.
Pur in presenza di alcuni assai modesti miglioramenti, Israele continua a limitare fortemente l’ingresso delle forniture e il ripristino di servizi essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile, ad esempio vietando l’ingresso di attrezzature e materiali che servono a riparare infrastrutture necessarie per la vita umana e per rimuovere ordigni inesplosi, macerie contaminate e rifiuti, provocando così rischi potenzialmente irreversibili per la salute pubblica e per l’ambiente.
Israele sta anche riducendo il numero delle organizzazioni autorizzate a portare aiuti all’interno della Striscia di Gaza. Il mero aumento del numero dei camion cui è permesso entrare non è sufficiente. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, mentre le famiglie hanno ora accesso a due pasti al giorno rispetto a uno a luglio, la varietà degli stessi rimane bassa e l’accesso a cibi con contenuto nutrizionale (frutta, verdura, proteine ecc.) è ancora al di fuori della portata di molte famiglie; prodotti come le uova o la carne hanno costi spaventosi o insostenibili.
Il sistematico sfollamento delle persone palestinesi dalle terre fertili prosegue senza sosta: l’esercito israeliano occupa attualmente tra il 54 e il 58 per cento della Striscia di Gaza e continua a limitare fortemente l’accesso al mare. Non ha adottato provvedimenti per rimediare all’impatto causato dalla massiccia distruzione, negli ultimi due anni, dei terreni da allevamento e da coltivazione. Tutto ciò fa sì che le persone palestinesi siano totalmente prive di accesso autonomo ai mezzi di sostentamento.
Le persone palestinesi restano bloccate in meno della metà del territorio della Striscia di Gaza, nelle zone meno in grado di sostenere la vita umana, proprio mentre come già sottolineato gli aiuti umanitari sono ancora gravemente limitati. Ancora oggi, nonostante i ripetuti moniti di organismi internazionali, tre serie di ordini giuridicamente vincolanti della Corte internazionale di giustizia, due pareri consultivi della medesima Corte e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei diritti umani in quanto potenza occupante e soggetto coinvolto in un conflitto armato, Israele continua deliberatamente a non fornire né a consentire la fornitura di quanto necessario alla popolazione civile della Striscia di Gaza.
Oltre a ciò, le autorità israeliane non stanno indagando né sottoponendo a procedimenti giudiziari le persone sospettate di atti di genocidio né stanno chiamando a rispondere le autorità e i funzionari che hanno fatto dichiarazioni genocide.
Nelle ultime settimane sono pervenuti segnali che la comunità internazionale sta allentando la pressione su Israele. La nuova risoluzione delle Nazioni Unite sul futuro della Striscia di Gaza non prevede impegni chiari circa il rispetto dei diritti umani o per assicurare alla giustizia i responsabili di atrocità. Il 24 novembre il governo della Germania ha fatto riferimento al cessate il fuoco quando ha annunciato la fine della sospensione della fornitura di alcuni tipi di armi a Israele. Il programmato voto per sospendere l’accordo commerciale tra Unione europea e Israele è stato congelato.
Ora non è il momento di abbassare la pressione sulle autorità israeliane, ha ammonito Amnesty International, che ha esortato i leader mondiali a dimostrare di essere veramente impegnati a rispettare il loro obbligo di prevenire il genocidio e a porre fine all’impunità che ha alimentato decenni di crimini israeliani nel Territorio palestinese occupato. Il cessate il fuoco non deve diventare una cortina fumogena dietro la quale Israele continua a portare avanti il genocidio.
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