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Canapa e Decreto sicurezza, sequestri ai coltivatori di nuovo bocciati dai giudici: “Manca effetto drogante, aziende legali”

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In barba al governo, i magistrati riconsegnano agli agricoltori la canapa e le infiorescenze sequestrate dalle forze dell’ordine. Gli agenti compiono i sequestri appellandosi al Decreto sicurezza del governo Meloni. Ispirato dal braccio destro della premier Alfredo Mantovano, con quel provvedimento palazzo Chigi voleva cancellare il mercato della cannabis light, mettendo fuorilegge solo il fiore della pianta. Invece fusto, rami, foglie e semi restano legali: come se fosse possibile bandire una parte della canapa e salvare il resto. Risultato: le imprese agricole subiscono sequestri e i titolari rischiano 20 anni di galera per detenzione di stupefacenti. Non è chiaro cosa dovrebbero fare: contrastare le leggi della natura e impedire al fiore di germogliare? L’alternativa, per gli imprenditori della canapa, è cambiare mestiere o armarsi di avvocati per difendersi in tribunale. Neppure Coldiretti proferisce verbo contro la crociata del governo.

Mantovano e le toghe che minano il decreto sicurezza

Del resto le forze dell’ordine ritengono di applicare la legge, quando sequestrano arbusti e fiori. Ma alcuni magistrati la pensano diversamente: se la canapa è legale, con il cannabinoide thc entro la soglia dello 0,5%, allora manca l’effetto drogante e dunque il reato, nonostante il Decreto sicurezza. E’ il ragionamento compiuto da una procura ligure, il 18 settembre scorso, quando ha restituito a un imprenditore 57 arbusti e 5 chili di infiorescenze. Dunque Alfredo Mantovano ha un motivo in più per prendersela con i giudici. Il 4 novembre, ospite del programma 10 minuti su Rete4, aveva sciorinato l’elenco delle opere di bene “bloccate” dalle toghe: “espulsioni” dei migranti, “sicurezza”, “la politica industriale” come all’ex Ilva, “lo sviluppo urbanistico di Milano”. Seguendo Mantovano, le toghe metterebbero il bastone tra le ruote anche alla presunta lotta alla droga.

I giudici di Sassari: “Aziende legali, prima del sequestro verificare il thc”

Dopo la Liguria, anche a Sassari e Brindisi i magistrati riconsegnano la canapa. Sovente gli agenti la scambiano per cannabis, in Sardegna, dove non si contano i sequestri agli imprenditori. Per tutelare le aziende, la deputata pentastellata Sabrina Licheri ha presentato un’interrogazione parlamentare all’indirizzo del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. Ad oggi, nessuna risposta dal fratello d’Italia. Ma a Sassari inizia a girare il vento, a favore della canapa. Il 23 ottobre, il Riesame ha restituito all’imprenditore Giuseppe Pireddu circa 10 chili di infiorescenze e 5053 piante di canapa. All’azienda florovivaistica di Antonella Vinci, invece, sono tornati indietro 257 chili di biomassa essiccata e 954 piante. I due erano stati colpiti dallo stesso provvedimento di sequestro, firmato dalla Guardia di finanza il 3 ottobre. Gli agenti avevano fermato ad un posto di blocco il furgone che trasportava la merce – ovvero la canapa – dai magazzini dell’azienda agricola al rivenditore florovivaista. Dunque hanno punito entrambi. L’autista aveva esibito il regolare documento di trasporto, eppure la finanza ha proceduto con il sequestro. Il pubblico ministero di Sassari lo ha convalidato, ma senza addurre motivazione alcuna. Anche per questa ragione il Riesame ha bocciato sequestro e convalida. Soprattutto, secondo i giudici, manca qualunque indizio sull’illegalità della pianta. Anzi, per le toghe il sequestro ha colpito “aziende esercenti legittimamente la coltivazione di canapa”, con “plurimi elementi indicativi della coltivazione legale”.

Le aziende colpite con i documenti in regola

L’agricoltore Pireddu il 30 agosto ha denunciato la sua piantagione al commissariato dei Carabinieri. Un mese dopo, il 30 settembre, gli agenti dell’Arma bussano alla sua azienda per il controllo: documentazione in regola; negativo il test del thc, il principio attivo psicotropo. Ma è come se nulla fosse: a distanza di 72 ore arriva l’alt al furgone e il sequestro. Non solo per l’agricoltore ma anche per la florovivaista Antonella Vinci. Eppure, scrive il Riesame nell’ordinanza, le forze dell’ordine avevano verificato i documenti: “con particolare riferimento alle fatture per l’acquisto delle sementi e al contratto di fornitura di biomassa di canapa industriale, priva di efficacia drogante, per finalità cosmetica e di integrazione alimentare”. Insomma niente cannabis light: la canapa serviva per cibi e prodotti di benessere. Mentre le infiorescenze in magazzino non erano lavorate e dunque tenerle in azienda non sarebbe reato: l’articolo 18 del Decreto sicurezza vieta “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna”. Non la mera detenzione: anche perché, una volta sbocciato il fiore, l’agricoltore dovrà pur tagliarlo dalla pianta. Dopodichè, perfino portarlo al macero può condurre ad un’imputazione per droga. I giudici, in conclusione, lamentano l’assenza di un test sul thc, prima del sequestro, perché allo sguardo la canapa è indistinguibile dalla cannabis stupefacente.

Il dissequestro anche a Brindisi

Dalla Sardegna alla Puglia, la storia è simile. In entrambi i casi il tribunale del Riesame si è espresso dopo i ricorsi presentati dall’avvocato Lorenzo Simonetti. A Brindisi, su ordine del pubblico ministero, il 16 settembre la Finanza ha sequestrato l’intera piantagione della società agricola Prk srl, di Angelo Valente: 800 piante in 4 mila metri quadrati. Ma il 20 ottobre i giudici hanno ordinato la riconsegna del maltolto. La ragione è semplice, sempre la stessa: prima del sequestro, occorre verificare “la concreta efficacia drogante dei derivati della coltivazione”. In tal caso, l’agricoltore aveva i risultati e la fattura delle analisi tossicologiche su infiorescenze già raccolte: thc compreso tra lo 0,08 e lo 0,33. “Dunque non in grado di incidere in alcun modo sull’assetto neuropsichico di eventuali utilizzatori”, scrivono i magistrati. In soldoni, nessun effetto psicotropo quando il Thc è nei limiti di legge. Ma il governo e Mantovano rifiutano di accettarlo.

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