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La pax trumpiana: la via per il nuovo Medio Oriente che solo la sinistra non ha visto arrivare

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Un futuro di «pace millenaria» per il Medio Oriente, la speranza della nascita di un’entità statuale palestinese e la sicurezza e il diritto di esistere di Israele passeranno, se tutto fila liscio (e c’è da augurarselo), dalla “pax trumpiana”. Una novità epocale, che ha messo d’accordo il mondo e che solo la sinistra italiana – in compagnia del grosso della cosiddetta stampa di riferimento e della papessa Francesca Albanese – non ha visto arrivare. A due anni dal pogrom del 7 ottobre opera di Hamas, a cui è seguita la reazione di Israele degenerata in violenza assolutamente sproporzionata nei confronti della popolazione di Gaza, l’intesa fra israeliani e palestinesi non passa certo dalla rotta della Flotilla ma dall’agenda di venti punti concepita da Donald Trump e sottoscritta in Egitto dalle due parti.

L’accordo è giunto come un fulmine a squarciare la coltre di nubi che, per più di 730 giorni, hanno impedito l’uscita dal tunnel di una crisi che ha messo a nudo l’inefficacia degli organismi internazionali nel prevenire e/o affrontare l’esplosione dei conflitti. Nel momento in cui il multilateralismo e la dottrina liberal Obama-Biden hanno fallito, è stato il tycoon e padre del movimento Maga a rimettere in moto la storia con l’idea di normalizzare l’intera area dentro la cornice degli Accordi di Abramo: la storica intesa fra mondo arabo-saudita ed Israele. L’anello mancante? La questione palestinese, riesplosa due anni fa e costata solo in questo frangente più di mille e duecento morti israeliani (quasi tutti civili israeliani, trucidati dai commandos di Hamas) e decine di migliaia fra i gazawi (sotto i bombardamenti dell’Idf).

Un processo delicato e complicatissimo, quello attivato da Trump fin dal giorno del suo secondo insediamento, giunto in queste ultime settimane all’allineamento perfetto: il sì al piano di pace della Lega araba, di Israele, dell’Onu, del Vaticano, della Ue e – ovviamente – dell’Anp e di Hamas. A restare fuori da questo processo i governi “dem” e i propagandisti al seguito che non sono riusciti a decrittare (o non hanno voluto) la situazione preferendo inseguire, in maniera spericolata, l’agenda mediatico-politica dei “flottiglieros”. Ossia contrapposizione frontale e fanatismo pro-Pal, senza lasciare spiragli all’opzione diplomatica: anzi, boicottando e ostacolando apertamente la moral suasion di Trump. Morale? Sono risultati più filo-Hamas di Hamas stessa: che, al contrario, ha sottoscritto precisi impegni (la restituzione degli ostaggi e la rinuncia al ruolo politico già nella fase di transizione) per permettere l’avvio della pace.

E da noi? A garantire sostegno continuo e credito attivo agli sforzi di pace è stata Giorgia Meloni. Fin dal primo istante la premier è stata «complice» del piano di piace e dell’approccio diplomatico del presidente Usa insieme a tutti gli attori della regione, lasciando ai partner europei in caduta libera (ogni riferimento a Macron…) le uscite coreografiche sul riconoscimento della Palestina che non hanno portato a nulla, anzi. Grazie a questo approccio l’Italia – che ha dimostrato con i fatti di credere nel destino dei «due Stati», con il sostegno umanitario a Gaza mantenendo, pur nella condanna degli abusi, un canale di dialogo con Israele – avrà un ruolo anche nel futuro di sicurezza della Striscia, della “Palestina” e del Medio Oriente.

A restare con i cartelli di protesta (scaduti) in mano chi sperava invece nella “spallata” pro-Pal. Chi in fondo ha investito nell’ossimoro del pacifismo “di guerra”, dunque nell’escalation contro Israele, per poter instillare ulteriore contrapposizione all’odiato Trump e, in patria, al governo Meloni: a dimostrarlo l’ultima, grottesca, accusa alla Cpi di concorso in genocidio per la premier e i ministri. Manifestazioni invocate, accese ed eccitate – dunque – con l’obiettivo di alimentare un’opposizione irrazionale, istintiva contro l’esecutivo: da sfruttare strumentalmente come leva elettorale e clava politica con cui colpire. È finita invece così, con il Pd e la Cgil ostaggio ideologico del fanatismo filo-Hamas (il danno) e con un classico del velleitarismo gauchista (la beffa) alle: piazze piene, urne vuote.

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