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La regista Anna Recalde Miranda: “Il mio Paraguay distrutto dalla soia transgenica rischia di essere il futuro del mondo”

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Un continente, il Sud America, consegnato al business delle grandi aziende dell’agroalimentare. In Paraguay, il 94% dei campi è stato convertito alla soia transgenica coltivata con pesticidi. Un Paese segnato dalla crisi climatica che lo sta sconvolgendo, ma che non riesce a guardare al futuro: alla dittatura più lunga dell’America Latina è infatti subentrata una democrazia di facciata, che aumenta le disuguaglianze ed è ancora ancorata al passato. Intanto, chi combatte per la terra subisce violenze di ogni tipo. “Green is the new red”, distribuito in Italia da OpenDDB, è il film della regista italo-paraguaiana Anna Recalde Miranda, realizzato con Nicola Grignani, che sarà proiettato al prossimo “We World Festival di Bologna. Voci e racconti dai margini”, in programma dal 7 al 12 ottobre. “Sentire è un atto politico” è il tema della seconda edizione.

“Green is the new red” è l’ultimo capitolo di una trilogia, iniziata nel 2008.

Sì. La trilogia è ambientata in Paraguay, ma tratta temi universali: violenza politica, cambiamenti sociali e sfide ambientali, mescolando aspetti pubblici e privati. “Green is the new red”, l’ultimo capitolo, è un viaggio cinematografico e personale che mostra come le violenze di ieri, durante la dittatura militare, continuino oggi con l’agroindustria. Il film unisce passato e presente, storia e attualità, e racconta come chi difende la terra, contadini, donne, popoli indigeni, venga considerato un nemico. Con un approccio che unisce memoria, giustizia sociale ed ecologia, il film ci fa capire che questa lotta riguarda tutto il mondo, non solo l’America Latina.

Come è arrivata a ideare e girare questa trilogia?

Sono nata da madre italiana e padre paraguaiano, ed è da qui che nasce il mio interesse per questo Paese. Ho una formazione sociologica e, alla fine degli anni Novanta, ho fatto parte del movimento del “media attivismo”. Dopo i fatti di Genova del 2001, per noi un vero punto di svolta morale, sono partita per la Francia. Poi, nel 2007, ho deciso di andare in Paraguay con la mia telecamera. In quel momento si profilava un cambiamento storico: per la prima volta, un candidato di sinistra si presentava alle elezioni in un Paese reduce dalla dittatura più lunga del Sud America (1954–1989), quella di Alfredo Stroessner. Dopo la fine del regime, il Paraguay era entrato in una democrazia solo apparente. Volevo raccontare l’ondata di speranza rappresentata da quel candidato progressista: Fernando Lugo, ex vescovo della teologia della liberazione, sostenuto dai movimenti dei campesinos sin tierra, i contadini senza terra. Il mio primo film della trilogia, La tierra sin mal, è nato proprio da quell’esperienza.

E il secondo?

Si chiama Poder e impotencia è un dramma in tre atti: abbiamo seguito per quattro anni il governo di Fernando Lugo. Nel 2012, dopo numerosi tentativi di colpo di Stato, un golpe parlamentare ha interrotto il suo mandato. La riforma agraria, centrale nel suo programma per restituire la terra rubata durante la dittatura ai contadini, è stata sabotata. Lugo voleva combattere il “feudo-capitalismo” e superare un’eredità coloniale, ma in Paraguay è difficile capire a chi appartiene davvero la terra, perché molti terreni sono stati acquisiti con atti falsi, rendendo la situazione agraria ancora più ingiusta.

Com’è la situazione politica oggi?

Esiste una democrazia solo di facciata: si vota periodicamente, ma mancano le componenti fondamentali di una vera democrazia, come la giustizia sociale, una distribuzione più equa della ricchezza e servizi essenziali accessibili a tutti, come l’istruzione e la sanità.

Dopo il colpo di Stato, le terre sono state trasformate quasi totalmente in campi di soia transgenica. Come è stato possibile?

Dopo il colpo di Stato, è stata avviata una liberalizzazione dei semi transgenici, fortemente voluta dalle multinazionali. Le forze politiche conservatrici, molti dei cui esponenti sono anche grandi proprietari terrieri, hanno sostenuto attivamente lo sviluppo dell’agrobusiness. La soia prodotta, in gran parte destinata all’esportazione, viene utilizzata come mangime per gli allevamenti intensivi in tutto il mondo.

Chi si oppone oggi a questo modello produttivo?

Tutti coloro che hanno una relazione con la terra. La cultura campesina è stata cancellata, con i contadini costretti a vivere poveri ai margini della Capitale. Durante la dittatura di Stroessner, i campesinos furono perseguitati perché difendevano le loro terre dallo Stato. Anche gli indigeni sono stati vittime: fino agli anni ’70 vivevano nelle foreste del Paraguay, ma il loro ambiente è stato distrutto e sono stati espulsi, anche se non uccisi direttamente.

Nel film è molto evidente il tema della crisi climatica.

Il Paraguay è sempre stato un Paese caldo, ma ora ci sono temperature che non sono umanamente sostenibili. Poi ci sono altri problemi, come gli incendi e il bacino idrico del Pantanal che si sta seccando. La risposta delle autorità è assente purtroppo, come i molti altri Paesi. L’aria condizionata é usata in modo massivo, creando spesso dei black out generali.

Lei sostiene che ci sia una sorta di “paraguaizzazione” del mondo.

Sì, intendo una tendenza crescente al rafforzamento di dinamiche oligarchiche all’interno delle democrazie. Un sintomo evidente di questo fenomeno è la criminalizzazione del dissenso, come nel caso dei ragazzi di Ultima Generazione. Ho terminato il montaggio del film nel 2023; da allora, abbiamo assistito a un’accelerazione impressionante, e allarmante, in questo senso.

Il film ci ricorda anche come oggi il capitalismo distruttivo, come quello dell’agrobusiness, non abbia più bisogno di democrazia.

Di fatto la scavalca. La politica si riduce ad essere un’amministratrice di poteri. Il fronte della repressione democratica va di pari passo con quello della distruzione ecologica.

Come è stato accolto il film in Francia, dove lei vive?

C’è stato un grande appoggio “trans tematico”: sia dai sindacati rurali, che dagli attori impegnati nell’ecologia, sia in quelli che si occupano dei diritti umani. La cosa mi ha motivato, ma forse rispecchia il fatto che il film tiene uniti tutti questi fili: perché la questione ecologica, politica, quella dei diritti umani sono tutti temi che si intrecciano insieme, e vanno affrontati insieme.

L'articolo La regista Anna Recalde Miranda: “Il mio Paraguay distrutto dalla soia transgenica rischia di essere il futuro del mondo” proviene da Il Fatto Quotidiano.