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Nell’album dei Sanlevigo disagio, sperimentazione e tutte le contraddizioni del reale

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Torniamo alle origini, andando alla scoperta delle band indipendenti che ancora respirano nell’underground. Lo facciamo con Spettri, il nuovo disco dei romani Sanlevigo: dieci tracce che ti fanno chiedere se il rock italiano non sia ormai un fantasma, un ectoplasma intrappolato in salette umide, dove i ragazzi continuano a replicare le stesse pose immortalate nei poster di Verdena e Marlene Kuntz come se fosse l’unico modo per sopravvivere. La chiarezza è un’arma, d’accordo. Ma i Sanlevigo scelgono il contrario: il barocco, l’ingombro, la parola che non si chiude mai, che si rigira come una sigaretta fradicia, impossibile da accendere eppure sempre lì, penzolante tra le labbra.

È un disco di frasi che rifiutano lo slogan (su tutti Spartisci la folla e Post-democrazia digitale) e per questo non finiranno mai nelle playlist di Spotify. Figlio di una pandemia che non si limita all’“andrà tutto bene”, al “torneremo a ballare”, Spettri è il risultato di giorni in cui il mondo sembrava sospeso tra apatia e ansia, di notti in cui chi non era già privilegiato restava ai margini. La band ha pescato ispirazione in documentari e saggi critici, da Adam Curtis a Byung-Chul Han. Curtis, con i suoi lavori sulla manipolazione dei media e il controllo delle percezioni, e Han, con le sue riflessioni sulla società del dolore e dell’iperattività, offrono una lente per osservare il mondo contemporaneo: Spettri diventa così un disco che legge la realtà senza filtri, restituendone le contraddizioni e le tensioni invisibili.

Non sempre i testi reggono il peso che si sono caricati, a volte inciampano, tra riflessioni e frammenti di quotidiano, con una sincerità che non cerca di mascherarsi. Prendere il disagio collettivo e renderlo musica significa offrire uno specchio in cui vedersi, deformati eppure riconoscibili. Idoli, Piccoli cannibali, Nuova cenere, Limbo: ogni titolo è una porta su un paesaggio interiore ed esterno, tra elettronica e strumenti tradizionali, e sperimentazioni sonore che spingono oltre i confini della forma canzone. La band stessa parla di un processo naturale, non calcolato, un’evoluzione che li ha portati a trovare il loro manifesto artistico. Non c’è catarsi, non c’è redenzione. Solo un disco che ti sbatte in faccia il presente così com’è, senza luci di emergenza.

L'articolo Nell’album dei Sanlevigo disagio, sperimentazione e tutte le contraddizioni del reale proviene da Il Fatto Quotidiano.