Economia Canaglia, vent’anni dopo: come i tecnotitani hanno cambiato il mondo
Ho scritto Economia Canaglia vent’anni fa. Il libro è stato tradotto in 21 lingue e quando uscì fece scalpore; 20 anni dopo una rilettura per la riedizione aggiornata conferma tutti i trend negativi. L’Economia Canaglia si è consolidata ed è diventata l’economia del nostro presente.
Negli ultimi vent’anni la mano invisibile dell’economia canaglia ha ridisegnato il nostro mondo usando lo scalpello dell’innovazione tecnologica, sottraendola al servizio del bene comune, e lo ha fatto a una velocità talmente elevata che il tempo ha smesso di essere una linea retta per trasformarsi in un vortice, dove presente e futuro si fondono in un’accelerazione continua che sfugge alla nostra capacità di comprensione e adattamento. È questo il «futuro presente».
Non è solo una questione di cambiamento, ma di velocità del cambiamento. Le trasformazioni che un tempo richiedevano generazioni ora avvengono nel giro di qualche mese, e spesso nel silenzio complice di chi le subisce. La tecnologia, frutto del progresso umano, è diventata l’arma prediletta di una nuova aristocrazia globale: i tecnotitani. Non sono scienziati visionari al servizio dell’umanità, ma oligarchi postmoderni che hanno colonizzato lo spazio digitale e stanno facendo lo stesso con quello vero, piegando l’innovazione alle logiche del profitto, sottraendola allo Stato e alla collettività. Musk, Bezos, Zuckerberg: non sono solo nomi, sono simboli. Hanno costruito imperi oltre la legge, fondati su algoritmi, dati e sfruttamento, approfittando del vuoto normativo che l’accelerazione tecnologica ha inevitabilmente creato. Sono loro il prodotto più pericoloso dell’economia canaglia.
Le big tech hanno guadagnato miliardi mentre milioni perdevano lavoro, diritti, salute mentale. Il futuro presente è una dimensione dove tutto cambia, ma nessuno sa come reagire. È uno stato di ansia permanente, una pandemia emotiva che ci rende incapaci di distinguere ciò che è reale da ciò che è possibile.
L’economia si sposta nel cyberspazio, il denaro diventa virtuale, i dati una nuova moneta. Il capitalismo classico, fondato sulla produzione e sul lavoro, viene soppiantato da un tecnocapitalismo estrattivo, che non estrae più solo risorse naturali ma anche attenzione, tempo, emozioni, e tutti noi siamo risorse e consumatori allo stesso tempo. I lavoratori diventano rider, avatar, codici da ottimizzare, e la gig economy spazza via conquiste secolari in nome della flessibilità e dell’efficienza.
Nessuno parla seriamente di sostenibilità. La rivoluzione dell’auto elettrica, per esempio, si ferma davanti all’impronta ecologica delle batterie: le emissioni sono spostate, non eliminate. La green economy è una bandiera di comodo, non un obiettivo concreto. Il bene comune resta un concetto evanescente, buono per i discorsi ma assente nelle strategie. E poi c’è l’avvento del trumpismo, la guerra dei dazi che rischia di destabilizzare il sistema economico mondiale e quelle nel Medio Oriente che possono polverizzare l’ordine globale emerso da Bretton Woods.
Eppure, non tutto è perduto. La tecnologia ci appartiene. È il prodotto dell’intelligenza collettiva dell’umanità, non di una ristretta élite. Come i mezzi di produzione dell’Ottocento, anche l’innovazione digitale può e deve essere riconquistata. Ma per farlo è necessario rifiutare la narrazione dominante, smascherare i falsi miti dell’efficienza, del progresso automatico, dell’inevitabilità. Dobbiamo riscoprire la nostra capacità di immaginare alternative, di sognare futuri diversi da quello imposto dagli algoritmi e dall’economia canaglia. E serve coraggio, perché opporsi al tecnocapitalismo significa sfidare un potere diffuso, invisibile ma potentissimo. Significa riscrivere il contratto sociale, riappropriarsi della politica, difendere la democrazia non solo dai populismi, ma anche dai monopoli high-tech che la svuotano dall’interno.
È una lotta complessa, ma necessaria, perché riguarda la libertà, la giustizia, e soprattutto la dignità dell’essere umano in un mondo così contaminato dall’economia canaglia che rischia di dimenticarsi della propria umanità. I visionari non sono solo quelli che guardano le stelle, ma anche quelli che riescono a vedere il dolore sulla Terra e decidono di agire.
Estratto da Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, Solferino Libri.
L'articolo Economia Canaglia, vent’anni dopo: come i tecnotitani hanno cambiato il mondo proviene da Il Fatto Quotidiano.