“Non ci vedo più un caz**, vado a sbattere contro le cose ma ho poteri extrasensoriali. Poi somatizzo, durante la malattia di papa Francesco sono stato 60 giorni come lui”: Antonello Venditti show
“L’importante è che tu sia infelice”. Per fare un uomo ci vuole una madre. Per distruggerlo altrettanto. Antonello Venditti si racconta, e lo fa rievocando lo strano, oppressivo affetto materno in un incontro al Salone del Libro di Torino 2025 che vede nei panni (doppiopetto blu con bottoni oro, temibilissimo, sopra una camicia a righe) dell’intervistatore e amico Gianluigi Nuzzi.
Il conduttore di Quarto grado prende spunto dalle tracce labili di Fuori fuoco, la biografia del cantante romano uscita per Rizzoli lo scorso inverno. Labili non perché il libro sia brutto, ma perché Venditti divaga, divaga, divaga. Molto romanesco in questo. Filosofia spicciola da caput mundi. Antropologia seriale delle subordinate. Venditti è animale più da divano che da palco.
“Io non ci vedo più un cazzo, sarei ufficialmente un invalido civile. Dall’occhio sinistro non vedo un cazzo, al destro ho fatto la cataratta. Mi gira la testa, vado a sbattere contro le cose, ufficialmente dovrei stare a casa, per questo sono dotato di doti extrasensoriali”.
L’autore di Ricordati di me e Ci vorrebbe un amico sembra come al tavolinetto di formica di un bar del rione. E via di spuma. Sentite questa. “Se passa una mosca a Bagdad purtroppo sento quella mosca che passa. Sono metereopatico, ho dei sensi ultraesposti. Sento i terremoti (se son vicini è naturale ndr), sono capace di diventare un malato immaginario, di vivere le malattie degli altri”.
E qui arriva il bello: “Durante la malattia di papa Francesco sono stato 60 giorni come lui. Somatizzo le cose degli altri, sono stato molto male, sto uscendo da quella roba assurda adesso”. Perché dovete sapere che esiste “un Antonello e un Venditti”. Due cantautori in uno. “Antonello è laico. Per me (versione Antonello ndr) lo stato è libero di fare qualsiasi legge (ad esempio l’aborto), poi è la tua coscienza a farti decidere se utilizzare o no quella legge senza confliggere con la libertà degli altri. Venditti è la parte cattolica. Io (versione Venditti ndr) sono come Cristo, mi sento un Cristo. Peccato però che lui (Cristo ndr) non abbia vissuto un’esperienza umana interessante che è la vecchiaia. Uno che sulla croce invoca il padre, dicendo perché mi hai abbandonato. Qui torna il mio brano Stella “Caduti in questo mondo siamo in tanti ad aspettare, donaci la pace e pane fresco da mangiare”. L’uomo, noi (Antonello e Venditti si spera entrambi) viviamo di speranza”.
Ma non è finita. “Bergoglio mi somigliava molto. Lo sapete che io sono stato salvato da un gesuita apparso in sogno a mamma quando avevo sei anni e stavo per morire in un’incubatrice? Papa Francesco è stato un gesuita è un francescano. Ha messo insieme la parte colta evangelica con quella della povertà francescana. Del resto ha trovato solo nemici, e soprattutto nessuno si è ritrovato in lui, come è difficile ritrovarsi in me. Leone XVI mi piace, è un agostiniano, ne sa qualcosa in più, ha una raffinatezza di pensiero”.
L’incontro affronta un minuscolo manuale dei ricordi: il Folkstudio, Lucio Dalla (“mi manca la sua voce da non cantante”, Francesco De Gregori (“un fratello”); ma soprattutto lo slow Venditti (“Il tempo per me è sacro, non ho urgenza di nulla”, spiega e Nuzzi conferma come di fronte al generale Garofalo). Anche se è su Gesù che il cantante vuole tornare sempre: “Cristo era buono? Io penso che alla fine non esistono persone buone, esistono quelle giuste, se a fianco dell’idea di bontà non c’è quella di giustizia non funziona niente. Cristo quando andava al Tempio non era buono era giusto. Se recuperassimo l’idea di essere giusti andremmo controcorrente”.
A proposito tra poche settimane Notte prima degli esami compie 40 anni (“è la mia canzone più bella, dentro c’è tutto”), mentre Lilli (ahinoi Nuzzi non interviene lanciando un servizio sul delitto di Trieste) ne compie 50 e Venditti ricorda che vederla prima in classifica, una canzone così tragica legata a come una certa generazione venne distrutta dall’eroina, gli diede così fastidio che non la cantò per anni fino al 2017. Poi d’improvviso Venditti (e Antonello) urla(no), proprio nella sala Oro sabauda: “Pee! Pee! Pee!”. “È il grido di battaglia per capire se ho pressione nella voce – chiosa – Non sai mai il tuo grado di dare in scena nel cantare. La gente non è più abituata al bisbiglio. Tutto con il digitale è spiaccicato. Quando uno canta sussurra e interpreta, ma molti oggi dicono che sei stonato. Io se qualcuno me lo dici sai che faccio? (si alza dalla poltroncina ndr) ti do una pedata!”.
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