Delitto di Garlasco, l'intercettazione tra Andrea Sempio e il padre: "Sullo scontrino abbiamo cannato"
Un dialogo tra padre e figlio, registrato dai carabinieri, svela nuove e inquietanti contraddizioni nell’alibi di Andrea Sempio, il 36enne indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007. In un’intercettazione ambientale, il giovane discute con il padre delle incongruenze emerse nelle dichiarazioni sull’orario del delitto. «Ne abbiamo cannata una, che io ho detto che lo scontrino era stato ritrovato dopo che ero stato sentito, che tu hai detto che l’abbiamo ritrovato prima. Io ho detto che l’abbiamo trovato dopo essere stato sentito, già la prima volta... ero stato sentito e poi l’abbiamo trovato». Una conversazione che getta nuove ombre sulla sua versione dei fatti, con l'accusa di aver fornito dichiarazioni discordanti.
Il prelievo del Dna da parte degli inquirenti è l’ultimo capitolo in un'indagine che si complica ogni giorno di più. Andrea Sempio, che oggi è stato sottoposto al prelievo coattivo di un tampone salivare per confrontare il suo Dna con quello trovato sotto le unghie della vittima, ha sempre sostenuto la sua innocenza. Tuttavia, gli investigatori sembrano convinti della compatibilità tra il Dna ritrovato e quello di Sempio, un’ipotesi che si fa sempre più concreta. Il caso è tornato sotto i riflettori grazie a un'intercettazione inedita, raccolta il 10 febbraio 2017, subito dopo l’interrogatorio di garanzia dell'inchiesta archiviata. In quell’occasione, la famiglia di Sempio, ascoltata dai carabinieri, dibatteva sulla veridicità delle dichiarazioni di Andrea e sulle incongruenze riscontrate, soprattutto in relazione all’alibi fornito dal 37enne.
Sempio, già indagato per l’omicidio, aveva cercato di giustificare delle telefonate sospette fatte nei giorni precedenti al delitto. In particolare, un paio di chiamate notturne a casa Poggi, alle quali il giovane aveva risposto dichiarando di aver prestato il cellulare a Marco, fratello della vittima. Per giustificare le altre telefonate, Sempio spiegò che aveva erroneamente chiamato la casa di Chiara invece di contattare Marco, convinto che fosse in vacanza. Tuttavia, la sua versione non ha convinto gli inquirenti, che hanno raccolto una serie di elementi che potrebbero incastrarlo. «Tra il 7 e l’8 agosto ho provato più volte a contattare Marco sul cellulare, ma non ci sono riuscito, anche perché so che nella zona dove andavano c’era poca copertura», ha detto Andrea, una dichiarazione che contrasta con la sua affermazione di non sapere nemmeno che l’amico fosse partito.
Il colpo di scena arriva durante l’interrogatorio del 10 febbraio, quando Sempio, cercando di spiegare la presenza del suo Dna sotto le unghie di Chiara, fa una rivelazione che suona come una giustificazione anticipata: «All’epoca andavo almeno due o tre volte a settimana a casa sua a giocare ai videogiochi... Giocavamo nel salottino della casa, dove c’era la consolle... oppure sul computer che era posizionato in camera di Chiara... utilizzando in modo alterno... sia la tastiera che il mouse... credo che l’ultima volta che siamo andati a giocare in camera di Chiara sul computer risalga a due o tre giorni prima della partenza di Marco». Sempio sembra voler preparare una risposta nel caso in cui il Dna dovesse essere trovato, ma le perizie ufficiali hanno stabilito che Chiara non utilizzava il computer dal 10 agosto, poco prima del delitto. Inoltre, appare improbabile che la vittima non si fosse lavata le mani per tre giorni consecutivi, il che rende ancora più difficile spiegare come il Dna di Andrea sia finito sotto le unghie della giovane.
Uno degli aspetti centrali su cui si concentrano gli investigatori è l’alibi di Sempio, in particolare uno scontrino del parcheggio che il 36enne ha utilizzato per certificare di essere stato a Vigevano all’ora del delitto. Ma, come rivelato da una perizia, l’ora del decesso di Chiara è stata stabilita tra le 9.12 e le 9.35, un orario che non coincide con quello del parcheggio che Sempio aveva mostrato, ovvero tra le 10.30 e le 12.30. Per giustificare la presenza di tale scontrino, Andrea ha raccontato che «è stato ritrovato da mio padre o mia madre sulla macchina qualche giorno dopo il fatto, quando io ero già stato sentito. Mia madre ha detto 'per sicurezza teniamolo', quindi i miei genitori hanno deciso di conservarlo».
Ma la versione del padre è diversa: secondo lui, lo scontrino era stato trovato prima che Sempio fosse interrogato. In macchina, il padre cerca di tranquillizzare il figlio, ma le incongruenze rimangono evidenti: «Va be a me sembra la prima però non cambia niente... cosa ti han detto?». Sempio risponde: «Un cazzo, comunque la versione è la stessa».
Nel corso della conversazione, il padre di Andrea accenna anche alle domande riguardanti la presenza di Dna. «Mi hanno detto che si tratta di una questione tecnica», risponde il figlio, tagliando corto sull’argomento. Tuttavia, il giorno successivo, Andrea, parlando da solo in auto, esprime il suo disagio riguardo al Dna: «Questa merda di Dna, ma cosa state dicendo... ma il fatto è che ormai alla gente piace discutere su quello perché se tu parti dal presupposto che c’è il mio Dna allora puoi discutere su tante cose... come c’è rimasto se non c’è rimasto, come ha fatto a trasmettersi se è vero che può essere rimasto... se era un’aggressione se era sopra se era sotto...». Poi, rivolgendosi a se stesso, Sempio sussurra: «C’è in ballo trent’anni di galera». Le parole, rivelatrici, confermano la crescente preoccupazione del 36enne di fronte a un’indagine che sembra stringersi intorno a lui.