San Siro, perché questa sarà la volta buona per Milan e Inter
La presentazione della proposta d’acquisto con allegato il documento di valutazione della fattibilità del progetto segna, per Milan e Inter, un passo senza ritorno. La strada verso il nuovo San Siro è tracciata e difficilmente si potrà tornare indietro, sia per i due club che per il Comune di Milano. E’ vero che tutto il dossier ha fatto un giro immenso, lungo cinque anni e mezzo, per poi tornare al punto di partenza del piano presentato nel 2019, poi seppellito dal gioco di veti incrociati, lacci burocratici e iter amministrativi da svolgere, ma rispetto ad allora sono cambiate non poche cose a Milano e Roma tanto da poter affermare che questa sarà la volta buona.
Non metterà d’accordo tutti, però è prevedibile che il tempo che divide il deposito della proposta d’acquisto al momento in cui si potranno avviare i lavori (inizio 2027) sarà sufficiente per assorbire quello che resta da fare. Senza perderne troppo, soprattutto all’inizio, visto che entro la fine dell’estate l’atto di cessione del Meazza e delle aree limitrofe – valutate dall’Agenzia delle Entrate 197 milioni di euro – dovrà essere firmato per evitare che scatti sullo stesso il vincolo della Soprintendenza. Milan e Inter hanno prudentemente indicato in luglio la data limite per chiudere la fase di valutazione, apertura di un bando pubblico, assegnazione e sottoscrizione dei contratti e per una volta le esigenze di chi acquista sono coincidenti a quelle del venditore. Anzi. Dopo cinque anni di balletti e spaccature all’interno della sua maggioranza, è proprio il sindaco Sala a rischiare di restare con il cerino in mano avendo verificato con mano che nessuna delle ipotesi alternative all’abbattimento (totale o parziale come nella nuova versione del progetto) ha chance di trasformarsi in investimento concreto.
Nell’ordine: San Siro ristrutturato spendendo 200-300 milioni di euro come ipotizzato da WeBuild non lo vuole nessuno, non ci sono state manifestazioni di interesse concrete da parte di promoter o altri soggetti che avrebbero dovuto garantire la sopravvivenza dello stadio adibendolo solo a concerti (peraltro dovendo poi fare i conti con l’opposizione degli stessi che non vogliono il calcio), i club hanno costruito progetti fuori da Milano facendo anche i primi passi concreti – il Milan ha messo 40 milioni nell’acquisto dell’area di San Donato Milanese – e, infine, l’idea che il Meazza diventi una decadente cattedrale del deserto spaventa tutti. A sinistra come a destra.
E’ cambiato il contesto milanese e si è modificato il vento politico a Roma. Non deve passare inosservato, infatti, come l’accelerazione di Milan e Inter, oltre a rispondere all’urgenza di non arrivare al momento del vincolo della Soprintendenza, sia coincisa anche con il via libera del Governo al nuovo piano stadi. Il ministro Abodi ha lavorato mesi per mettere nell’agenda la questione infrastrutture per il calcio, approfittando del conto alla rovescia verso l’Europeo del 2032 e rispondendo a richieste sempre più pressanti provenienti dalla Federcalcio e dalle leghe. La possibile nomina di un commissario straordinario, dando agli amministratori locali la responsabilità e i poteri di subcommissari, il sostegno economico agli investimenti attraverso la creazione di un fondo e, più in generale, l’idea che gli stadi siano opere infrastrutturali strategiche a livello nazionale hanno cancellato tutte le spinte contrarie.
Ultimo punto, non meno importante, dal maggio scorso l’Inter è passata di proprietà chiudendo l’era della famiglia Zhang per transitare nel portafoglio del fondo Oaktree. Dal primo giorno il dialogo con RedBird è stato facilitato dalla comune provenienza delle due proprietà, entrambi fondi solidi e con visioni simili circa il percorso di patrimonializzazione delle due realtà calcistiche milanesi. Nel frattempo sono anche cresciuti i costi di realizzazione del progetto, oggi valutati in non meno di un miliardo di euro: dividerli senza perdere benefici futuri ha convinto i manager californiani applicati sul dossier Inter e Gerry Cardinale a mettere da parte ogni ipotesi di divorzio con buona pace del malcontento dei tifosi che sognavano un futuro non più condiviso.
I dissidi intorno alle clausole di salvaguardia per entrambe – cosa succede se uno dei due club si ritira dal progetto a lavori in corso? – sono state le ultime scosse telluriche prima del grande passo. I prossimi 18 mesi serviranno anche a sistemare questo oltre che a completare l’iter amministrativo e burocratico, concedere a San Siro la passerella delle cerimonie delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, scrivere il progetto definitivo dello stadio del futuro da 71.500 posti (13mila di hospitality) e delle attività commerciali a corredo, immerse in 55mila metri quadri di verde e 72mila di parcheggi sotterranei, e farsi trovare pronti al momento dell’apertura dei cantieri. Che coinciderà con la scadenza del mandato di Sala, primavera 2027, e con una partita politica tutta da giocare intorno a Palazzo Marino, dentro e fuori dal centrosinistra in cui l’attuale sindaco di Milano sta cercando una collocazione futura. Temi che non intersecano più con il progetto del nuovo San Siro. Anche per questo, dopo tanto attendere, siamo arrivati alla (s)volta buona.