L'apicoltore nomade che produce miele per i grandi chef
Sono le api che gestiscono noi. Ci trattano come bambini. Ci dicono quando è il momento di raccogliere il miele: solo dopo che hanno messo gli opercoli, ossia chiuso le cellette con la cera. Se lo facessimo prima il raccolto non si manterrebbe come dovrebbe». Giorgio Poeta, 40 anni, di Fabriano, in provincia di Ancona, parla da innamorato di un difficile mestiere: apicoltore nomade. Una passione diventata ragione di vita: i suoi mieli - è necessario usare il plurale, il miele ha tante varietà come il vino - sono punto di riferimento per il settore e naturalmente costituiscono il business di Poeta, confezionati con cura, venduti nella sede dall’azienda a Fabriano (via Santa Croce 65) o spediti in tutta Italia, e nel mondo, anche a grandi chef.
«Ho cominciato a maneggiare arnie quando avevo 18 anni» ricorda Poeta. «Me ne regalò due mio papà, per festeggiare il mio diploma all’istituto agrario. Fu amore a prima vista. Cominciai a studiare la vita delle api, le loro abitudini, la loro capacità di indicare agli esseri umani lo stato di salute del territorio. All’Università di Agraria di Ancona non ebbi dubbi nella scelta della tesi: la feci sulle api e il miele, ormai mi sentivo consacrato a questi splendidi e laboriosi insetti sociali». L’apicoltore marchigiano farebbe torto al proprio cognome se non parlasse poeticamente, addirittura con un tocco mistico, delle sue amiche svolazzanti. «Il loro ronzio» dice ispirato «ha la stessa frequenza dell’Om recitato come mantra durante le meditazioni. È il suono segreto dell’Universo. Le api ci danno la possibilità di avere una visuale insolita sul mistero della natura. Appartengono a un equilibrio governato da leggi a noi ignote, le stesse che mandano avanti la macchina celeste. Fungono da enzima e acceleratore per entrare nei sistemi naturali. Pensate: sanno dialogare proficuamente con i fiori, i quali rilasciano appena una goccia di nettare, per costringere l’ape, non sazia, a posarsi altrove, generando così il processo dell’impollinazione. Ci sono addirittura piccoli uccelli, della famiglia dei pettirossi, che cantano prima dell’alba, stimolando la pianta a emettere nettare, il cui profumo costringe l’ape a svegliarsi anzitempo e andare sul fiore».
Per noi esseri urbani tutto questo sembra appartenere a un altro mondo, invece è la verità elementare di un pianeta che ospita vegetali, pesci, animali non umani, insetti uniti in società complesse (non solo le api, ma le formiche, le termiti), per non parlare di batteri (costituiscono un dominio a sé). Giorgio Poeta, attraverso le api, ha imparato a conoscere e rispettare l’ampia gamma di vita floreale e selvatica nella quale il lavoro lo obbliga a immergersi. «Sono un apicoltore nomade. Sposto le famiglie di api, ossia le arnie, in territori puri oltre gli 800 metri di altitudine. Ci muoviamo come la carovana di un circo itinerante. Le arnie vengono caricate sul camion, con una gru, e portate in Appennino. Cambiamo posto ogni due, tre settimane, nel periodo della transumanza, da marzo alla fine di maggio. Le api cambiano ecosistema. Spostarle non è uno stress, anzi, sono più felici. Il nostro nomadismo avviene tra Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo. Siamo arrivati pure in Molise e Basilicata».
I catastrofisti, sempre pronti a vedere la fine dappertutto, hanno allarmato sulla possibile estinzione delle api, che corrisponderebbe alla nostra, in quanto cattivi custodi di Madre Terra. «In pericolo non è l’ape da miele, ma quella selvatica, uccisa dall’inquinamento delle campagne, dovuto ai pesticidi» ci informa Poeta. «Ecco perché, portando le nostre arnie oltre gli 800 metri, dove l’inquinamento non esiste, aiutiamo la diffusione della diversità vegetale, dunque le stesse api selvatiche: grazie alle sorelle mielifere trovano in montagna abbondanza di fiori». Com’è naturale, in tanti amano saperne di più sul lavoro di Poeta (e di altri come lui) e adorano passeggiare nei paesaggi incontaminati e fioriti che danno i mieli. È il fenomeno dell’apiturismo, in crescita costante, con siti dedicati e possibilità educative da Nord a Sud della Penisola. «Gli apituristi sono curiosi, vogliono scoprire i segreti delle api, mettersi la tuta, provare il brivido di essere circondati dagli insetti ronzanti.Vogliono, i più avventurosi, seguire il nomadismo, scaricare le arnie, dormire con noi dove facciamo sosta. È un turismo certo di nicchia, ma serve da volano per altri prodotti alimentari e di artigianato dell’area in cui si pratica, a partire dalle mie meravigliose Marche».
Alla fine, i turisti assaggiano e portano a casa il risultato di tanta fatica: i mieli, quelli di Poeta sono oltre 10 varietà, uno persino affinato in barrique, come un vino prezioso. «Oltre che a colazione o sui formaggi, il miele è un tesoro gastronomico» puntualizza Poeta. «Un grande chef come Mauro Uliassi, tre stelle Michelin a Senigallia, lo usa in un piatto con le seppie. Andrea Impero, una stella Michelin a Borgobrufa, in Umbria, lo utilizza sulla tartare di cuore di manzo: la sua dolcezza bilancia il sapore deciso della frattaglia. Alla Francescana di Massimo Bottura, a Modena, il nostro fermentato idromiele viene abbinato al maialino. A Milano, da Aimo e Nadia, uno dei ristoranti più blasonati della città, Alessandro Negrini ne approfondisce le potenzialità in alcuni piatti. Poi collaboriamo con Lale Bakery di Perugia e Pandefrà a Senigallia. Il miele italiano» conclude Poeta «ha il maggior numero di varietà monofloreali, oltre cinquanta. Ma ora vi lascio: le api mi stanno chiamando. Sì, riconoscono chi si occupa dell’arnia, dall’odore. Si fidano, sono intelligenti, sanno che lavoro non solo per me, ma per il benessere della loro comunità».