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Perché la trappola di Trump a Zelensky è stata ‘un giorno di infamia americana’

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Un giorno di infamia americana, ha intitolato il «New York Times» l’editoriale di Bret Stephens: che ha suggerito di ripensare a Churchill e Roosevelt nell’agosto 1941 – quattro mesi prima dell’attacco di Pearl Harbor e dell’intervento in guerra degli Usa –intenti, come accadde, a elaborare quella Carta Atlantica che, fino all’altro ieri, aveva costituito la base di oltre ottant’anni di alleanza tra gli Stati Uniti e l’Europa; e di immaginare cosa sarebbe successo se Roosevelt avesse detto a Churchill di chiedere la pace a qualsiasi condizione a Hitler e di cedere le riserve di carbone della Gran Bretagna agli Stati Uniti in cambio di nessuna garanzia dio sicurezza americana. Questo, aggiungeva Stephens, è ciò che «approssimativamente» Trump ha detto a Zelensky.

Mentre è confermato una volta di più, e sulla questione più importante e delicata sul tappeto dei rapporti internazionali, che Trump ha tutta l’intenzione di capovolgere le linee guida strategiche e i valori a cui esse si rifacevano della storia degli Stati Uniti dalla seconda guerra mondiale, come ha l’obiettivo di estendere ogni misura i poteri presidenziali e incrinare profondamente gli equilibri democratici e costituzionali che hanno guidato gli Usa per due secoli e mezzo, ancora non sappiamo quali saranno le due più importanti reazioni che potrebbero legittimare o contrastare l’azione e gli obiettivi di Trump. 

La prima reazione è quella dell’Europa, che a parole – tranne l’opposizione dell’Ungheria di Orbàn e l’attendismo dell’Italia di Meloni – si è calorosamente stretta attorno al leader ucraino, ma potremo vedere solo nei prossimi giorni che misure inizierà a discutere, per mettere in atto, al tempo stesso, un’0adeguata difesa dell’Ucraina e una forte e rapida unità d’intenti sulla difesa europea e su altri aspetti che non possono più essere rinviati in attesa di una unanimità impossibile da raggiungere. La seconda, invece, è quella all’interno degli Stati Uniti, sia da parte di un’opinione pubblica frastornata dall’attivismo di Trump nel distruggere o indebolire regole e comportamenti che avevano caratterizzato gli ultimi decenni di azione politica degli Usa, sia da parte del partito democratico e di quella minoranza presente anche all’interno di quello repubblicano (che molti calcolano a circa il 20%) che rischiano – se non mettono in piedi strategie di contenimento e di contromisura all’azione di Trump – una perdurante impotenza e, in prospettiva, l’irrilevanza.

Queste due reazioni si misureranno, al tempo stesso, con i problemi a breve scadenza (l’Ucraina ha probabilmente armi per combattere l’aggressione russa fino all’estate) e con quelli di medio e lungo termine, e non abbiamo strumenti per prevedere come si svilupperanno e a quali esiti condurranno.

In Italia la situazione dal punto di vista delle scelte da compiere è, probabilmente, più difficile che per altri paesi: il governo deve infatti fare i conti con la propria coerenza rispetto alle sue scelte passate (che l’appoggio completo di Salvini a Trump e il desiderio di Meloni di non criticare il presidente Usa rendo complicata), mentre l’opposizione deve capire se può trovare una linea «europea» coerente con quella dei maggiori paesi (Francia, Germania, Spagna, Polonia, Gran Bretagna) che le posizioni anti-ucraine di Conte e di una parte de PD – che attribuiscono un carattere «bellicista» alle posizioni di Zelensky e dell’Europa che lo appoggia – rendono estremamente difficile. Il rischio è che, come spesso nella storia, più antica ma anche recente, l’Italia decida di non scegliere sperando di non inimicarsi nessuno ma finendo per rafforzare la propria irrilevanza nella politica internazionale.

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