Le auto non si vendono? Produciamo carri armati. L’idea piace anche al governo italiano, M5s: “Economia di guerra, Meloni chiarisca”
Salvare l’automotive e legare gli investimenti sulla Difesa alla crescita economica. Questi i due piccioni che l’Italia dovrebbe prendere con la conversione dell’industria automobilistica alla produzione bellica. L’ipotesi sarebbe già sul tavolo di Palazzo Chigi e dei ministeri di Economia, Imprese e Difesa. Anche perché in altri Stati Ue il progetto è già partito. Il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, due conti li ha già fatti: “Quando discutiamo di un aumento delle spese per la difesa io ho sicuramente un contraccolpo sul mio bilancio, ma vorrei vedere anche un’evidenza di quello che può derivarne in termini di crescita economica”. Così, una volta uscita la notizia, il Movimento 5 stelle ha pensato bene di chiedere un chiarimento a Meloni e soci su una conversione che, dicono, imporrebbe al Paese “un’economia di guerra”.
C’è il calo delle vendite, che il governo pensa si aggraverà ulteriormente, i rischi per le aziende italiane che forniscono l’industria tedesca e per l’occupazione. Non ultimo, il governo teme che, temporeggiando, l’Italia finisca per perdere la filiera. Gli studi sul tavolo dell’esecutivo, citati da alcuni organi di stampa, indicherebbero che il settore della Difesa potrebbe generare un valore aggiunto significativo per l’economia italiana, superiore alla media dell’industria nazionale. C’è poi il nuovo ordine mondiale, con lo spettro del disimpegno trumpiano sul fronte ucraino ed europeo, a imporre scelte. Per un Paese come l’Italia, è l’analisi dell’agenzia di rating Standard & Poor’s, aumentare la spesa militare e avvicinarsi alla media Nato del 2,67% del Pil significa aumentare il deficit di oltre un punto: 25 miliardi di euro in più.
Il cerchio sembra chiudersi nelle parole di Giorgetti, che venerdì 28 febbraio ha commentato: “Si parla moltissimo della riconversione dell’automotive al sistema della difesa, non si può ignorare che la spesa per la difesa e gli investimenti della difesa hanno anche una ricaduta in termini di crescita economica. E’ l’elemento da cui devo partire, per quanto riguarda gli interessi del mio ministero”. Del resto, il solo aumento della spesa militare non pare sufficiente a centrare tutti gli obiettivi che i Paesi Ue dichiarano di voler perseguire. Dall’opposizione si levano gli scudi del M5s. “Se così fosse saremmo di fronte al folle progetto di imporre al Paese un’economia di guerra. Il che farebbe il paio con la decisione di aumentare di oltre 20 miliardi la spesa militare italiana portandola al 2,5% del Pil. Attendiamo da Meloni o dai ministri coinvolti in questo presunto piano – Giorgetti, Urso e Crosetto – una dichiarazione chiarificatrice in merito”, hanno dichiarato in una nota i parlamentari M5S delle Commissioni Industria-Attività Produttive e Difesa di Camera e Senato.
Ma la questione non è solo italiana. La Germania è già all’opera sul fronte della conversione del settore automobilistico. Il gigante Rheinmetall ha deciso di trasformare le fabbriche di Berlino e Neuss in centri di produzione militare. Lo stesso stanno facendo altre aziende tedesche: più armi, la cui domanda è in forte crescita, e meno auto. Ma anche in Germania si invoca una strategia europea. “Farò tutto ciò che è in mio potere per garantire che il Consiglio europeo contribuisca a questo rendendo il Patto di stabilità e crescita più flessibile”, ha detto Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca. “Tuttavia, per alcuni paesi con un debito nazionale già elevato e poco margine di manovra nei loro bilanci, questo non sarà sufficiente. Come europei, dobbiamo quindi anche parlare di un fondo europeo per la difesa che sia adeguato al livello delle sfide”. Il tema dei fondi rimette al centro il problema della mancanza di coordinamento negli investimenti europei e di interoperabilità tra i sistemi di difesa degli Stati membri, nonostante l’aumento delle esportazioni da 40 a 52 miliardi di euro.
Quanto all’automotive, sarà al centro del dialogo strategico programmato in settimana a Bruxelles e del piano d’azione per il rilancio dell’industria automobilistica europea che la Commissione di Ursula von der Leyen presenterà il 5 marzo. Intanto il settore si è scatenato sulle indiscrezioni. “Se saranno confermate le voci che arrivano da Bruxelles, per il settore automotive non si intravede nessuna inversione e se così fosse potremmo dichiarare definitivamente la morte del comparto”, ha detto l’assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia e presidente dell’Automotive Regions Alliance (Ara), Guido Guidesi. Bruxelles sembra infatti intenzionata a non abbandonare l’impianto del Green Deal e una parte degli obiettivi per la mobilità elettrica. “Di fronte a dati come quelli di dicembre 2024, che hanno visto la produzione dell’industria automobilistica italiana, nel suo insieme, registrare un calo del 36,6% rispetto al dicembre 2023 e con un comparto della componentistica in grave difficoltà – ha sottolineato in un appello rivolto a Unione Europea e Governo il board della Filiera Automotive di Confindustria Emilia –, bisogna avere il coraggio di adottare un piano strategico diverso”.
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