Trump-Zelensky, l’Ue stretta tra due fuochi: l’indecisione europea e la necessità di una posizione comune nei vertici del 2 e 6 marzo
La Cnn lo ha già definito “il momento più importante della guerra in Ucraina dall’invasione della Russia” e in effetti lo scontro che si è consumato alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky rischia di diventare un punto di svolta dagli esiti, però, ancora tutti da conoscere. Mentre nello Studio Ovale la temperatura saliva a livelli mai visti nella storia moderna tra due Paesi che si definiscono, o che si sono definiti fino a poche settimane fa, “alleati”, al di là dell’Atlantico, a Bruxelles, è invece calato il gelo.
Trump, dal punto di vista dei leader Ue, è un presidente Usa da gestire, in un gioco di equilibri tra l’interesse comunitario e la necessità di non arrivare a fratture insanabili con Washington. Vale per le minacce sui dazi che non risparmiano neanche l’alleato europeo, così come per il dossier Ucraina, sul quale la rottura con la precedente amministrazione è evidente. Ma l’ultimo scontro tra il tycoon e il presidente ucraino mette Bruxelles in una posizione ancora più complicata: se la rottura dovesse diventare definitiva, l’Europa dovrebbe fare una scelta di campo, in entrambi i casi complicata, seppur per motivi diversi, su come portare avanti (e se portare avanti) il sostegno all’Ucraina.
Una scelta che determinerà anche se l’Europa ha intenzione di prendersi un pezzetto di quell’autonomia tanto predicata, ma mai perseguita. Lo si capisce anche dai messaggi di vicinanza inviati pubblicamente a Zelensky dopo la sua cacciata dalla Casa Bianca per mano del duo Trump-Vance. “Caro Zelensky e cari amici ucraini, non siete soli“, ha scritto su X il premier polacco Donald Tusk, mentre la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, gli ha ricordato che “la tua dignità onora il coraggio del popolo ucraino. Sii forte, sii coraggioso, sii impavido. Non sei mai solo, caro presidente Zelensky. Continueremo a lavorare con voi per una pace giusta e duratura”. Identiche parole condivise, pochi minuti dopo, dalla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e da quello del Consiglio Ue, Antonio Costa. Messaggi simili sono arrivati poi anche da Francia, Spagna e Germania, mentre Giorgia Meloni ha chiesto la convocazione di un vertice tra gli alleati Usa e Ue.
Nessuno di loro, pur ribadendo la vicinanza a Zelensky, si è parò azzardato a nominare Trump. Perché il terremoto con epicentro Washington ha fatto tremare i pavimenti anche nei Palazzi europei. Il rischio, dopo le visite di Emmanuel Macron e Keir Starmer alla Casa Bianca, è di riunirsi domenica, in occasione del vertice sulla Sicurezza convocato dal premier britannico a Londra, e soprattutto il 6 marzo, per il Consiglio europeo straordinario, consapevoli di non poter prendere alcuna posizione prima della prossima mossa di Trump. Non ci sono, però, solo riflessioni dietro a questo silenzio, ma anche una preoccupazione che assume sempre più i tratti della paura. Perché più passa il tempo e più l’Ue si rende conto che è arrivato il momento delle scelte che non ha mai saputo prendere. Ne va anche del suo futuro.
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